25.3 C
Napoli
domenica, Giugno 16, 2024
PUBBLICITÀ

«L’agguato a mia nipote non mi ferma» La pentita, ex compagna del boss Bidognetti: «Continuerò a collaborare».

PUBBLICITÀ

Un portoncino con vetri infrangibili. Un portoncino danneggiato dalle pallottole, che ha salvato la vita di Maria e Francesca Carrino. Il giorno dopo l’agguato fallito, nell’androne che dà alla scala B della palazzina al parco Tania restano ancora i segni di una violenza bloccata dall’imprevisto. I tre killer del clan Bidognetti volevano colpire le parenti strette di Anna Carrino, per oltre 10 anni convivente del boss Francesco detenuto dal 1993. Un uomo che lei conobbe quando aveva appena 15 anni. Dallo scorso anno, Anna ha deciso di voltare pagina. Dopo l’arresto, ha cominciato a collaborare con la giustizia. E ha lanciato anche un appello pubblico attraverso giornali e Tv. Alle 23 di venerdì, tre uomini si sono presentati all’ingresso del parco di via Leonardo da Vinci a Villaricca. Hanno citofonato: «Siamo della Dia, abbiamo bisogno di parlare con voi. Qui, c’è anche Gianluca, il figlio della signora Anna». L’auto blu con il lampeggiante fuori il cancello elettrico era solo un insospettabile specchietto per le allodole. In casa, al terzo piano, c’erano Maria Carrino, 44 anni, e la figlia Francesca, 25. Vivono in quell’appartamento anche con Assunta, 68 anni, mamma di Anna e Maria. Una casa, acquistata da Bidognetti nel 1987-88. Maria ne figura proprietaria, ma è una prestanome, come per altri tre immobili. Le rate del mutuo, estinto le 2001, venivano prelevate ogni mese a casa di Francesco Bidognetti, il boss chiamato «Cicciotto’e mezzanotte». Venerdì notte, le donne aprono il cancello elettronico con il pulsante del citofono, l’auto resta in mezzo alle cellule fotoelettriche per impedire la chiusura successiva. Escono in due, il terzo resta alla guida. Passano il cancelletto pedonale, arrivano dinanzi al portoncino di vetro ultima barriera per l’androne delle scale. È a quel punto che Maria e Francesca, scese da casa per andare incontro agli agenti, si bloccano: quegli uomini hanno facce strane, non sembrano della Dia. Le donne non aprono. Da fuori, i due cominciano a sparare con mitragliette. Una ventina di colpi calibro 9 per 21 e 45, frenati dal vetro. Francesca viene raggiunta da un proiettile all’addome. Attimi di terrore e di spirito di conservazione: le due donne si riparano dietro il muretto delle scale. È una raffica bestiale di odio che sembra interminabile. I due corrono verso il portoncino, cercano di aprirlo, vorrebbero portare a termine il «lavoro». ma non c’è nulla da fare. Devono fuggire. Quando l’auto con il lampeggiante riparte, Maria afferra la figlia e la porta in casa. Da lì lancia l’allarme ai carabinieri e al 118. La giovane viene trasportata all’ospedale Cardarelli. La operano subito: è fuori pericolo, ma la prognosi del reparto di chirurgia d’urgenza è riservata. Ha raccontato Maria Carrino ai carabinieri del nucleo investigativo di Castel di Cisterna guidato dal maggiore Fabio Cagnazzo: «Sono scesa e ho visto queste persone. Mi sono impressionata e sono scappata. Il portone si è bloccato, mia figlia è rimasta colpita allo stomaco». Dalla paura all’accettazione del Servizio di protezione il passo è breve. Le donne avevano rifiutato di spostarsi, dopo il pentimento di Anna Carrino. Si sentivano sicure. Ma, dopo l’aggressione di venerdì, il ripensamento è stato immediato. E Anna Carrino dice: «Continuerò la collaborazione». Da marzo, la violenta campagna di aggressione dei casalesi non ha pause. Prima l’omicidio di Umberto Bidognetti, padre del pentito Domenico. Poi gli avvertimenti per le estorsioni, primo fra tutti il feroce omicidio di Domenico Noviello, che aveva denunciato il racket cinque anni fa. Azioni vili, tutte contro indifesi. Le nuove leve del clan, più sensibili al richiamo della cocaina, lanciano segnali. Nel gruppo Bidognetti, sono latitanti ancora personaggi di primo piano dell’ala militare. Come Alessandro Cirillo, detto o’ sergente, o Giuseppe Setola, il killer che scappò da una clinica a Pavia dove era stato operato.

