Marilisa Santoro, nostra concittadina, vive a Roma sin dalla sua più tenera età.
Ho avuto la fortuna di conoscerla appena più che una bambina, bellissima, vispa ed intelligente, poi la lontananza ci ha separati, ma mai ci siamo dimenticati l’uno dell’altra.
Per puro caso ci siamo rintracciati , ho ritrovato in lei una donna meravigliosa, coltissima, poliglotta ed amante dell’arte, tanto da farne la sua professione e la sua ragione di vita.
Ogni giorni, grossi gruppi di turisti, per lo più tedeschi, ascoltano con immenso interesse ed entusiasmo le sue lezioni sulle opere d’arte della nostra capitale. Dai suoi stessi colleghi ed amici viene definita “Er meglio de Roma”.
Tra i molteplici interessi, ha anche quello di scrivere fiabe che ritengo interessanti e ricche di significati per questo ne propongo qualcuna ai lettori di InterNapoli perchè le possano apprezzare e conoscere una nostra concittadina tanto amata nella città di Roma.
Antonio
La vera storia di Cappuccetto Rosso
Tanti e tanti anni fa, quando la terra era popolata solamente da animali e maghi, viveva, in una tana ai margini della foresta ,una mamma Lupa con il suo cucciolo.
Un bel mattino mamma Lupa disse al suo lupacchiotto:
“E’ giunto il momento, figlio mio, di metterti in cammino. La foresta questa notte mi ha sussurrato che Nonno Lupo è ammalato. Va’ a trovarlo e portagli questi dolci che ho preparato per lui”
“Dovrai attraversare la foresta. Fai attenzione alle insidie e ai pericoli che essa nasconde”.
“ Non abbandonare mai il sentiero” – aggiunse mamma Lupa con voce preoccupata.
Poi prese un cestino, lo diede al lupetto, lo baciò sul muso ed esclamò: ” Va’ ora e che il buon Dio ti accompagni.”
Il lupetto baciò la mamma, prese il canestro e saltellando si avviò verso il bosco.
Appena giunto nella foresta il lupetto cominciò a guardare gli alti alberi le cui fronde quasi toccavano il cielo, gli scoiattoli saltare di ramo in ramo, le api e le farfalle volare di fiore in fiore e fu così che camminando con il naso all’insù non si accorse di essersi inoltrato nel bosco e di aver abbandonato il sentiero, e quando finalmente dopo un lungo tempo abbassò lo sguardo per terra, era scesa la notte ed, i suoi occhi videro solamente un tappeto di erba e foglie.
Si guardò intorno per riprendere il suo cammino ma tutt’intorno vi era solamente un gran buio fitto.
Provò a salire su un grande masso, guardò prima a destra poi a sinistra, ma non riuscì ad orientarsi. Salì quindi su una piccola altura sperando di scorgere qualche segnale che gli indicasse la via ma anche da lì non vide niente, si arrampicò allora su un albero e dal più alto dei suoi rami tentò invano di scrutare l’orizzonte : nulla, non si vedeva nulla!
Infreddolito e tremante cercò rifugio all’interno di un grande albero cavo.
Voleva chiudere gli occhi e dormire, ma nel bosco risuonavano inquietanti rumori, gli alberi sussurravano orribili parole e tutto ad un tratto nell’oscurità apparvero migliaia di occhi che gli si avvicinavano minacciosi.
Il lupetto si rannicchiò sempre di più nell’albero, quando, ad un certo punto, il terreno mancò sotto ai suoi piedi e con un grido precipitò nel vuoto.
Con un tonfo secco toccò terra e perse i sensi..
Rimase svenuto per terra per un lungo tempo, poi lentamente cominciò a risvegliarsi, pian pianino aprì gli occhi e si accorse di trovasi in un’enorme caverna.
Dall’alto venivano giù delle pietre allungate e appuntite a forma di cono, altrettante pietre sembravano emergere dal terreno come denti aguzzi pronti a morderlo, paralizzato dalla paura il lupetto riusciva a malapena a respirare, mosse lentamente gli occhi, scrutando ogni angolo della caverna in cerca di una via per fuggire, quando all’improvviso gli sembrò di vedere in lontananza un piccolo puntino luminoso che gli si avvicinava..
