Potrebbe essere la resa dei conti della faida di Secondigliano. In una situazione completamente modificata rispetto all’anno scorso, a Secondigliano tornano in azione i killer. Vittime designate: due persone ritenute fedelissime al boss Paolo Di Lauro. Ciro Fabricino, 31 anni, e Ciro Fontanarosa, 30enne, sono stati uccisi nel pomeriggio di ieri da un commando di killer in via Labriola, al lotto G, nel cuore del regno degli uomini riconducibili all’esercito dei Prestieri, altra frangia di alleati dei Di Lauro. Fasi movimentate per il raid: la polizia intercetta parte del commando, colpi di pistola, forse un killer resta ferito di striscio. Subito dopo il delitto, tra panico e caos, «sentinelle» del clan, mescolate alla folla ostacolano gli altri poliziotti che cercano di fermare il fratello di una delle vittime, latitante da tempo. E nel frattempo vengono fermati – ma poi rilasciati – anche quattro presunti scissionisti, a bordo di moto, presumibilmente una parte del commando. Fotogrammi confusi nei quali, per l’intera notte, gli investigatori della squadra mobile con il dirigente Vittorio Pisani e il capo della omicidi Pietro Morelli, hanno cercato di fare chiarezza. Via Labriola, lotto G, ore 17,30 circa. Solita confusione, gruppi di persone ferme a parlare, per lo più giovani inseriti nel «sistema» o vedette per dare l’allarme e far sparire i pusher dello spaccio nel caso di improvvisi blitz delle forze dell’ordine. C’è un gruppo di quattro, cinque persone ferme a parlare: tra loro Ciro Fabricino e Ciro Fontanarosa. Secondo indiscrezioni, tra loro doveva esserci anche il fratello di Fabricino, Pasquale, detto il «dobermann», da qualche mese latitante. D’improvviso il rombo di quattro motociclette in formazione interrompe il conciliabolo del gruppo. Istintivamente si voltano in direzione dei motociclisti: in due, su un Beverly 250 grigio hanno passamontagna, il guidatore, e casco il passeggero. Tutti capiscono che si tratta di killer e che sono lì per loro. La fuga immediata non riesce a far salvare Ciro Fabricino e Ciro Fontanarosa, raggiunti proprio dalla coppia sul Beverly. Le altre moto, una Hornet, una Transalp e forse una Honda SH, coprono il gruppo di killer. Sparano in due, forse un’altra coppia del commando si muove per raggiungere il loro obiettivo, presumibilmente l’altro Fabricino. Sicuramente sono due le pistole a far fuoco: lo accerteranno poco dopo i tecnici dei rilievi balistici della polizia scientifica con la dirigente Fabiola Mancone. Mentre con due auto, una Honda e una Mercedes, i due feriti vengono accompagnati all’ospedale Cardarelli (moriranno poco più tardi) scatta la caccia ai killer. Una prima volante della polizia giunge sul luogo del delitto, attirata dalle deflagrazioni: l’inaspettata presenza degli agenti costringe il commando a una rapida ritirata. Le quattro moto fuggono, ma sul Beverly c’è una sola persona. Gli agenti notano un uomo fuggire, lo inseguono. L’uomo, arma in pugno, si volta per sparare ma probabilmente la sua pistola è scarica. Dalla volante parte un colpo. Sembra che l’uomo sia stato ferito. Ma la folla rallenta l’azione della polizia: difficile capire se si tratta del killer o del fratello latitante di Fabricini. Comunque, secondo quando riferito dagli agenti, l’uomo sarebbe stato colpito, ma in maniera lieve, considerato che nessun sospetto si è presentato negli ospedali per farsi medicare. Nel frattempo iniziano perquisizioni a tappeto. In quattro vengono fermati: potrebbe essere la scorta del commando. Sono stati accompagnati in questura e sottoposti alla prova dello stube, mentre i loro abiti sono stati sequestrati, sempre per accertare la presenza di polvere da sparo. Particolare decisivo per definire la loro posizione.
