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mercoledì, Maggio 1, 2024
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La storia di un affresco contestato come complotto dei Frati Francescani

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Una sterile polemica a margine della chiusura del Convento

Ma Giugliano era il paese così rappresentato nel 1633

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di Emmanuele COPPOLA

Nell’ipotetico Archivio dell’Ufficio di Ricerca Storica, ufficialmente costituito a Giugliano dal Consiglio Comunale già nel 2019 ed incredibilmente cloroformizzato non si sa ancora per quali occulte motivazioni, qualcuno avrebbe potuto trovare una risposta soddisfacente ai dubbi ed alle oscure  supposizioni circa la natura e l’importanza di quell’affresco che si ritrova nel chiostro del Convento francescano, e che improvvisamente è diventato argomento di attualità sociale politica e culturale.

In quell’Archivio, almeno gli studiosi, quelli più seriamente interessati alla storia locale, avrebbero potuto trovare qualche notizia sull’argomento, magari una scheda, una fotografia, ed anche una relazione critica, se non un articolo pubblicato quando a Giugliano esistevano ancora i giornali in edizione cartacea.

Ma quell’Archivio non c’è, in quanto non è operativo, perché ai membri del Comitato Scientifico non si  è data l’occasione di cominciare a riunirsi, in particolare a causa del blocco pandemico determinato dal Covid-19, e poi da una inspiegabile caduta di attenzione culturale che ci ha fatto dubitare sulla effettiva e recondita intenzione di volerlo avviare.

Poiché si era previsto che i membri dell’Ufficio di Ricerca Storica avrebbero dovuto confrontarsi su questioni di cultura, al fine di valutare la corretta attendibilità dei documenti acquisiti e delle relative argomentazioni critiche degli autori proponenti, si sarebbe evitato (anche per gli studiosi più accreditati) di incorrere in un eventuale, e sempre possibile, errore di superficialità, per insufficienti informazioni, come nel caso dell’affresco in oggetto, situato nel chiostro francescano e raffigurante una scena devozionale, ovvero ‘‘Giugliano risparmiata dal flagello divino’’.

Ma non era questo l’argomento più urgente sul quale avrei voluto appuntare la mia attenzione critica, perché ero intenzionato a scrivere il terzo articolo sulla dismissione del Convento francescano, convinto che tante altre chiacchiere in libertà abbiano contribuito ad inquinare l’esatta comprensione della questione.

Recedo dal proposito, al momento, perché attratto da un’altra questioncella che si trascina a rimorchio, da alcune settimane, e non capisco per quale nesso di oggettiva razionalità, se non per il fatto che alla storia di questo Convento si ritrova associato un dipinto, un affresco che sta suscitando un interesse morboso e sconcertante negli occasionali approfondimenti critici di diversi esegeti di arte e storia locale, che  qualche volta – a dispetto della loro serietà culturale – camminano imprudentemente al fianco di quanti militano a ruota libera nelle incolte sterminate steppe di Facebook.

Non voglio scrivere delle stupidaggini che vi ho trovate disseminate qua e là, che pure fanno testo nelle aule degli ignoranti, ma della patente disinformazione e delle assurde argomentazioni enunciate per dare adito addirittura ad un complotto che si nasconderebbe – guarda caso – nella genesi di quell’affresco, ovvero dietro l’inventata e riduttiva rappresentazione stravolta di una Giugliano del Seicento, che  – stando alle considerazioni ipercritiche di qualche pure attento studioso locale – non può essere quella.

Qualcuno, sic et simpliciter, ha liquidato l’affresco in oggetto come la superficiale trasposizione di un borgo ignoto pescato chissà dove dal pittore/autore.

Nel complesso, come eredità della loro plurisecolare permanenza a Giugliano, i Frati francescani ci lasceranno «questo ignobile affresco», e si pretenderebbe che essi ci raccontassero finalmente la sua storia, esibendo una fotografia della sua raffigurazione originaria, «non essendo stato riportato in nessun libro della storia di Giugliano». Si fa, quindi, riferimento alle modifiche effettuate dall’artista concittadino Luigi Guardascione ed al restauro imposto dalla Soprintendenza, rilevando che le due figure laterali sarebbero poco credibili se riferite storicamente al periodo della sua realizzazione.

Si accusano i Frati francescani di aver fatto apparire dal nulla questo affresco, nel quale si rilevano molte incongruenze, sì da potersi dire che esso «passerà ai posteri come un tentativo di intorpidire la crescita di una sana storia patria». Non si giustificherebbe, infatti, come, nella prima metà del Seicento, in circa trenta fabbricati (censiti nell’affresco) si potessero congregare ottomila residenti. Inoltre, dall’affresco, sembra che quella Giugliano stia adagiata sopra un colle. Infine, quel Palazzo Ducale, posto al centro dell’abitato, somiglia più ad una cascina che alla residenza di un nobile banchiere genovese.

