Si appella alla Corte europea dei diritti dell’uomo, si ispira ai principi della tradizione giuridica europea, quella – per intenderci – della migliore cultura illuministica. Ad invocare «giusto processo», «rispetto per le regole», non è un anonimo cittadino convinto di aver subìto torti nel corso di un dibattimento, ma il presunto protagonista della svolta stragista dei casalesi: Giuseppe Setola rompe un anno e mezzo di silenzio e chiede giustizia alla Corte europea.
Lui, il presunto stragista, l’incubo dei nordafricani di Castelvolturno, il terrore di imprenditori e testimoni di giustizia: l’uomo che dovrà difendersi dall’accusa di aver commesso 18 omicidi in pochi mesi, a partire dalla terribile primavera del 2008. Condannato all’ergastolo in via definitiva – inappellabile «fine pena mai» -, Giuseppe Setola non ci sta e si rivolge alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ventisette pagine, firmate dal penalista napoletano Salvatore Maria Lepre, per chiedere la fissazione di un’udienza in grado di dare una spallata alla ricostruzione dei giudici italiani: per chiedere, in soldoni, la revisione del processo sull’omicidio di Genovese Pagliuca, delitto consumato il 19 gennaio del 1995 nella piazza di Teverola, da un commando messo in piedi dai vertici del clan Bidognetti.
È il primo ergastolo per il presunto stragista, in attesa che si definiscano altri processi, tra cui l’eccidio dei nigeriani di Castelvolturno. Un verdetto che Setola non esita a definire «aberrante», al termine dell’istanza spedita ai giudici di Strasburgo. Chiaro il ragionamento nella richiesta di revisione: ben sei pentiti sostengono che l’omicidio Pagliuca venne deciso da Aniello Bidognetti, ma anche che Giuseppe Setola non fosse presente al momento del delitto. Anzi: su questo punto la batteria di collaboratori di giustizia sembra concordare in pieno. Ed è qui che l’imputato batte i pugni: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente», si legge nell’esposto, e «il ricorrente ritiene che la decisione finale adottata dalla Corte di Cassazione, violi questo dettato dell’articolo sei della convenzione europea dei diritti dell’Uomo».
Dribbling in piena regola dei giudici nazionali, per chiedere un intervento diretto delle toghe di Strasburgo. Si parte dalla ricostruzione della dinamica del delitto, una storia che per la verità riproduce scene già viste, qui tra Napoli e Caserta: Aniello Bidognetti decide di uccidere Pagliuca, «reo» di aver minacciato di morte il nipote, ma anche di essere entrato nel clan avversario dei Picca. Si muovono due auto piene di killer e armi da guerra, uno stop in casa della convivente del boss, poi la decisione finale: basta un’auto di killer per uccidere Pagliuca, mentre – stando al racconto dei pentiti – l’altra auto può fare ritorno a casa. Fatto sta che nella seconda vettura, quella che non andò a stanare Pagliuca, c’era anche Setola, che non avrebbe partecipato così concretamente all’omicidio, pur avendo offerto la propria disponibilità da buon soldatino di Bidognetti.
Ecco cosa si legge nell’esposto, riferendosi all’interpretazione della Cassazione: «La Suprema corte italiana, anche nei casi di istigazione, in cui ha riconosciuto la responsabilità del complice morale, lo ha fatto allorquando questi era, in ogni caso, presente sul luogo del commesso delitto, mentre nella vicenda del Setola, allorquando in maniera esponenziale le maglie della configurabilità del concorso morale e, quindi, arretrando in maniera assolutamente aberrante la soglia della punibilità, ha condannato all’ergastolo un soggetto che nemmeno era presente al momento dell’omicidio». Insomma, Setola si rivolge alle toghe dell’Unione europea, insistendo sul rispetto dei diritti umani: basta un «previo accordo» per accordare l’ergastolo a chi non era presente sul luogo dell’omicidio e non vantava neppure il ruolo di mandante? Domanda su cui si sono espressi i giudici italiani, in una vicenda che potrebbe riaprirsi, con l’intervento (tutt’altro che scontato) di Strasburgo. La parola passa ora alla Corte, dopo l’istanza del presunto stragista che, secondo la Dda di Napoli, uccideva persone inermi, sfoderando rabbia e odio razziale.
Leandro Del Gaudio
Il mattino il 14/04/10