Come una piccola stella, la luce si avvicinò e danzando davanti ai suoi occhi lo invitò a seguirla
Camminò e camminò per cunicoli e gallerie seguendo la luce finchè si ritrovò in una grande sala. I suoi occhi videro allora un trono e seduta in quel trono una Dama.
Indossava in vestito luminoso e splendente che rischiarava tutto ciò che le stava intorno.
“Eccoti finalmente arrivato, ti stavo aspettando, avvicinati non temere, sono La signora della Notte e non voglio farti alcun male, la tua distrazione ti ha fatto perdere il sentiero, ma io ti aiuterò a ritrovarlo.
Avvicinati, dunque, e non aver paura.”
Il lupetto, tutto tremante rimase fermo al suo posto, poi però il suono di quella voce gli ricordò melodie a lui già conosciute e anche se titubante, avanzò verso la Signora della Notte.
Questa si alzò, lo afferrò per mano ed avvicinandosi ad un’enorme porta disse:
-“ Questa è la Grande Biblioteca del mondo”
-“ Un giorno la terra sarà abitata dagli uomini e qui sono conservati tutti i libri che essi scriveranno, a nessuna, prima d’ora era stato concesso di entrarvi.”
Qui si cela un grande segreto, e per scoprirlo dovrai passare attraverso sette porte.
Detto questo fece un lieve gesto della mano e la prima porta si spalancò davanti a loro.
Appena entrati il buio li avvolse, ma poco a poco gli occhi del lupetto cominciarono a distinguere qualcosa.
Scaffali , sui quali erano sistemati libri di tutte le dimensioni, ricoprivano le pareti, i titoli erano scritti con lettere d’oro,
Al centro tavoli e tavolinetti sui quali da ampolline di varie forme uscivano gorgoglianti fumi e vapori d’ogni colore;
“Qui si trovano i libri di tutte le Scienze”, disse la Signora della Notte.” In un tempo ancora molto lontano gli uomini impareranno a volare e come gli uccelli potranno vedere la Terra dall’alto.
Il lupetto avrebbe voluto chiedere di questo e di quello ma la Signora della Notte disse: “ Vieni, è ora di andare” E così fecero.
Si incamminarono lungo uno stretto cunicolo fino a raggiungere una seconda porta e mentre entravano nella stanza udirono una voce:-“Benvenuti nel regno dell’Essere e del Non Essere. Del C’è e del Non C’è del Quando e del Perché” ”Chi parla?” Chiese il lupetto.
“Qui ci sono tutti i libri di Filosofia, e la voce che hai appena udito appartiene a Colui che E’ e sempre Sarà.”
“Non chiedere nulla, un giorno gli uomini troveranno le risposte a tutte le loro domande.”
-“ Ora muoviamoci ” e così dicendo s’incamminarono ancora lungo uno stretto corridoio, la terza porta si spalancò innanzi a loro e il lupetto vide delle figure danzanti venirgli incontro e le udì cantare:
-: “ Un, due, tre. –
-ciascuno fa per sé –
-se li metti in fila indiana avrai una carovana –
-ma se provi a mescolarli –
-non potrai più contarli –
– e se in cerchio li terrai –
-un girotondo tu avrai.”
Dopo che ebbero terminato di cantare la Signora della Notte si avvicinò loro dicendo:
-: Salute a voi – Signori Numeri! Spero che la nostra presenza non vi abbia disturbato.”
-“Continuate pure nelle vostre infinite danze. Noi dobbiamo proseguire”.
E rivolgendosi al lupetto aggiunse:
-: Questa è la stanza della matematica, un giorno gli uomini impareranno a contare e per contare avranno bisogno dei Numeri.
“Vieni, ora. Non attardiamoci.” Aggiunse.
Dopo averlo preso per mano lo accompagnò nella quarta stanza.
Appena furono entrati videro avvicinarsi sette fanciulle.
Una di loro, dopo aver fatto un inchino, disse:
-: Io mi chiamo Do. – Benvenuti nel Regno della Musica. Queste sono le mie sorelle Re, Mi, Fa, Sol, La e Si.
