Home Cronaca GIUGLIANO CROCEVIA DEI RIFIUTI ILLEGALI, 19 ARRESTI

GIUGLIANO CROCEVIA DEI RIFIUTI ILLEGALI, 19 ARRESTI

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GIUGLIANO. Al telefono uno degli indagati si vantava di saper trasformare la spazzatura in oro. Non sapeva che quella frase, intercettata dai carabinieri, avrebbe fornito lo spunto per chiamare in codice «Re Mida» l’indagine su un traffico illecito di rifiuti condotta dalla procura di Napoli e sfociata ieri nell’arresto di 19 persone, oltre al sequestro di una ventina di impianti e di un laboratorio d’analisi. In Campania veniva sversata, illegalmente secondo gli inquirenti, immondizia proveniente da altre regioni d’Italia, Milano compresa.
Il blitz. In azione sono entrati i carabinieri del Nucleo tutela dell’Ambiente, guidati dal colonnello Raffaele Vacca, dal maggiore Antonio Menga e dal tenente Pasquale Starace. Il colonnello Vacca ha voluto dedicare l’operazione al carabiniere Alfonso Trincone, morto nell’attentato di Nassiriya.
Le accuse. Le ordinanze sono state firmate dal giudice Domenico Zeuli su richiesta del pm Maria Cristina Ribera, coordinata dal procuratore aggiunto Camillo Trapuzzano. Si ipotizza il reato di associazione a delinquere. L’attività illecita, spiegano i magistrati, consisteva nella «intermediazione, trasporto, sversamento e sbancamento di rilevantissime quantità di rifiuti» provenienti da diverse società di stoccaggio e intermediazione del Centro-Nord e da consorzi per la gestione di rifiuti solidi urbani, tra i quali il «Consorzio Milano città pulita». Questo materiale sarebbe stato «fittiziamente lavorato» presso impianti ritenuti «nella disponibilità» degli indagati e poi «sversato e abbancato in cave e terreni» controllati sempre dalle stesse persone.
I rifiuti, «invece di essere smaltiti in idonei impianti autorizzati», seguivano percorsi considerati illeciti: erano sversati in luoghi autorizzati a fini diversi, come la ricomposizione ambientale paesaggistica nel caso della cava del Giuglianese gestita dalla società «Magest service». Oppure venivano «tombati» in ampie buche realizzate in terreni agricoli e ricoperti con terreno vegetale, prevalentemente nel Casertano, con la conseguenza, rilevano i giudici, «che tutte le sostanze inquinanti venivano direttamente assorbite dal terreno e poi rilasciate ai prodotti coltivati», determinando pertanto un «inestimabile danno ambientale». Sul territorio, ha raccontato il pm Ribera, «una rete di pastori veniva pagata per avvisare in caso di controlli delle forze dell’ordine». Per trasportare, intermediare e smaltire illecitamente i rifiuti veniva seguita la strada della «declassificazione fittizia». Attraverso certificati ritenuti falsi, il materiale risultava compatibile con le autorizzazioni in possesso di trasportatori, impianti di stoccaggio e smaltitori. Mediante operazioni di «triangolazione», i cosiddetti «giro-bolla», i rifiuti venivano trasformati solo documentalmente in modo da renderli compatibili con la destinazione finale, venendo al contrario «smaltiti in violazione della normativa».
Il giro d’affari. Tra il novembre 2002 e il maggio 2003 gli indagati avrebbero movimentato 40mila tonnellate di rifiuti incassando circa tre milioni e 300mila euro, con evasione della «ecotassa» per circa mezzo milione di euro. Ma sono cifre che vanno lette alla luce dei costi, ben più elevati, necessari per effettuare legalmente la medesima attività.
I protagonisti. Gli indagati sono un centinaio. Dieci sono finiti in cella: gli imprenditori Luigi Cardiello, Raffaele Diana, Toni Gattola, Gennaro Polverino, Tiziano Brembilla, Maurizio Pietrangeli, Fabrizio Pascucci, Pierluigi Della Maggiora e Giovanni Scantone; nove ai domiciliari, Salvatore e Giorgio Marmo, Giorgio Ricci, Nicola Fontana, Antonio De Sarlo, Antonio Caturano, Gianpiero Giaquinto, Matteo Spreafico, Marco Genovese. Sono coinvolti i gestori di importanti società del settore come Biofert, Rfg, Agroter, Versiliambiente. Sono state poi emesse due ordinanze interdittive e un obbligo di presentazione. Tutti gli indagati potranno ora replicare alle accuse nelle successive fasi del procedimento.


DARIO DEL PORTO





IL PRECEDENTE


di CLAUDIO COLUZZI



I Mazzoni, ossia quel vasto territorio che va da Mondragone a Lago Patria, pattumiera per i rifiuti speciali provenienti dal nord Italia e crocevia dei traffici dell’Ecomafia. Purtroppo non c’era bisogno di ulteriori conferme. Solo una decina di giorni fa la richiesta, da parte del pm Donato Ceglie, di 97 rinvii a giudizio per la vicenda degli enormi traffici di rifiuti dal Nord verso la provincia di Caserta. La richiesta di giudizio con fissazione dell’udienza da parte del gip non aggiungeva, in verità, nulla a quanto già fatto e accertato fino a quel momento dai carabinieri del Noe. Costituiva però una sorta di giro di boa, un momento in cui tirare le somme della più grossa inchiesta contro l’Ecomafia svolta in Italia. Cassiopea, appunto, che prende il nome dalla costellazione omonima perchè nell’introduzione della mastodontica ordinanza si fa riferimento a organizzazioni criminali che, di questo passo, avrebbero inquinato anche gli spazi siderali e le costellazioni.
Dopo la pronuncia del gip saranno i tribunali a pronunciarsi contro autisti, proprietari di suoli, titolari d’aziende ma anche personaggi collegati con camorra e mafia. Fin da ora, comunque, c’è un’amara certezza: Terra di Lavoro e l’hinterland napoletano sono stati per decenni crocevia e molto spesso terminale di un fiume di veleni proveniente da Nord e diretto, attraverso percorsi illegali, al Sud Italia. Un fenomeno che, nonostante le indagini e i durissimi colpi ai signori dell’Ecomafia non è stato affatto estirpato. Forse il traffico di rifiuti ha solo assunto forme diverse e nuovi percorsi con la stessa finalità: lucrare sugli scarti di lavorazione industriale provocando danni incommensurabili all’ambiente. E su tutto continua a gravere l’atroce dubbio dello sversamento nell’ambiente di sostanze addirittura tossiche e quindi immediatamente dannose per l’uomo e la sua catena alimentare.



