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domenica, Giugno 30, 2024
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L’ex segugio della Procura diventato amico dei potenti
L’arresto Borzacchelli

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GIUGLIANO. A metà degli anni Novanta era il terrore di tanti politici perché considerato il segugio dell’antimafia nella pubblica amministrazione. Ma anche allora il maresciallo Antonio Borzacchelli, con quel suo fare un po’ gigionesco, sempre spavaldo e amicone, otteneva qualche favore personale perfino dai superinquisiti. Magari senza chiederlo. Come era accaduto con l’assunzione della moglie al gruppo parlamentare della vecchia Dc, proprio all’Assemblea siciliana dove si ritrovava spesso in divisa da carabiniere, inseguendo tangenti e malaffari.
Pioniere di un veniale conflitto di interessi, tra i soffici saloni di Palazzo dei Normanni ha cristallizzato col tempo le sue amicizie eccellenti. Soprattutto con la svolta del 2001. Con l’elezione a deputato, sponsorizzata dal líder máximo dell’Udc sicula, Totò Cuffaro, il presidente della Regione adesso preoccupato perché sa quanto si incrocino le due inchieste in corso su mafia, politica e talpe. Un magma giudiziario sfociato in arresti e incriminazioni che fanno traballare il governo, rendono incerto il quadro politico e forse portano a una sua candidatura alle Europee, passaggio obbligato per una immunità non prevista all’interno del più antico parlamento del mondo, appunto quello siciliano. Antico, ma più d’altri soggetto alle insidie di una questione morale che il maresciallo-onorevole Borzacchelli ha potuto misurare da inquisitore e da inquisito.
Per mettere a fuoco il personaggio bisogna risalire ai tempi di Salvatore Sciangula, potente assessore andreottiano morto d’infarto nel ’95, gran collettore delle tangenti pilotate soprattutto all’ombra dei costruttori agrigentini e del loro capofila, Filippo Salamone. Fu soprattutto il contatto con Sciangula a far scoprire al maresciallo le perversioni e le tentazioni della politica. Pronto a combatterle e lasciarsene ammaliare. Lottando per il Bene e assaporando le spezie del Male. A faccia a faccia con uomini politici prima disprezzati, poi risultati mediocri, infine quasi invidiati, come gli accadde lavorando a fianco del giudice Giorgianni a Messina. Impegnato notte e giorno in inchieste afflosciatesi via via, con l’Antimafia ufficiale poi scagliatasi contro il magistrato frattanto volato in Parlamento.
Altre delusioni a Palermo, operando accanto a un pm come Lorenzo Matassa, inflessibile, pronto nell’era Caselli a scavare sull’amministrazione di Leoluca Orlando e sulle cooperative rosse. Tutto arenatosi via via. Con Matassa dubbioso, insoddisfatto, ma capace di sublimare difficoltà e delusioni nella letteratura, scrivendo romanzi che non ruotano sul cliché del commissario Montalbano, ma su investigatori disincantati, sconfitti, convinti infine che la giustizia sia solo uno scontro fra poteri.
Ecco, forse, il vero identikit di Borzacchelli che da carabiniere, appena morto Sciangula, si presenta al figlio Alfonso, allora ventenne, deciso a puntare il dito contro tanti amici del padre perché convinto dell’esistenza in Sicilia di un «tesoro» della Democrazia cristiana sottratto e occultato dopo l’infarto. Un sospetto rilanciato proprio ieri al Corriere : «Ero “un tranquillo figlio di famiglia” come mi definirono Salamone e altri. Ma grazie a loro ho cominciato a leggere 300 pagine al giorno di atti giudiziari. E capisco perché all’orazione funebre esaltarono uno “Sciangula morto povero”. Per cancellare a parole le tracce del “tesoro” del quale aveva parlato mio padre, spiegando che quanto otteneva lo metteva a disposizione del partito. Come, penso, abbia detto da carcerato a Borzacchelli. E chi si materializza per soffocare i miei dubbi, i miei sospetti? Lui. Mi mandarono Borzacchelli. E io andai via dalla Sicilia».
Non torna più nell’isola il figlio di Sciangula che adesso evoca l’episodio con un solo scopo: «E’ il momento di cercare quella verità. O la trova la Procura di Palermo o non la conoscerò mai più». Un colpo di clava inatteso per Borzacchelli. Non solo per il maresciallo dalla battuta ad effetto. Come l’ultima riferita alle talpe: «Non vorrei che in quest’inferno uscisse Dell’Utri ed entrasse Cuffaro». Ombroso e spaventato, cosciente d’essersi immerso nelle sabbie mobili, stando allo sfogo di novembre: «La verità è che uno i nemici deve cercarseli a casa propria». Un modo per aprire squarci illuminanti su una «guerra» fra Udc e Forza Italia per i finanziamenti ai centri (privati) anticancro.
E lui se ne intende perché la sua fortuna la radica attorno a Michele Aiello, il potente con radici a Bagheria, il paese famoso per i quadri di Guttuso, le poesie di Buttitta, i film di Tornatore, i libri della Maraini. Ma i tempi cambiano e sulle ville del ’700 campeggia l’ombra obliqua del Centro diagnostico di questo costruttore in rapporti con qualche boss mafioso, forse pure Provenzano, amico di altri potenti, a cominciare da Cuffaro. Tutte frequentazioni che lo portano a cancellare il disprezzo per il malaffare con una sorta di mutazione genetica sfociata infine nel ruolo di grande talpa.