Da questo florilegio – in estratto – di critiche ed osservazioni a riguardo dell’affresco e dei Frati francescani (o di altri innominati potentiores) che lo avrebbero commissionato per imbastire una mistificazione della storia di Giugliano calata nella prima metà del Seicento, non si riesce a capire dove si voglia andare a parare, perché sembra si voglia fare emergere che alla base ci sia stato un complotto, che è solo figlio di una patente disinformazione e di assurde argomentazioni. Ribadisco, però, che si tratta soprattutto di plausibile disinformazione,  perché in questo paese anche gli studiosi se ne vanno ognuno per la sua strada senza avere una buona occasione per incontrarsi con altri che siano egualmente motivati a dare un valido contributo culturale attraverso il confronto critico. Questa occasione doveva (e potrebbe) essere rappresentata autorevolmente dal Comitato Scientifico dell’Ufficio di Ricerca Storica, che è rimasto però cloroformizzato.

Ritirando i remi in barca, vediamo, a questo punto, di che cosa stiamo parlando. Dell’affresco, per l’appunto: di quell’enigmatico soggetto che si trova esposto nel chiostro del Convento francescano di Giugliano, sulla parete di fronte all’ingresso, e che ha sempre rappresentato qualcosa che si era sempre ignorato, o che si era forse semplicemente trascurato, perché non vi si era appuntato, nei suoi dettagli, un occhio indagatore. Ora, però, improvvisamente, se ne parla, perché i Frati francescani entro il 31 agosto se ne dovranno andare da Giugliano ed il Convento dovrebbe passare nella gestione della Curia diocesana di Aversa, che lo avrebbe ereditato dalla Provincia Minoritica di Napoli e Caserta. Ma di questo, poi, ne riparleremo ancora.

Cominciamo col dire che quell’affresco – ci piaccia o no – ci è presentato nella sua ultima versione, così restaurata dai tecnici della Soprintendenza, ed in parte ricostruita, circa dodici anni fa, nel 2010, dopo una improvvida (e non autorizzata) operazione di restyling iniziata nel 2007 con l’abrasione del precedente affresco.

Quindi, c’era già un affresco, molto simile per certi aspetti, ma che non era questo che ora vediamo. Non a caso, si è ricordato un precedente intervento di Luigi Guardascione, che nell’estate del 1988 si sarebbe limitato a stendere un velo di vernice trasparente sull’affresco per ravvivarne i colori, ma senza leggere bene alcuni particolari, che io mi ero permesso di rilevare, poi parzialmente corretti in corso d’opera.

C’è ancora da chiarire che l’affresco originale, da me fotografato nel dicembre del 1985, ampiamente pubblicizzato nel marzo 1986 come la rappresentazione iconografica più antica dell’impianto urbanistico di Giugliano, e poi rivisitato tre anni dopo dal pittore Luigi Guardascione, nel novembre 2007 è scomparso durante la predetta indagine di restauro, perché da alcune tracce di pittura scrostata si era rivelata l’esistenza di una precedente raffigurazione dello stesso evento del 1631, destinata a ricordare che la popolazione era stata risparmiata dall’eruzione del Vesuvio per intercessione dei Santi venerati presso il Convento francescano, e per celebrare la pia devozione dei coniugi Galeazzo Francesco Pinelli e Giustiniana Pignatelli, che vi erano raffigurati in posizione orante, disposti a sinistra e a destra del caseggiato di Giugliano, essendo gli Utili Padroni del Feudo. Si ipotizza, quindi, che il primo affresco, di qualità scadente, sia stato coperto dalla mano di un artista esperto (anche egli anonimo), capace di rappresentare con assoluta fedeltà il nucleo abitativo di Giugliano e le fattezze fisiche  dei coniugi Pinelli (che probabilmente avevano commissionato il suo rifacimento). Questa versione ‘‘definitiva’’ confligge, però, per alcuni non trascurabili particolari, con la prima rappresentazione (che in parte vediamo nella attuale). Di fatto, l’affresco fotografato nel dicembre del 1985 è una rivisitazione storica ‘‘guidata’’ dal Pinelli, quale probabile committente finanziatore, o comunque realizzata per rendergli omaggio, perché i due personaggi storici hanno sostituito i due Santi Protettori, San Giuliano Martire e Santa Giuliana Vergine e Martire, che ora vediamo, ed ai quali fanno esplicito riferimento i cartigli rinvenuti sui due lati della cornice.