Così ci chiameranno un giorno gli uomini e noi renderemo liete le loro orecchie con i nostri suoni.”
E così dicendo iniziarono a cantare e la musica che si udì ricordò al lupetto il fruscio del vento, lo scoppiettio del fuoco e lo scrosciare di una cascata.
E per non disturbare quel suono melodioso La Signora della Notte e il lupetto si allontanarono in punta di piedi.
Camminarono ancora fino a raggiungere la quinta stanza.
Appena entrati il lupetto guardò in basso e si accorse di camminare nel vuoto.
Sotto di lui milioni di puntini luminosi brillavano come stelle nel cielo, la Signora della Notte allora gli indicò di guardare verso l’alto.
Il lupetto alzò lo sguardo e si accorse che il cielo si spandeva anche sopra le loro teste.
“ Qui ci sono tutti i libri d’astronomia” disse la Signora della Notte.
“Un giorno gli uomini scruteranno il cielo solamente sopra le loro teste, ma come puoi ben vedere ciò che vedi sopra è anche sotto.”
“ Ma vieni, altrimenti faremo tardi” e con passo veloce arrivarono nella sesta stanza.
Come tutte le altre stanze era piena di libri.
Appena entrati udirono delle voci bisbigliare. “ Chi disturba il nostro sonno?”
Il lupetto girò lo sguardo ma non vide nessuno.
“ Se vuoi vedere devi chiudere gli occhi, questa è la stanza dei Sogni, un giorno gli uomini proveranno ad interpretarli, sappi che essi sono miei messaggeri.
“In questi libri sono raccolte le favole di tutti i tempi. Qui si parla di Re e di Regine, di Maghi e di Folletti, d’Incantesimi e Sortilegi.” Disse, e con voce malinconica aggiunse:
-: Come vedi non sono molti. Arriverà un giorno in cui gli uomini non ne scriveranno più.
Dalla terra scompariranno i Maghi e le Principesse, e partiranno gli Gnomi dai boschi ed i Geni lasceranno vuote le lampade.
Scompariranno i sogni e l’uomo allora resterà solo con le sue paure”.
“Ma forse c’è ancora una speranza” disse.
-: Porta questo dono al Nonno Lupo.”
Così dicendo prese un libro e lo diede al lupetto.
Il lupetto lo prese ed improvvisamente cadde in un sonno profondo. Quando riaprì gli occhi,si ritrovò ai piedi del grande albero cavo, la notte era scomparsa ed i primi raggi del sole illuminavano il sentiero davanti a lui. Il lupetto si stropicciò gli occhi, stiracchiò le zampe, si alzò in piedi e preso il cestello si incamminò lungo il sentiero.
Dopo un po’ giunse alla casa di Nonno lupo. Bussò alla porta ed entrò.
Nonno lupo era sdraiato nel letto, il lupetto lo salutò e quindi gli diede i dolci che gli aveva preparato mamma lupa e poi disse:
“ Guarda Nonno cosa ti ho portato!” quindi gli porse il libro.
Nonno Lupo lo prese, lo aprì e cominciò a leggere:
– C’era una volta una bambina che si chiamava Cappuccetto Rosso.
– Un bel giorno ………………………
FINE
p.s.
………e se non conosci la favola di Cappuccetto Rosso – ti consiglio di andarla a leggere.
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IL FIUME
Un bel giorno l’acqua di un fiume decise di non andare più avanti.
E tornò indietro.
Durante il cammino verso la foce aveva visto ed imparato molte cose:
I ricordi erano diventati nostalgia del tempo passato e la nostalgia si era trasformata nel desiderio di ritornare nei luoghi della sua infanzia.
Ben presto si accorse però che tutto era cambiato: i girini piccoli e neri si erano trasformati in rane verdi e grasse, i piccoli arbusti erano diventati alberi di alto fusto, i fiori non c’erano più e il ponticello di legno era scomparso.
Anche il vecchio pescatore che le aveva raccontato le antiche storie della terra non era più al solito posto.
Insomma non riconosceva più niente.
Passando davanti al saggio mulino lo interrogò.
