Morto Salvatore Riina, detto Totò ‘o curtu, è il momento per ‘cosa nostra’ di riorganizzarsi e di stabilire quali siano le nuove gerarchie. Molti hanno individuato in Matteo Messina Denaro il successore del capo dei capi, ma le cose potrebbero essere ben diverse rispetto alle ‘credenze popolari’. Gli investigatori non sono convinti che possa essere lui l’uomo destinato a prendere in mano le redini del sodalizio criminale siculo. Ad esserne convinto è anche il questore di Palermo che ha affermato: “Non c’è traccia investigativa che suggerisca una vera influenza di Messina Denaro fuori dal mandamento di Trapani“, dice Cortese. “Certo è forte di una latitanza lunga 25 anni e dei rapporti storici coi corleonesi: ma queste credenziali come sono spendibili nei confronti del resto dell’organizzazione? La presenza sul territorio è importante“.
Due pezzi da Novanta liberati di recente sono nuovamente finiti in gabbia. Si tratta de boss di Porta Nuova, Tommaso Di Giovanni, e di Giulio Caporrimo, l’ex “confessore” di Massimo Carminati. A piede libero, invece, rimangono personaggi come Giovanni Grizzaffi, figlio di Caterina Riina e nipote di Totò, ma anche il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, il medico che sostenenva Totò Cuffaro alle elezioni, scarcerato e ora residente a Roma. In giro è tornato ormai da qualche mese anche Gaetano Scotto, indicato dai pentiti come il trait d’union tra Cosa nostra e i servizi segreti negli anni neri delle bombe e coinvolto nelle inchieste sulla strage di via d’Amelio.
In molte intercettazioni raccolte in questi anni, una delle frasi ascoltate più volte è che finché fosse stato in vita Totò Riina le cose non sarebbero cambiate. Insomma, era ancora lui il capo e si doveva fare a modo suo. Ma adesso, come affermano personalità autorevoli e conoscitori della scena criminale, potrebbe aprirsi un dibattito interno – non sempre pacifico – per decidere, tra le correnti di pensiero, quale sia quella da adottare.