GIGI DI FIORE

Il Mattino il 01/06/08

PUBBLICITÀ

Omicidi e attentati, la campagna di primavera

Alla data più attesa, quella più temuta, manca poco più di una settimana. Il 9 giugno, a meno di colpi di scena, i giudici di Napoli chiuderanno il processo Spartacus, decidendo la sorte dei capi storici del clan dei Casalesi. Quel giorno, salvo imprevisti, si saprà se le condanne all’ergastolo si avvieranno burocraticamente verso la conferma della Cassazione o se Schiavone e Bidognetti, Iovine e Zagaria avranno ancora qualche carta da giocare per conservare la leadership: i primi dal carcere, gli altri dalla latitanza. Quella data che si avvicina è la boa da raggiungere non soltanto per la sentenza che sarà emessa ma, soprattutto per capire: cosa è accaduto negli ultimi due anni all’interno del clan, cosa significano le mosse degli ultimi due mesi e mezzo. Sangue e minacce, avvertimenti e rappresaglie, una violenta sterzata alla politica dell’inabissamento fruttuosamente portata avanti durante il dibattimento in Corte di Assise, e cioè dal 1998 al 13 marzo scorso. Si saprà, forse, se il cambio di strategia è dovuto a un cambio di gestione o se è funzionale solo a parare i colpi, quelli nuovi, che stanno arrivando dagli apparati investigativi in virtù dei pentimenti di Domenico Bidognetti e Anna Carrino. Si saprà, dunque, se la richiesta di legittima suspicione – cestinata dalla Suprema Corte – rumorosamente letta nell’aula della I Corte di assise di appello di Napoli è stata solo un diversivo o se è collegata alle vendette che hanno segnato questo mese di maggio, affidata alla mente corrotta dalla cocaina di un sanguinario gruppo di killer legato alla fazione bidognettiana, ormai in disarmo, del clan. Ma andiamo con ordine, ricostruendo tappa dopo tappa la stagione del terrore casalese. Due i punti di partenza, due le date: il 13 marzo, con il deposito dell’istanza firmata da Francesco Bidognetti (capo detenuto, e con due pentiti importanti nella sua famiglia), e il 19 marzo, con la pubblicazione della lettera di Domenico Bidognetti, collaboratore di giustizia dall’estate scorsa, indirizzata ai giovani del suo paese. Non seguite falsi miti, aveva detto, perché «i camorristi sono conigli». Il 23 aprile l’appello pubblico di Anna Carrino, per un quarto di secolo compagna di Francesco Bidognetti: «Lo Stato vincerà, pentitevi». Una settimana dopo la risposta: il 2 maggio, a Castelvolturno, viene ucciso Umberto Bidognetti, padre del collaboratore di giustizia. Il 6 e il 7 maggio sui muri di Casal di Principe compaiono delle scritte offensive contro l’autore di «Gomorra», indicato nell’istanza di legittima suspicione come uno dei nemici del clan. L’8 maggio scatta l’allarme per un progetto di attentato al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, allarme che si ripeterà il 19 e il 29. Il 13 maggio la madre di Domenico Bidognetti scrive una lettera al figlio nella quale lo accusa di essere responsabile della morte del padre Umberto. Nello stesso giorno un attentato incendiario distrugge la fabbrica di materassi di Pietro Russo, presidente dell’associazione antiracket di Santa Maria Capua Vetere: aveva denunciato e fatto arrestare e condannare alcuni esponenti del clan. Il 15 maggio compaiono altre scritte contro Roberto Saviano. Il giorno successivo, antivigilia della festa della Polizia celebrata a Casal di Principe, a Castelvolturno, viene ucciso l’imprenditore Domenico Noviello: nel 2001 aveva fatto arrestare e condannare estorsori della fazione bidognettiana. L’altra sera il ferimento di Francesca Carrino, nipote della donna di Bidognetti, e il tentato omicidio della madre Maria. Una escalation evidente, un messaggio minatorio evidente e diretto – e particolarmente odioso, visto che ha toccato uomini anziani e donne, tutti disarmati – ai due pentiti ma non soltanto a loro.

ROSARIA CAPACCHIONE
Il Mattino 01/06/08

PUBBLICITÀ
PUBBLICITÀ

RESTA AGGIORNATO, VISITA IL NOSTRO SITO INTERNAPOLI.IT O SEGUICI SULLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK.

PUBBLICITÀ

Ultime Notizie

“Quando vedo un cantante con il mitra mi preoccupo”, Gratteri critica Geolier

"Le mafie sono come un'azienda: hanno bisogno di pubblicità. Su Tik tok si fanno vedere ricchi e potenti. Quando...

Nella stessa categoria