Il Mulino le rispose: “Tanto tempo è trascorso da quando sei passata qui l’ultima volta, le cose sono mutate.
Il tempo cambia ogni cosa. Non lo sai? A che serve tornare indietro se poi non si ritrova ciò che si è lasciato?”
“Faresti bene a proseguire” aggiunse ancora il Mulino.
“Inoltre così facendo le mie pale girano all’incontrario, e tutto questo mi procura grossi fastidi.”
Ma l’acqua gli rispose che oramai era decisa a tornare indietro,e dopo averlo salutato proseguì il suo viaggio.
Finalmente arrivò alla roccia dalla quale sgorgava, ma non ancora stanca di questo suo lungo cammino si infiltrò nelle profondità della terra.
Là tutto era buio . Si stropicciò gli occhi ma non riuscì a distinguere nulla.
Non ricordava di essere mai stata in quel luogo, ma gli odori le erano familiari, così come le voci che udiva.
Improvvisamente si ritrovò a volare.
Era nel cielo e dall’alto distingueva la terra sotto di sé.
Vide le montagne e i boschi. Vide il vecchio mulino e ancora gli alberi e i prati.
Riconobbe persino se stessa . E mentre si rivedeva scorrere nella valle, all’improvviso si accorse di essere diventata milioni e milioni di goccioline e cominciò a cadere.
Sotto i suoi occhi si stendeva un’immensa distesa blu.
E prima che potesse accorgersene scomparve per sempre nel mare.
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Il Paese dell’Incontrario
Volta una c’era……. mmh scusate volevo dire:
C’era una volta nel Paese dell’Incontrario, dove il dentro era fuori e il fuori era dentro, un Re senza corona. Non poteva esserci una corona sul suo capo perché egli camminava a testa in giù, come del resto Sua Maestà la regina, i Ministri ed i Consiglieri, il Ciambellano ed i Segretari, e non solo: a testa in giù camminavano anche i Cortigiani e le Cortigiane, le Dame e i Menestrelli, le Guardie e i Servitori e persino il Buffone di Corte.
Insomma tutti, ma proprio tutti.
Un bel giorno, come avviene in tutte le favole, alla regina nacque un bel bambino.
Con il passare del tempo, il Principino cresceva forte e bello, e nulla sembrava turbare la felicità dei due sovrani. Ma quale fu la loro sorpresa nel vedere che quando cominciò a camminare non camminò sulle mani come tutti, ma si alzò in piedi e cominciò a guardarsi intorno.
“Un mostriciattolo!” Esclamarono in coro le damigelle di corte.
“Una vergogna!” Dissero i Benpensanti del Regno.
“Un affronto!” Ruggì il Ministro degli Esteri.
“Una provocazione!” Disse il Buffone di corte, che da anni si allenava a stare in piedi, ma senza alcun risultato.
Immediatamente furono mandati a chiamare i migliori dottori del Regno. Se si trattava di una malattia l’avrebbero certamente curata.
Ma questi dopo essere rimasti per tre giorni e per tre notti in Camera di consiglio, dopo aver accuratamente osservato, esaminato e scrutato il Principino, affermarono che il caso era così delicato, complicato, intricato, ingarbugliato che ……insomma non sapevano che pesci pigliare.
Furono allora mandati a chiamare tutti i Maghi e gli Stregoni del Regno. Se si trattava di un sortilegio avrebbero sicuramente sciolto l’incantesimo.
Ma anche loro dopo aver interrogato le stelle e gli astri, dopo aver preparato pozioni e filtri magici, se ne andarono scuotendo il capo.
Furono fatti venire allora i più famosi e illustri pedagoghi ed educatori del Regno.
Se si trattava di cattiva volontà avrebbero saputo loro come far rigare dritto il Principino, gli avrebbero insegnato loro a camminare come si conveniva al futuro Re del Paese dell’Incontrario. Ma anch’essi dopo ore e ore di lezioni, dissero che non c’era nulla da fare.
“Chissà, forse con il passare del tempo….” Dissero.
Avevano sentito qualcuno dire che il tempo cura ogni cosa.
