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“Voglio solo fare l’amore con te..”, non solo pestaggi ma anche tentativi di violenze sessuali al carcere minorile

Agente IPM accusato di tentata violenza sessuale
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Durante l’indagine sugli agenti torturatori all’IPM Cesare Beccaria di Milano, Amin Hachouch, ha raccontato lui stesso la tentata violenza sessuale da parte di un agente. L’episodio fa parte di quelli che hanno fatto finire in arresto 13 agenti di polizia penitenziaria con le accuse di tortura, maltrattamenti e falso.

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La tentata violenza

Il ragazzo ha infatti raccontato che in una serata di fine novembre si sveglia perché uno degli agenti gli mette una mano sul sedere sussurrandogli: “Stai tranquillo, voglio solo far l’amore con te“. Hachouch non conosce il nome del poliziotto ma reagisce colpendolo a pugni ed allontanandolo. Il trambusto risveglia il compagno di cella che lo aiuta a cacciare l’agente.

Io stavo dormendo in mutande e mi ero coperto con il lenzuolo perché c’era molto caldo. Appena mi sono reso conto di quello che stava accadendo, ho detto all’assistente “cosa vuoi”. E lui mi ha detto “stai tranquillo, voglio solo far l’amore con te’.  Io ho reagito in modo violento e l’ho colpito con diversi pugni. A quel punto si è svegliato Salim che mi ha detto di smetterla“, l’altro detenuto confermerà a verbale le accuse di Amin. Nelle violenze sono coinvolti una dozzina di ragazzi minorenni o appena maggiorenni e gli agenti sotto inchiesta sono in totale 25.

“Massacrati di botte senza motivo”

Un ragazzo che ho conosciuto è stato chiuso in una stanza e massacrato di botte. A colpire era, spesso, lo stesso agente, noto a tutti in carcere proprio per la frequenza e il modo in cui alzava le mani. Le vittime erano soprattutto ragazzi che durante i colloqui non avevano nessuno con cui parlare, stranieri non accompagnati ad esempio. Gli agenti non vedevano madri attente o familiari ai quali i detenuti potessero raccontare le violenze” racconta una delle madri delle vittime.

“Mio figlio è stato stuprato e nessun agente lo ha aiutato”

La madre della vittima racconta che nessuno ha mai parlato: “Nemmeno quando mio figlio è stato stuprato da un gruppo di altri ragazzi. L’agente presente, quando ha capito la situazione, se n’è andato lasciando che lo aggredissero, trovando tutto il tempo per oscurare le telecamere con sedie e oggetti vari. Le guardie sono arrivate solo mezz’ora dopo, quando la segnalazione di un giovane estraneo al gruppo li ha costretti a intervenire. Appena ho scoperto l’episodio sono corsa al Beccaria chiedendo di parlare con quello che credo fosse il comandante della polizia penitenziaria: ‘Signora cosa vuole che sia’, mi ha detto. Lui era persino peggio degli agenti perché nascondeva tutto quanto. E il giorno della violenza non gli ha nemmeno fatto fare una telefonata a casa“.

Una volta sono entrati quattro assistenti dentro la cella vicina alla nostra, noi sentivamo i rumori. Hanno ammanettato e picchiato un ragazzo, l’hanno spaccato di calci e di pugni, all’epoca lì non c’erano ancora le telecamere. Noi ci siamo rannicchiati tutti nell’angolo del nostro letto, in silenzio, era il suo turno. Un’altra volta hanno fatto un occhio nero a me, mi hanno preso a calci in tre e dato uno schiaffo che non ci sentivo più da un orecchio perché continuavo a chiedere l’accendino. Nessuno il giorno dopo mi ha fatto domande” racconta un ex detenuto. “Io non mi fido di nessuno, e nessuno si fida di me. Chi crede a un ragazzo pregiudicato? Le parole mie e dei miei amici rimanevano tra parentesi, non avevano molto valore, contavano le relazioni degli assistenti. E poi riuscivano a farti sentire che eri sbagliato tu. Arrivavi a pensare che avevano ragione a picchiarti perché eri una nullità” conclude.

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