Potremmo dire, a questo punto, che il ‘‘complotto’’ sta tutto qui, e non di più, perché tutte le altre osservazioni critiche – ed io dico ingiustificate, se non strumentali ai fini di non si sa che cosa – si risolvono sulla base dell’articolo che ebbi modo di pubblicare nel marzo 1986, in prima e quinta pagina del giornale periodico ‘‘Noi e gli Altri’’, così titolando: «Come appare Giugliano da un affresco del 1633».  Le questioni sollevate si concentrano, infatti, sulla rappresentazione di Giugliano, del suo ridotto nucleo abitativo centrale. Concedo subito che non è tutto; ma è Giugliano.

Detto questo, ritengo non sia ozioso indugiare in altre minime considerazioni a riguardo dell’affresco, soffermandoci su alcuni particolari che avrebbero ingenerata la questione, presupponendo che qualcuno abbia voluto, già nel Seicento, nascondere o inventare qualcosa, che i più recenti rifacimenti della scena avrebbero contribuito ad esaltare per arrivare a denunziare addirittura l’esistenza di un complotto.

I rifacimenti in oggetto sono tre: l’intervento del maestro Luigi Guardascione, nel 1988, sull’affresco da me fotografato nel dicembre 1985; l’abrasione del predetto affresco, nel 2007, con la scoperta della stessa scena realizzata in precedenza da una mano inesperta; il parziale rifacimento a cura della Soprintendenza, nel 2010/2011, che ci ha ‘‘restituita’’ l’attuale raffigurazione, che è un ibrido tra la prima versione dell’affresco (ca. 1633) e la seconda realizzata quasi a ricalco dopo qualche anno (e prima del 1639).

Nella rivisitazione (tipo maquillage) del 1988 il pittore Luigi Guardascione volle concedersi qualche libertà, modificando dei particolari che non era riuscito a ‘‘leggere’’ bene nella rappresentazione dell’abitato, che comunque accettò di correggere sulla scorta di una mia precedente  fotografia. Inoltre, egli modificò la figura originale del Cristo, rappresentando quella di un Dio Padre, con la barba bianca fluente, egualmente adirato.

La discutibile operazione di restyling, originata e giustificata dalla scoperta ‘‘sensazionale’’ di un altro affresco sottostante (con lo stesso soggetto/evento storico del 1631: eruzione del Vesuvio), fece gridare al miracolo, ma non si ebbe il coraggio di rilevare la sua scarsa consistenza artistica ed il fatto (ancora più grave) di avere alterata la parziale rappresentazione scenografica dell’abitato di Giugliano, così come lo si vedeva in prospettiva dall’alto del Convento. Tuttavia, era stata recuperata la figura originale del Cristo, che il Guardascione aveva vistosamente modificata. Inoltre, erano state ripristinate le due figure dei Santi Protettori, San Giuliano e Santa Giuliana, come ora li vediamo. Come già detto, questo particolare potrebbe far pensare al cosiddetto ‘‘complotto’’, perché i due Santi Protettori sarebbero stati sostituiti d’imperio con la rappresentazione dei coniugi Pinelli/Pignatelli. Ma anche questo – si è detto – si giustifica per una questione di opportunità politica o, se volete, di orgoglio vanaglorioso, perché comunque oggi (ovvero, con il senno di poi) l’operazione dovrebbe sembrarci iconoclasta. Intanto, però, quel rifacimento, forse voluto dal Pinelli stesso, ci avrebbe restituito la ‘‘fotografia’’ di quegli Utili Padroni del Feudo di Giugliano nel periodo migliore della nostra storia.

Si è detto che il terzo intervento, quello della Soprintendenza, sia stato un ibrido, poichè si è voluto recuperare in gran parte la più antica versione dell’affresco, con il ripristino delle figure del Cristo adirato e dei due Santi Protettori, così giustificati dal rinvenimento dei relativi cartigli. Ma l’intervento della Soprintendenza era stato invocato e sollecitato perché fosse ripristinata la rappresentazione scenografica dell’abitato, ovvero la più antica e unica ‘‘fotografia’’ di Giugliano risalente alla prima metà del Seicento, che non è la Pianta della Città, per cui tutti i calcoli e le comparazioni tra la Giugliano del Seicento ed altri paesi di quel periodo non c’entrano niente con l’affresco. Si dovrà aspettare fino al 1840 (ca.) per avere una dettagliata Pianta topografica di Giugliano, a firma di Ferdinando Patturelli e Carlo Galli.

I tecnici restauratori della Soprintendenzza hanno fedelmente ridisegnata quella scena dell’abitato, così come appariva dal 1639 al 1985, sulla scorta delle mie fotografie. Tuttavia, devo rilevare che quella ricostruzione, che oggi vediamo nel chiostro, non è del tutto fedele, nei particolari, alla documentazione fotografica da me esibita.