MAURIZIO CERINO
«Sembrava il Far West, ci siamo barricati nel portone»
Quei lunghi, interminabili minuti della sparatoria in via Labriola, dapprima con l’agguato dei sicari e poi con il conflitto a fuoco tra poliziotti e assassini in fuga, ha fatto ripiombare l’intero quartiere nel terrore. La mente dei commercianti e degli abitanti è tornata subito a un anno fa, quando le armi dei clan in lotta sparavano un giorno sì e l’altro pure. Volti terrorizzati, poca voglia di parlare. Proprio le stesse scene di allora, come se il tempo si fosse fermato. «Sì, è così, sembra che il tempo non sia passato – dice un passante che naturalmente preferisce mantenere l’anonimato. Quando ho sentito i colpi di pistola mi sono barricato nel portone di quel palazzo. Non ho visto niente, ho solo sperato che finisse tutto al più presto». Finire presto. «Ma qui non finirà mai – dice una giovane madre mentre spinge il carrozzino con la sua bimba di pochi mesi. Scampia non trova pace, Scampia non trova mai pace…». In un bar non lontano dalla circoscrizione si gioca al lotto: 2-18-47-90, due (il numero delle vittime), diciotto (il sangue), 47 (il morto) e novanta (la paura). Capita anche questo nel quartiere senza pace dove il lutto e la disperazione sono sempre dietro l’angolo, esattamente come dietro l’angolo ci sono, immancabili, i pusher, gli spacciatori di droga che si danno il cambio ogni otto ore, giorno e notte. I numeri al lotto diventano il simbolo di questa disperazione: e il 90, la paura, non può mai mancare nella quaterna della faida ritrovata. Paura e silenzi. Tra questi casermoni illunimati dai lampeggianti blu delle volanti della polizia che ora sfrecciano veloci le solite facce. I volti dei bambini, distratti dalla presenza della polizia mentre si sfidano a guardia e ladri, inconsapevoli e innocenti mentre maneggiano pistole giocattolo più grandi di loro; le facce inespressive delle donne, ragazze poco più che ventenni alle quali il tempo ha cancellato antichi segni di bellezza, ragazze già mamme e giovani donne in qualche caso già nonne. «La camorra? Noi non ne vogliamo sapere niente, via, via di qua», tuona una bionda ossigenata mentre torna a casa con le buste piene di spesa. Via di qua, intima al cronista e al fotografo. Via da Scampia. La chiamano Valentina, ha tre figli e un fratello disabile da mantenere a casa. Tre anni fa ha perso il marito in un agguato di camorra. Non erano tempi di faida. Ma era già tempo di morire, a Scampia.
LE INDAGINI
È scattata l’ultima offensiva contro i fedelissimi di «Ciruzzo»
Una vendetta estrema contro ciò che ancora resta del clan Di Lauro a Scampia e a Secondigliano. Le indagini della polizia sull’ultimo duplice omicidio di ieri, coordinate dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia, non escludono alcuna pista ma puntano a privilegiare quella delle «vecchie ruggini», incrostazioni criminali che risalgono a un anno fa. Da questo punto di vista sarebbe quindi prematuro parlare di una «nuova faida». In realtà le indagini partono da un punto di partenza che è un dato di fatto: il predominio incontrastato del clan di «Ciruzzo ’o milionario» (Paolo Di Lauro) è ormai solo un ricordo. I Di Lauro sembrano in rotta da tempo: e in questo momento gli scissionisti ne starebbero approfittando per rimuovere quelle che un investigatore definisce «le ultime scorie» del gruppo di nemici giurati. La verità è che a Scampia, e sempre più anche a Secondigliano, nel feudo che fu di Paolo Di Lauro, a comandare sono oggi gli «spagnoli», o «scissionisti». Hanno atteso un anno. Oggi si danno da fare per colpire gli utimi fedelissimi dei Di Lauro. Da questo muovono le indagini. Delicate e difficili, come sempre. Ostacolate dall’omertà imperante in ambienti difficili, a Scampia come alla Sanità. Sullo sfondo resta il controllo di un business milionario che è il mercato delle piazze della droga (che nel frattempo sembra essere ricominciata a scorrere a fiumi, dopo l’inevitabile riduzione dovuta un anno fa alla stessa faida di camorra. È dunque sempre la stessa faida, rinnovata dal vento che ha riacceso quella fiamma che covava sotto le ceneri di un conflitto mai sopito. Ed ora torna il terrore. Tra la gente perbene (tanta) di Secondigliano e Scampia, come tra le famiglie di pregiudicati e camorristi che ancora riconoscono l’autorità di Paolo Di Lauro.
