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E’ già finita l’era del Milan cinese: non si sa di chi fossero i soldi spesi un anno fa

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Nemmeno il tempo di cominciare realmente che è già finita. Parliamo dell’era cinese dell’AC Milan. Lo scorso ottobre, dopo mesi in cui la parola “closing” è entrata a far parte del vocabolario comune – legato al calcio -, Yonghong Li diventava proprietario del Milan e, quindi, presidente capo. L’operazione fu completata sulla base di una spesa mostruosa, impossibile da quantificare per i comuni mortali. Che poi sarebbero la maggior parte dei tifosi che riempiono gli stadi. Il CorSera, qui, ha quantificato i 698 i milioni spesi da Yonghong Li per l’acquisto e la gestione del Milan, fino alla tarda serata di ieri. 698 milioni di euro per 452 giorni di proprietà e gestione di uno dei club più prestigiosi del campionato italiano. Insomma, non esattamente un buon affare, si potrebbe sentenziare. Un affare talmente fallimentare che la valanga di dubbi e perplessità cominciata a venir giù da ieri sera è tanto inarrestabile quanto legittima.

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Foto LaPresse – Spada, 28 Agosto 2017 – Milano, Casa Milan

Paga il Milan 700 milioni, ma lo perde per 32 non restituiti al fondo Elliot

Il CorSera, non a caso, si chiede come sia possibile che un imprenditore abbia deliberatamente perso quasi 700 milioni di investimenti a causa di un mancato rimborso da 32. Esattamente. Li ha perso il Milan per non aver rimborsato 32 milioni di euro al fondo Elliot, entro i termini prestabiliti. E’ facile percepire l’irrisorietà della cifra non saldata a fronte di quella pagata circa 500 giorni fa. Tanto da restare perplessi. Com’è possibile che un imprenditore dalla forza economica imponente, che solo ad ottobre comprava il Milan per 700 milioni di euro, non riesca a ripagare un prestito di soli 32 milioni? E’ evidente che la montagna di soldi pagata a Fininvest – quindi a Berlusconi – non provenisse dalle tasche di Li. Stesso motivo per il quale il fumoso e misterioso imprenditore cinese non ha avuto modo di rimborsare un prestito irrisorio al fondo Elliot.

A questo punto, ripercorrere la strada spianata dall’inchiesta di Milena Gabanelli, ex direttrice di Report e ora proprio al Corriere della Sera, appare esercizio di prassi. Già nel corso della stagione, il New York Time si è impegnato nel dimostrare che Li non è proprietario di nessuna miniera di fosforo, ne in Cina ne da nessun altra parte, contrariamente a quanto dichiarato ai media internazionali. L’unico dettaglio dato in pasto all’opinione pubblica si è rivelata una fake news: Li, ancora oggi, resta un vero mistero. O forse no. Seguire il denaro, come spesso accade, è utile a capire chi è che muove i fili.

Si può parlare di riciclaggio?

Ma, si sa, quando ci sono di mezzo i paradisi fiscali e i fondi monetari (come Elliot), seguire le tracce diventa quasi impossibile. Intanto, si può discutere dei fatti. E i fatti dicono che il Milan non è più cinese e nemmeno europeo, che Yonghong Li ha perso il club per un mancato rimborso di una cifra ridicola (se paragonata al prezzo d’acquisto). E che, in ultimo, tutto era stato ampiamente previsto. A giorni verrà riorganizzato il CDA rossonero. Intanto, cominciamo a sostituire “riciclaggio” alla parola “closing”.

 

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