Il problema sta tutto qui: la contestata credibilità storica dell’affresco, per le motivazioni addotte da alcuni ipercritici osservatori, che pure riscuotono  abitualmente un ampio consenso dei lettori su Facebook per le loro capacità  di attenti ricercatori di notizie e documenti inediti e di appassionati cultori della storia locale. Pertanto, le mie osservazioni, esulando da sostanziali intenzionalità polemiche, tendono  esclusivamente a ristabilire la corretta lettura ed interpretazione dell’affresco per quella parte centrale che più ci interessa, che è la ridotta rappresentazione scenografica di Giugliano. E comincio specificando che nel termine ‘‘ridotta’’ non può leggersi la deformazione e/o il tradimento della realtà attuale dell’abitato nella prima metà del Seicento, perchè nell’affresco c’è tutto quello che l’autore riusciva a vedere dal suo punto di osservazione, dal terrazzo soprastante la chiesa, in prossimità del torrino campanario, in un campo visivo di circa 80 gradi, entro i quali erano visibili i due estremi est/ovest dell’abitato, ovvero San Nicola e l’Annunziata, rispettivamente distanti  ca.750 e 800 metri da quella postazione. Dallo stesso punto di osservazione, il Palazzo Pinelli distava ca. 640 metri, ed il Palazzello (d’ingresso alla probabile ex Piazza d’armi del Castello distrutto) poco meno di 280 metri.

Ho già ricordato che nel giudizio inclemente dei detrattori critici, l’affresco è definito ‘‘ignobile’’, perché esso sarebbe una inventata e riduttiva rappresentazione stravolta di una Giugliano del Seicento, tesa a «intorpidire la crescita di una sana storia patria». Sia chiaro, invece, che non si tratta di una ridotta rappresentazione del paese, per la scarsità ed il vuoto evidente tra i pochi fabbricati visibili, ma la fedele riproduzione della scena che si osservava dall’alto della chiesa del Convento, rilevando che in gran parte l’abitato era schermato dalla vegetazione di alto fusto rispetto all’altezza delle case che dovevano essere costituite, perlopiù, a piano terra.

Si è osservato, poi, che quel Palazzo, posto in prospettiva sulla destra della Chiesa di Santa Sofia, somiglia più ad una cascina che alla residenza di un nobile banchiere genovese. Ma quello era il Palazzo dei Pinelli, edificato circa ottant’anni addietro, nel XVI secolo, e non il Palazzo che oggi vediamo, completamente ristrutturato dal Principe Andrea Colonna di Stigliano negli ultimi decenni del XVIII secolo. Si tratta, inoltre, della parziale visione frontale della facciata originale, per circa un terzo coperta dalla chiesa e dal campanile.

La rappresentazione dell’abitato di Giugliano nell’affresco originale fotografato nel Dicembre 1985
La prima versione dell’affresco ritrovata nel 2007

Certamente, poi, tutti quei pochi fabbricati, all’incirca quaranta, che si vedono rappresentati nell’affresco del 1633, non avrebbero potuto ospitare l’intera popolazione, da stimare tra i 4200 ed i 4700 abitanti. Intanto, però, bisogna considerare che quelli sono i fabbricati che emergono dalla folta vegetazione, le cui abitazioni occupate dai nuclei familiari dovrebbero essere costituite su almeno due livelli, ovvero piano terra e primo piano, se non anche sul terzo. Questo calcolo ci porterebbe a considerare che circa un quarto della popolazione residente sul territorio di Giugliano poteva essere ospitata nei fabbricati visibili nell’affresco, tenuto presente che gli altri fabbricati più bassi sono resi invisibili dalla vegetazione più alta, e che molti nuclei familiari (censiti nelle Parrocchie come residenti) vivevano nell’immediata o più lontana periferia del paese (anche in alloggi precari e nei pagliai). Perciò, è utile ribadire che in quell’affresco non si può pretendere che fosse rappresentata la Pianta topografica del paese, perché esso contiene tutto e soltanto quello che si poteva vedere dall’alto della chiesa del Convento francescano.

Per soddisfare qualche altra sua curiosità, in ordine alla descrizione e datazione dell’affresco, il lettore interessato a questo argomento potrebbe andare a rileggersi l’articolo pubblicato nel marzo 1986 sulle pagine del periodico locale ‘‘Noi e gli Altri’’, intitolato «Come appare Giugliano da un affresco del 1633».

Il testo di quell’articolo è reperibile sulla pagina Facebook dell’Autore (Emmanuele Coppola)

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