giu.cri.
Droga e vendetta, così è saltata la tregua
Il quartiere della mattanza ripiomba nel terrore. Le ostilità fra le cosche si erano riaccese venti giorni fa
Sette mesi dopo la cattura di Ciruzzo ’o milionario equilibri di nuovo in pezzi e coprifuoco per le strade
di GIUSEPPE CRIMALDI
C’è il controllo del mercato della droga dietro la nuova esplosione di violenza a Scampia. Un controllo che significa tutto. E che riesce a garantire, a chi lo detiene, completo potere di vita e di morte su un intero quartiere. Brutte notizie da Scampia. Nei quartieri dell’area nord di Napoli, nelle periferie urbane che sconfinano nella fascia dei Comuni settentrionali, da Melito fino a Casavatore, torna a soffiare vento di faida. La senzazione che affiora è che, sotto le ceneri lasciate da una vera e propria guerra consumata un anno fa tra due fazioni avverse – il gruppo Di Lauro contro gli «scissionisti» di Raffaele Amato – sia rimasto ancora del fuoco. E, si sa, il fuoco covato a lungo può riprendere improvvisamente a bruciare. Basta poco. Basta uno sgarro, una partita di droga passata nelle mani sbagliate o non pagata, come l’invasione improvvisa di una «piazza» per lo smercio degli stupefacenti da parte di chi ha mire criminali espansionistiche a rompere i fragili equilibri costruiti non tanto su un accordo vero e proprio quanto sulla debolezza reciproca. Il clan Di Lauro, come la scheggia scissionista che da quella stessa famiglia si è staccata per impiantare un proprio gruppo, sono stati decimati da arresti e omicidi. Le manette scattate ai polsi di Paolo Di Lauro, preso dai carabinieri un venerdì mattina del settembre 2005, sembrarono chiudere definitivamente le ostilità. Era così. Ma non poteva durare. Sette mesi dopo, i segnali che la fragile pax mafiosa costruita tra Secondigliano e Scampia è già solo un ricordo trova tragiche conferme in almeno tre episodi. Vediamo quali. Il primo episodio risale al cinque marzo. È una piovosa domenica che invita a restarsene a casa o a rintanarsi in un cinema o in qualche locale. All’uscita della sala Bingo di Mugnano, affollata da trecento persone, due sicari aprono il fuoco contro Carmine Amoruso, pregiudicato 44enne. L’uomo, dalle prime indagini dei carabinieri, era legato alla fazione degli scissionisti. Si indaga nel mondo del traffico della droga, ma tutte le strade, poi, finiscono per intersecarsi e portano in una sola direzione: l’antagonismo Di Lauro-scissionisti. Passano una decina di giorni e i killer tornano in azione: sette colpi di pistola per uccidere Francesco Pandolfo. Accade il 14 marzo a Secondigliano, non lontano dalle finestre di una scuola media e sotto gli occhi di decine e decine di ragazzini. Il bersaglio viene clamorosamente mancato: non muore, ma viene ferito. E questo è il secondo segnale. L’ultimo episodio è quello di ieri pomeriggio. Sicuramente il più clamoroso, per le modalità di esecuzione. Le due vittime – Ciro Fabricino e Ciro Fontanarosa – erano molto vicine alla famiglia Di Lauro. L’offensiva degli scissionisti sembra solo iniziata.