«Era meglio che le guardie il 6 aprile mi uccidevano, sono stato picchiato per ore, non finiva mai». Queste le parole dell’ex detenuto Raffaele Egheben pronunciate al maxiprocesso sui pestaggi commessi dagli agenti penitenziari il 5 aprile 2020, in pieno lockdown per il Covid, ai danni di decine dei detenuti a Santa Maria Capua Vetere. Dunque 105 gli imputati tra poliziotti carcerari, funzionari del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e medici dell’Asl di Caserta.
Egheben ha raccontato di essere stato preso dalla cella da: «Un agente di sua conoscenza che era entrato con 4-5 agenti con casco e senza, mi hanno colpito e poi portato nell’area socialità, dove con altri detenuti mi hanno fatto inginocchiare picchiandomi con il manganello. A quel punto un altro agente (riconosciuto come l’imputato Crocco, ndr) mi ha preso portandomi in una stanza dove non c’era nulla, mi ha colpito con un pugno da dietro ma mi sembrava volesse salvarmi; in questa stanza ci stava solo Tasseri, altro detenuto vittima costituitasi parte civile, che era ferito e stava a terra».
«Poi la Commissaria ha detto ad un agente di portarmi giù e mi hanno condotto, attraverso il corridoio dove gli agenti destra e sinistra mi hanno continuato a picchiare, in una stanza vicino all’ufficio di sorveglianza. Qui è venuto anche un medico che ha detto che stavo bene, e hanno continuato a darmi calci e manganellate, poi mi hanno portato al Reparto Danubio e anche lungo questo tragitto mi hanno picchiato. Un agente con i baffi ha preso un secchio con la spazzatura e me l’ha buttato addosso, dandomi due calci al sedere. ‘Questa è la corona che ti mettiamo in testa’ diceva», conclude il racconto di Egheben .