Lo Stato non poteva attendere,
non poteva tirare i remi in barca,
occorreva una risposta decisa. E
quella risposta non tardò ad arrivare.
Nella notte tra il sette e l’otto
dicembre del 2004, Secondigliano,
Scampia, Mugnano e tutta
l’area nord della città, sussultò
per lo stridente rumore delle sirene
delle auto delle forze dell’ordine
e delle pale degli elicotteri
che sorvegliavano dall’alto le
possibili vie di fuga dei ricercati.
Cinquantuno furono gli arresti,
quattordici i latitanti, 1.800 gli
uomini delle forze dell’ordine
impegnate. Ieri trentatré di loro
sono stati giudicati con il rito abbreviato.
La sentenza è stata decisa
dai giudici della trentanovesima
sezione gup del tribunale di
Napoli, presidente Scandone
mentre l’accusa era sostenuta dal
pubblico ministero della Dda
Luigi Frunzio. Una mole impressionante
di pagine di intercettazioni
ambientali e telefoniche
supportate dalle dichiarazioni di
due collaboratori di giustizia
Pietro Esposito e Domenico Rocco.
Un lavoro certosino quella
della Procura che in pochi mesi
sgominò una buona fetta dei due
clan che si fronteggiavano per il
controllo delle piazze di droga.
Solo due degli imputati sono
stati assolti con formula piena
dalla contestazione di 416 bis come
appartenenti al clan Di Lauro.
Si tratta dei fratelli Salvatore e
Vittorio Meola difesi dall’avvocato
Giuseppe Pecoraro. La pena
più alta è stata inflitta a Giuseppe
Grassi, 21 anni, che ha incassato
otto anni di reclusione. Il
giovane confessò di aver sparato
contro quattro militari dell’Arma
per sfuggire ad un arresto. Uno
dei presunti capi della scissione,
Arcangelo Abete, difeso dagli avvocati
Vincenzo Mazza e Michele
Cerabona è stato condannato a
6 anni e 8 mesi.
Stessa pena inflitta ad un altro
dei presunti ras scissionisti, Gennaro
Marino alias “Genny ’o
Mckay” che a fronte di una richiesta
di 10 anni avanzata dal
pm ha incassato 6 anni e otto mesi.
Soddisfazione quindi per il
suo difensore, il penalista Luigi
Senese. Lo stesso avvocato ha poi
ottenuto dei sostanziali successi
anche per Ciro Nocerino (4 anni
e 8 mesi) e Vincenzo Rispoli
(quest’ultimo assistito anche da
Francesco Lubrano) che ha incassato
3 anni di carcere; ma anche
per Luigi Secondo, difeso
con Carlo Ercolino (3 anni) e Vincenzo
Pariante, fratello di Rosario
che da una richiesta a 10 anni
di carcere è stato condannato
a 4 anni e 8 mesi.
Per il collaboratore Domenico
Rocco la pena è stata di due anni
e sei mesi. Per Paolo De Lucia, difeso
dall’avvocato Mario Bruno il
verdetto è stato positivo in quanto
ha incassato tre anni di carcere
a fronte dei 6 anni e 4 mesi.
Successo anche per Raffaele
Chiummariello e Rendina che
hanno difeso Massimiliano Cafasso
anche egli considerato uno
dei capi degli scissionisti del
clan Di Lauro: ha incassato tre
anni di reclusione a fronte dei sei
anni e otto mesi richiesti dalla
pubblica accusa. Luigi Petrone
cognato di Vincenzo Di Lauro, figlio
del padrino Paolo alias “Ciruzzo
’o milionario” ha incassato
tre anni. Biagio Esposito dai
sei anni chiesti dal pm è passato
a tre anni e quattro mesi, difeso
dall’avvocato Gennaro Marano.
Francesco Barone ha incassato
invece quattro anni e otto mesi: è
difeso dagli avvocati Carlo Ercolino
e Nicola Cappuccio.
Omicidio Verde, ergastolo ad Ugo De Lucia
Prima ammazzò e poi bruciò il suo cadavere
senza alcuna pietà, solo perché non aveva
rivelato il nascondiglio del suo amico, uno degli
scissionisti al clan Di Lauro. Ma ieri è arrivata la
sentenza che ha messo il primo masso (si intende
che però è una sentenza non definitiva ma solo di
primo grado) per assodare le colpe per il truce
omicidio di Gelsomina Verde, la 21enne di San
Pietro a Patierno, punita come un boss, trattata
come un animale.
Fu quello, uno dei momenti più tristi della faida
di Secondigliano e anche il più duro, quella stessa
giornata, il 21 novembre del 2004 si contarono
quattro morti nel giro di meno di 24 ore. In una
tabaccheria di Melito furono massacrati di
proiettili Domenico Riccio e Salvatore Gagliardi,
ritenuti affiliati agli scissionisti perché secondo la
Procura e gli investigatori erano coloro i quali
cambiavano gli assegni ai boss del clan dei ribelli.
Anche per questo duplice omicidio il
responsabile, secondo i giudici del
trentanovesimo gup del tribunale di Napoli, è Ugo
De Lucia. «Ergastolo», ha pronunciato il giudice
Scandone. Carcere a vita per il presunto braccio
armato del clan Di Lauro colui che si è macchiato
di uno dei crimini più atroci della faida dell’area
Nord. L’ergastolo era poi la pena chiesta dal
pubblico ministero della Dda Luigi Frunzio.
Storia diversa per il collaboratore di giustizia
Pietro Esposito anche lui coinvolto nell’atroce
delitto.
“’O kojac” ha incassato sette anni e otto mesi
perché rispondeva della violazione all’articolo
116 ovvero “ di reato diverso da quello voluto dai
suoi concorrenti”. Fu lui a rintracciare Mina
Verde e a portarla al cospetto dei suoi aguzzini.
Secondo le sue dichiarazioni, che hanno poi
incastrato Ugo De Lucia, lui non sapeva che
l’avrebbero ammazzata. «Mi era stato detto che
volessero picchiarla», poi si è allontanato
FABIO POSTIGLIONE – IL ROMA 4 APRILE 2006