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RUSSO: UNO SCENARIO FAMILIARE, PURTROPPO




«Uno scenario purtroppo già visto». Così il presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e le attività illecite ad esse connesse, Paolo Russo, di Fi, commenta l’operazione ”Re Mida”. «Viene fuori – prosegue Russo – ancora una volta l’intreccio perverso di imprenditori senza scrupoli e criminalità che, complice un facile guadagno, compromettono irrimediabilmente l’ambiente, generando disastri epocali». Per Russo «occorre rafforzare la norma, introdurre nel codice il delitto ambientale». Enrico Fontana, responsabile nazionale di Legambiente, sottolinea che quello dei traffici di rifiuti «è una piaga enorme per il nostro Paese». In Campania poi, che è «una regione in emergenza rifiuti – prosegue Fontana – al danno si aggiunge la beffa». Preoccupa poi che risultino coinvolte nell’inchiesta «consorzi che dovrebbero garantire sulla carta l’efficienza dell’intero ciclo dei rifiuti solidi urbani».





INCHIESTE LEGATE DA UN FILO COMUNE




di
ROSARIA CAPACCHIONE


Un solo filo lega l’operazione «Re Mida» agli arresti eseguiti all’alba di ieri a Casal di Principe. Un filo che passa per lo smaltimento dei rifiuti, per quell’affare colossale che si chiama spazzatura e che da oltre dieci anni è controllato dalla camorra casalese. Il punto di contatto tra l’indagine della pm Maria Cristina Ribera e l’altra, un’inchiesta di criminalità organizzata coordinata dal pm Raffaello Falcone, è un imprenditore del settore, taglieggiato, minacciato, costretto a pagare una tangente per la protezione e, ciò nonostante, taglieggiato ancora da un altro gruppo, pure collegato al primo, che chiedeva per sé una fetta dei guadagni della «spazzatura connection». Le due indagini, firmate entrambe dai carabinieri (del Nucleo centrale di Tutela ambiente, del Reparto operativo di Caserta e dalla compagnia di Casal di Principe) hanno camminato su strade parallele fino a ieri, quando la prima ha portato a una dozzina di arresti e l’altra a sei fermi (un altro provvedimento non è stato eseguito) per estorsione e tentata estorsione. In manette, gli uomini che contano nell’esercito di Francesco Schiavone-Sandokan: i suoi fedelissimi, e cioè Oreste Caterino di 30 anni, Giuseppe Misso di 34 (ricercato Nicola Panaro di 35 anni); e i collaterali, cioè Luigi Venosa (50 anni), il fratello Umberto (52), il figlio Antonio (24) e il nipote Salvatore (30).
Ed è stato proprio il gruppo di Luigi Venosa, uno dei capi storici del clan dei Casalesi, imputato con Schiavone-Sandokan nel processo Spartacus, suo antagonista nella guerra degli Anni 90 e poi di nuovo alleato dopo la pace siglata con un pubblico bacio nel carcere di Pianosa, a cercare di ritagliarsi un posto nell’affare dei rifiuti chiedendo soldi all’imprenditore già sotto estorsione. Richieste di denaro – un paio di migliaia di euro da pagare tre o quattro volte all’anno, in attesa di sottoscrivere l’abbonamento con la percentuale fissa sui rifiuti trasportati in discarica – arrivate a Casal di Principe via Cassino, la località dove Venosa si è trasferito dopo la scarcerazione di qualche mese fa per decorrenza dei termini della custodia cautelare.
Dai decreti di fermo eseguiti ieri, e dalla lettura del comunicato diffuso dalla Procura antimafia di Napoli non è possibile, al momento, capire molto di più; soprattutto sulle singole responsabilità contestate dal pm antimafia Falcone. Ma i personaggi coinvolti sono troppo noti perché non sia possibile azzardare ipotesi. È probabile, infatti, che Venosa abbia cercato, assieme al fratello, al figlio e al nipote, di ricostituire un gruppo camorristico autonomo e di riconquistare un posto di prestigio al tavolo della spartizione degli appalti e delle commesse controllati dai Casalesi di Schiavone-Sandokan e del cugino suo omonimo, latitante da oltre un anno e indagato nell’operazione «Re Mida». Peso e prestigio criminali arricchiti, secondo gli investigatori, anche dalla massiccia attività estorsiva messa in atto nel Cassinate e nell’intera provincia di Frosinone, vera e propria colonia del clan camorristico dei Mazzoni. Ipotesi sorretta dai risultati di altre indagini che hanno coinvolto, nei mesi scorsi, altri gruppi criminali (come il clan Esposito di Sessa Aurunca) e ancora oggetto di verifica.





IL MATTINO 25 NOVEMBRE 2003- ed. Nazionale
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