Ma i giorni passavano e il Principino non voleva saperne di camminare a testa in giù. Andava dicendo che il mondo era molto più bello visto dall’alto, anzi avrebbero fatto meglio anche loro a camminare come lui, non fosse altro che per buona educazione nei suoi riguardi.
Il Re e la regina diventavano ogni giorno più tristi. La Regina Madre ogni notte piangeva ed i suoi singhiozzi erano così forti che nessuno più riusciva a dormire nel Paese dell’Incontrario.
Ma così non si poteva più andare avanti.
E fu in quel tempo che si trovò a passare da lì un Maestro di Circo con il suo seguito di acrobati e saltimbanchi, il quale, non appena ebbe udito il problema che affliggeva il Re di quella contrada, chiese di essere ricevuto a Corte.
Il Re lo ricevette ma senza grande entusiasmo. Con un gesto alquanto annoiato e sbadigliando lo invitò a venire avanti.
Il Maestro di Circo si avvicinò al Re con un triplo salto mortale, due capriole e quattro piroette.
“Il caso non è per nulla difficile” Disse.
“Cose ben più curiose e perché no ridicole ho visto girando il mondo con i miei carrozzoni.” Aggiunse.
“La soluzione consiste semplicemente nel….” Si avvicinò quindi all’orecchio del Re e ridendo sotto i baffi gli sussurrò brevi parole.
Il Re non appena ebbe udito le parole del Maestro di Circo esclamò:
“Per tutte le cicale operose e le formiche canterine! Come ho fatto a non pensarci prima?”
“Imparare, basta imparare!”
Il Re provò e riprovò ad alzarsi in piedi e…. Meraviglia delle meraviglie, dopo due ruzzoloni, tre capitomboli e uno scivolone, ci riuscì.
Incredulo cominciò a camminare per lungo e per largo per tutta la sala del trono, tra lo stupore dei presenti.
Quando finalmente si fermò, prese la corona che si trovava ormai da troppo tempo sul pavimento accanto al trono e se la pose sulla testa.
Ed immediatamente diede ordine a tutti i suoi sudditi di imparare a camminare come lui.
All’inizio ci fu molta perplessità e costernazione, ma poi pian pianino tutti si rizzarono in piedi.
La Regina smise di singhiozzare così che ognuno riprese a dormire.
E ancora oggi, pensate, nel Paese dell’Incontrario si cammina a testa in su.
Ed è proprio lì che io ho visto il più grande Circo esistente al mondo.
enif
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La vera storia del Filo di Arianna
C’era una volta, e forse c’è ancora, in una città del lontano Oriente, un ricco mercante.
Il suo nome era Ajha-da-Pjhr.
Ajha-da-Pjhr, era solito partire per lunghi viaggi verso terre lontane, al ritorno dei quali le sue navi entravano nel porto cariche d’ogni genere di mercanzie.
Da lui si recavano i grandi e i ricchi, poiché nel suo Bazar vi si trovavano gli oggetti più stravaganti ed insoliti provenienti da ogni parte del mondo.
Stoffe arabescate e sete colorate erano ammassate alle pareti, dal soffitto pendevano lampadari e lumiere di vetro colorati, scrigni e cofanetti dall’aspetto misterioso erano ammonticchiati l’uno sull’altro fino a formare delle torri ed in ogni angolo del pavimento vi erano ceste e canestri ricolmi di gemme e pietre preziose.
Ed ancora bizzarri copricapo, piume variopinte, amuleti ninnoli e chincaglierie di ogni sorta.
Ajha-da-Pjhr orgoglioso mostrava a tutti ora un oggetto ora un altro:
“Ammirate questo piccolo capolavoro: questo uccellino meccanico allietava con il suo canto nientemeno che l’Imperatore della Cina!”
“Strabiliate davanti a questo Pomo d’Oro : esso fu la causa di un’antica discordia.”
“Guardate questa lampada, in un tempo assai lontano era la dimora di un genio!” E così via.
Ajha-da-Pjhr conosceva molte cose, ma una cosa non sapeva: quello che accadeva di notte nel suo negozio.
Questo proprio non lo sapeva.
Al calar della notte, infatti, quando giunge per gli uomini l’ora di chiudere gli occhi ed i pensieri della mente cedono il posto ai sogni, allora tutte le cose prendono vita, e così si animavano gli oggetti del Bazar e tintinnanti s’intrattenevano a raccontare ciascuno la propria storia.
