“Siamo donne, oltre alle gambe c’è di più”. Sabrina e Jo Squillo lo cantavano a San Remo nel ‘91. Noi l’abbiamo ripetuto in tutte le salse, sussurrato sotto la doccia, urlato a squarciagola contro il buio della notte. Già. Oltre alle gambe c’è di più. C’è la libertà di pensare, fare, parlare. Di essere. La libertà di sentirsi libere. E la libertà di non farlo. C’è la parità dei sessi. L’emancipazione. Ma se di parità si tratta, perché quello femminile continua ancora a chiamarsi “il sesso debole”? Se di emancipazione si parla, perché un uomo dal passato magnanimo di donne gode del rispetto altrui, mentre una donna con medesima esperienza non è altro che una “poco di buono”? Controsenso. Ipocrisia. Un mondo che trasuda falsità, che si cela nel suo cellofan di buonismo e socialità ostentata, che arranca a destra e a manca tra manifestazioni di umanità e solidarietà estreme. Un mondo bugiardo, in cui c’è ancora bisogno quotidianamente di ripeterlo: “siamo donne, oltre alle gambe c’è di più”. E dietro ai castelli di cristallo che la nostra società ha tirato su mentre le donne continuano a sgomitare, ed a faticare quanto e più di un uomo, continuamente tese a dover dimostrare di esserci non solo per un visetto grazioso, dietro alle apparenti coltri dorate in cui si continua a straparlare della tanto consolidata parità dei sessi, si cela la verità. Una, semplice, indiscutibile. Uguali non siamo, ne mai lo saremo. Vuoi per ragioni fisiologiche, vuoi per sensibilità. Siamo uguali e diversi, simili. Parlare di parità dei sessi concepita con quel rigore militaresco che oggi la estremizza, sulla base di un’uguaglianza forzata, è un controsenso, un’utopia. Non saremo mai uguali. Comprendere ciascuno le diversità che fanno di un uomo un uomo, e di una donna una donna, e che in qualche modo al contempo li rendono l’un l’altro complementari, due tasselli dello stesso puzzle da legare assieme, è la giusta via.
Si può dunque ritenere la festa della donna un evento puramente consumistico? E’ realmente la “festa dei fiorai”? No. Assolutamente. Molti ne esaltano la valenza basso-goliardica, ma in maniera errata. Non è la festa delle donne allo sbaraglio, che per un giorno ed una notte si concedono le follie più estreme, e, lasciati i panni della donna tutta casa e chiesa, si ritrovano poi in un night ad assistere esaltate allo streap teas di un qualche bellimbusto. Ma neppure è, come la considera qualcun altro, una festività da vivere con lutto. La ricorrenza simbolica dell’otto marzo è certo per ricordare le 129 vittime del rogo scoppiato nel cotonificio a New York, nel 1908, tutte seppellite all’ombra di un albero di mimose. Ma non è solo questo. L’evento luttuoso lascia posto al ricordo di quello che è stato, dei soprusi e delle angherie, e soprattutto della liberazione, della dignità, delle conquiste, del diritto. E’ la voce delle suffragette uccise a testa alta negli scontri a fuoco, la conquista del diritto al voto raggiunto appena sessantuno anni fa. E’ la forza della dignità femminile, mai più immolata sull’altare dello “ius prime nocti” (usanza secondo cui la novella sposa doveva trascorrere la prima notte di nozze col signore locale, ed a lui concedersi prima che a suo marito). E’ l’abolizione dell’ergastolo femminile in caso di adulterio. La conquista del diritto alla legittimità della proprietà del consorte scomparso, che fino al ’75 si traduceva in misera usucapione. L’abrogazione dell’obbligo tutto femminile della dote (anch’esso risalente a circa trent’anni fa). La voce delle mamme-donne costrette a lavorare con turni di oltre 18 ore quotidiane, malpagate e maltrattate. E’ la voce delle donne bruciate al rogo per stregoneria, torturate per la loro bellezza, ambasciatrici e tentatrici di lucifero. E’la voce della mortificazione corporea (cilicio e frustate le più utilizzate) inflittagli per espiare il peccato originale. Della cintura di castità, che le rendeva proprietà ad uso privato. Di tutte quelle donne, che ancora oggi, in oriente, vengono mortificate dalla castrazione, sottoposte all’infibulazione, sfigurate con l’acido sul solo per aver rifiutato un corteggiatore. E’ il giorno in cui meditare sulle lotte, sul coraggio e sulla forza delle donne, che, prima di noi, ci hanno rese quello che siamo, e gioirne.