Felice Cavallaro – INVIATO DEL CORRIERE DELLA SERA a PALERMO – 8 febbraio 2004






IL PERSONAGGIO



GIUGLIANO. Da carabiniere aveva messo piede all’Assemblea regionale siciliana per la perquisizione, durante il periodo di tangentopoli, in una di quelle stanze che qualche anno dopo lo avrebbero ospitato da deputato. Quella fu la prima volta a palazzo dei Normanni del maresciallo Antonio Borzacchelli, 43 anni, che nel 2001 trovò un posto tra i novanta di sala d’Ercole. Ieri mattina è stato arrestato proprio dai suoi ex colleghi. Originario di Giugliano, in Campania, in occasione delle prime consultazioni per l’elezione diretta del presidente della Regione, l’ex sottufficiale stava dalla parte del vincitore, il governatore Salvatore Cuffaro; dall’altra, come candidato a presidente per il Centrosinistra, c’era Leoluca Orlando, sul quale Borzacchelli aveva indagato quando lavorava al fianco del pm Lorenzo Matassa, nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti del teatro Massimo, conclusa con l’assoluzione dell’ex sindaco.
Forte del suo elettorato, per candidarsi il maresciallo scelse la lista del Biancofiore, formazione guidata da un ex socialista, che non ce la fece a essere eletto. Il capolista fu stracciato dall’emergente Borzacchelli, che ottenne oltre 4mila e 500 voti. All’Assemblea regionale entrò nel gruppo parlamentare dell’Udc. Di poche parole, parsimonioso nell’attività parlamentare, l’ex maresciallo ha l’aria di chi conosce uomini e cose. «La verità è che i nemici bisogna cercarseli a casa propria», disse lo scorso autunno, commentando l’inchiesta sulle talpe alla Dda di Palermo. Secondo Borzacchelli anche una precedente indagine (denominata Ghiaccio 2) che vede indagato Cuffaro per concorso in associazione mafiosa, sarebbe nata da uno scontro interno alla Casa delle Libertà: «Non vorrei che dai guai giudiziari uscisse dell’Utri – aveva affermato – ed entrasse Cuffaro». Per il suo amico e condomino Michele Aiello, Borzacchelli ha sempre mostrato grande affetto: ha solidarizzato con lui quando la Regione ritardava i pagamenti alle strutture convenzionate di proprietà dell’ingegnere di Bagheria, definito «un uomo che si è costruito da solo lavorando 24 ore al giorno». L’ultima sua apparizione pubblica risale a domenica, durante la direzione regionale dell’Udc, con i vertici del partito. Sollecitato in quell’occasione dai cronisti a parlare delle indagini sulle talpe in Procura, aveva detto che avrebbe spiegato tutto al momento opportuno.

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IL MATTINO 8 FEBBRAIO 2004

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