Di storie se ne sentivano tante, ma la più bella la raccontò una notte un vecchio tappeto scolorito e rappezzato che si trovava arrotolato dietro un baule.
Nel silenzio della notte, con voce profonda cominciò così il suo racconto.
“Fui tessuto, tanti anni fa, da coloro che, da sempre, custodiscono, gelosamente, il segreto della manifattura dei tappeti volanti.”
Dovete sapere che un tappeto può nascere volante solo se desiderato tale.
Ma poichè non tutti sono capaci a desiderare dal profondo del cuore, le Tessitrici trascorrevano molti anni della loro vita ad imparare come fare.
E fu così che dal desiderio delle Tessitrici nacque un giorno il tappeto volante.
Era giovane e dai colori smaglianti, e come tutte le anime giovani poco sapeva dei fatti del mondo.
Volava spensierato nel cielo, andava giù in picchiata a grande velocità per poi risalire rapidamente un attimo prima di toccare terra, aveva imparato il giro della morte e a volte si abbandonava tra le braccia del vento e così scivolava sui prati fino a sentire il profumo dell’erba appena falciata, altre volte volava a filo dell’acqua del mare fino a vederne i rossi coralli, ed altre volte ancora volteggiava sulle città fino a sfiorare le alte torri dei palazzi.
Ogni tanto si fermava a riprendere fiato per poi continuare le sue ardite corse.
Era il tappeto volante più scapestrato che mai si fosse visto in giro!
Una forza irrefrenabile lo spingeva a volare senza mai fermarsi, così che di tutto ciò che aveva visto era come se non avesse visto nulla.
Un bel giorno, mentre sorvolava a grande velocità un fitto bosco, non si accorse che un filo della frangia era rimasto impigliato in un ramo di un albero.
Il tappeto continuò così a volare, ma pian pianino cominciò a sfilacciarsi.
Man mano che andava avanti le forze cominciarono a venirgli meno, finchè non si sfilò del tutto e non ne rimase più nulla: solamente un gran groviglio di fili intrecciati e colorati tra i rami del bosco.
Trascorsero così lunghi e silenziosi gli anni , finchè non si trovò a passare da lì un enorme ragno.
– “Ohi! Ohi! Esclamò il ragno
– “Ma guarda! Chi sarà stato mai così sciocco da abbandonare un intreccio così bello?
– “Certo, non è che sia stato fatto a regola d’arte” disse.
– “Ma con qualche accorta modifica potrà diventare una bella dimora dove allevare i miei piccoli, e poi una ragnatela così colorata chissà quanti insetti attirerà”
Così il grosso ragno si mise all’opera. E tira di qua e allunga di là, in poco tempo quello
che era rimasto del tappeto volante si trasformò in una gigantesca e variopinta ragnatela.
Terminato che ebbe il suo lavoro, il ragno soddisfatto vi si sistemò sopra e cominciò pazientemente ad attendere le sue prede.
Ma i giorni passavano e sulla ragnatela non rimaneva impigliata neanche una mosca.
Il fatto era che, anche se il tappeto non era più un tappeto, ogni suo filo serbava vivo in sé il ricordo di quando si alzava in volo, e libero si librava in aria insieme agli uccelli, per questo una volta diventato una ragnatela non riusciva a prendere neanche una moscerino.
Perciò,dopo qualche tempo, dopo aver invano sperato di catturare qualche insetto, il Ragno pensò che se non voleva morire di fame,doveva lasciare quella ragnatela tanto bella ma anche tanto inutile. E così, anche se a malincuore, se ne andò .
La ragnatela si ricoprì di foglie e rovi, a malapena si poteva distinguere. Gli alberi intorno a lei erano cresciuti fino a diventare una fitta foresta ed il sole solo qua e là riusciva a intrufolare i suoi raggi, tra le verdi fronde.
Un bel giorno di primavera si udirono dei passi provenire da lontano. Degli uomini attraversavano la foresta diretti al mare. Uno di questi ad un certo punto colpito da quella ragnatela così colorata pensò:
“ Se la prendessi, potrei farne una rete da pesca. Con una rete così chissà quanti pesci prenderò.”
