Pozzuoli è in lutto per la tragica scomparsa di Francesca Antonioli, una studentessa di medicina di soli 27 anni, che ha perso la vita dopo una lunga battaglia contro la leucemia, iniziata quando aveva appena 14 anni. La giovane, nota per il suo spirito combattivo e la sua determinazione, ha ispirato molti con la sua resilienza.
I funerali di Francesca si svolgeranno oggi alle 12 presso la Chiesa di San Gennaro, dove amici e familiari si riuniranno per onorare la sua memoria.
La comunità accademica ha espresso il proprio cordoglio attraverso l’associazione studenti di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli, sottolineando quanto Francesca fosse una presenza luminosa e indimenticabile per tutti coloro che frequentavano l’Edificio 20 del Policlinico. In un comunicato, hanno affermato: «Francesca è stata una nostra brillante collega, una presenza indimenticabile per chiunque abbia frequentato l’Edificio 20 del nostro Policlinico. Tra un esame e l’altro, il suo sguardo e il suo sorriso hanno attraversato le giornate di tanti, lasciando un segno profondo». «La sua straordinaria grinta, la sua forza d’animo e il suo amore per la vita resteranno scolpiti nei cuori di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerla. Francesca, continuerai a vivere nel ricordo di chi ha incrociato il tuo cammino e trovato ispirazione nella tua storia. Vorremmo ricordare Francina attraverso le sue stesse parole, pronunciate nel 2023 durante l’inaugurazione dell’anno accademico. In quell’occasione, aprì il suo discorso con queste parole: “Mi sono chiesta che cosa ho avuto da dire al mondo, ai miei amici, alla mia famiglia, al mio paesino, in questa breve vita in cui ho rincorso questo sogno”».
Commovente il messaggio di mamma Cinzia per ricordare la figlia: «Ma non ti dico addio, perché tu vivi in me, noi siamo ormai la terra e l’albero, la luce e il sole».
Nel post di Asmed Unina, per ricordare Francesca, è stato riportato anche un breve estratto che la studentessa tenne in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2023: «Mi sono chiesta che cosa ho avuto da dire al mondo, ai miei amici, alla mia famiglia, al mio paesino, in questa breve vita in cui ho rincorso questo sogno. Mi sono resa conto che sono molto diversa dalla ragazzina che doveva tradurre la versione alla perfezione, che pretendeva troppo da sé. Mi sono chiesta quali fossero le cose che davvero contavano nella mia vita, quali erano le tappe che avevano scandito il mio percorso come essere umano, e mi sono resa conto che l’università non era centrale come pensavo quando ero più piccola.
L’università è stata uno strumento importante, una risorsa per me, che ho continuato a studiare quando e come potevo. Sette giorni dopo il trapianto, in Dad, dalla camera sterile in cui si pongono i trapiantati, ho dato l’esame di anatomia patologica, con la morfina che entrava nelle mie vene e con una feroce infiammazione alla bocca. Ma ho scoperto che non l’ho fatto per quella pressione a cui siamo educati da questa società, da questo sistema. Lo studio è stato un’arma per me, semplicemente perché ha scandito il mio tempo, perché mi ha dato una routine, degli obiettivi a breve termine, perché mi teneva impegnato.
Ma sarebbe potuto essere anche un hobby. Forse in un’altra vita, a sette giorni dal trapianto, ho finito di leggere “I pilastri della terra”. Non stavo rincorrendo la laurea, non ero entrata in un circuito tossico per cui meritavo l’applauso, perché nonostante tutto ce la stavo facendo. Stavo solo contando i giorni in questo modo. Qualche giorno pensavo che potrei morire senza realizzare il mio sogno di diventare medico».
La nostra vita è anche altrove
«Ci sono rimasta male, ma poi mi sono resa conto che la disperazione mi ha resa libera. È davvero importante? Quali sono le cose importanti? Cosa ho detto di importante? L’università non è il centro delle nostre vite, ma è un percorso di formazione in cui ci inseriamo, ma del quale non si può diventare schiavi. Non dico che non sia importante, ma la vita è altrove. Noi, come individui, abbiamo bisogno di ricordare che noi non siamo solo studenti, non dobbiamo correre più veloce degli altri per arrivare subito al traguardo, alla dicitura “dottore in…”. La nostra vita è anche altrove. E soprattutto altrove. Questa società ci schiaccia e ci inserisce in questa macchina terribile per cui ci serve un valore se non andiamo ai ritmi degli altri, se non abbiamo gli stessi risultati, se non riusciamo a primeggiare».