E così fece. Non fu per niente facile liberare i fili dalle foglie secche e dall’erba , ma alla fine, il pescatore preso un capo della ragnatela cominciò ad avvolgerla fino a farne una grande matassa, quindi, si mise al lavoro. E allunga, stiracchia e annoda, alla fine le sue abili mani intrecciarono una bella e robusta rete da pesca.
“Non potete immaginare la sofferenza ad essere di nuovo teso, allungato, annodato e poi ancora legato , allacciato e tirato.” raccontò il tappeto.
“Finalmente dopo tanta pena, fui gettato in mare.”
“Sprofondare negli abissi, essere sospinto dalle correnti marine, fu come essere liberato dopo una lunga prigionia, per questo, decisi in quel momento che mai nessun pesce sarebbe stato catturato per causa mia.”
Così, quando il pescatore tirò su la rete, tra le sue maglie non trovò altro che alghe, qualche guscio di conchiglia vuoto, una vecchia ciabatta e nulla più.
“ Fui gettato nel mare ancora e poi ancora ma il risultato era sempre lo stesso.” Disse il tappeto.
Il pescatore dal suo canto, in vita sua non aveva mai avuto così tanta sfortuna, così abbandonò la rete tra i flutti del mare.
La rete finalmente libera fu trascinata per molto tempo dalle correnti marine da un continente all’altro, finchè un giorno un’onda più forte delle altre non la spinse sulla spiaggia di un’isola.
Per lungo tempo rimase su quella spiaggia ricoperta dalle alghe e dalla sabbia quando un giorno udì delle voci che si avvicinavano.
“Guardate che bella rete colorata!” esclamò una di loro. Due mani la raccolsero, la sgrullarono ben bene dalla sabbia e dal sale e poi la voce femminile continuò:
“Riavvolgerò tutti questi fili e ne farò un bel gomitolo” aggiunse
“ E fu così che come gomitolo entrai a far parte delle antiche leggende”
“ Ebbene si! Sono proprio io, ” proseguì il tappeto, ” ad aver aiutato un giorno la figlia del Re a liberare gli abitanti dell’isola dal terribile mostro del labirinto.”
Nel Bazar calò il silenzio. Chi lo avrebbe immaginato che quel tappeto così stinto e rabberciato potesse essere stato il famoso filo….!! Tutti lo guardarono con gran rispetto e riverenza ed impazienti lo invitarono a continuare il suo racconto.
“Per lunghi anni restai dimenticato tra le rovine del labirinto, ricoperto dall’edera e dall’erba. Quando un giorno fecero vela verso l’isola dei vascelli, degli uomini scesero a terra e portarono via dall’isola tutto ciò che trovarono. Mi ritrovai così chiuso nella stiva di una di quelle navi.
“Quella fu l’esperienza più terribile della mia vita. La nave ondeggiava di qua e di la ed io rotolavo una volta da una parte e una volta dall’altra, sballottato da destra a sinistra e da sinistra a destra senza posa, e poi ancora sbalzato in alto e in basso e di nuovo sbattuto e lanciato ora su di una parete ora sull’altra.”
” Finalmente, tutto quel dondolio terminò e qualcuno scese nella stiva mi vide, mi raccolse e pensò di fare di me un tappeto.
I miei colori non erano più così brillanti, in qualche parte mi ero sfilacciato e ci fu bisogno di cucire qualche toppa, ma, meraviglia delle meraviglie, mi accorsi che potevo di nuovo volare.
Così ritornai ad essere un tappeto , un po’ più sbiadito con un po’ più di toppe ma sicuramente un po’ più saggio.”
“Ricominciai a librarmi nell’aria e da quel giorno però feci sempre molta attenzione a non volare troppo vicino alle alte torri e agli alti alberi.”
Il mattino successivo le porte del Bazar rimasero chiuse. Aja-da Pjhr aveva levato le ancore ed era salpato per uno dei suoi lunghi viaggi.
Un filo invisibile lo tirava verso mete lontane.
Questo lui però ancora non lo sapeva.
FINE