Giuseppe Montesano, scrittore. Ma anche meridionale, e professore di filosofia e storia al liceo Cartesio di Giugliano: la persona giusta cui chiedere un parere circa la dichiarazione del ministro della Pubblica istruzione Gelimini, secondo cui «alcune scuole del Sud abbassano la qualità della scuola italiana». «Alla Gelmini rispondo, prima ancora che come insegnante, come scrittore. Qualche tempo fa, in occasione del tour di presentazione del mio libro “Magic People”, mi capitò di visitare in date ravvicinate due scuole, due licei, il primo in Umbria, il secondo a Matera, profondo Sud. E’ stata un’esperienza piuttosto sconvolgente, che mi ha lasciato stupefatto nella mia doppia veste di scrittore e insegnante».
Perché? Ce lo racconti.
«Quello umbro era il liceo classico di una civilissima e ricca cittadina, un edificio moderno e funzionale, una biblioteca fornitissima. E dei ragazzi totalmente spenti, completamente avulsi dall’idea di fare qualcosa oltre la semplice attività scolastica, apparentemente privi di quasiasi interesse per il mondo circostante. L’incontro con lo scrittore, cioè con me, si svolse in un clima molto rigido, asettico, che mi lasciò molto deluso. Ricordo che qualche ora dopo, alla stazione dove ero andato a prendere il treno, incrociai una delle studentesse che avevano partecipato all’incontro. Si fermò e mi spiegò che le dispiaceva di come fossero andate le cose a scuola quella mattina, ma il fatto era che «noi non parliamo più con i nostri insegnanti, il loro modo di insegnare ci fa schifo, ci ha distrutti».
A Matera, invece.
«A Matera, invece, scuola piena come un uovo, cinquecento studenti di tre diversi indirizzi liceali tutti assieme, casino totale».
Scuola sgarrupata in stile D’Orta.
«Magari sì, ma l’incontro fu entusiasmante, le domande erano intelligenti e pertinenti, sia quelle evidentemente preparate con i professori (che ovviamente avevano letto il libro e ne avevano parlato con gli studenti), sia quelle nate spontaneamente dal dibattito».
Conclusione?
«Che al Nord, al Centro e al Sud tutto dipende dal lavoro dei professori. Dal fatto che lavorano bene o lavorano male, non dalla carta d’identità».
Ma la Gelmini insiste: organizzeremo i corsi intensivi per gli insegnanti.
«A parte il fatto che a me risulta che i corsi ci siano già, e sono i corsi di formazione istituiti dal governo di centrosinistra senza i quali non è praticamente possibile accedere alle graduatorie per l’insegnamento, io conosco un sacco di colleghi che lavorano in Campania in situazioni ambientalmente difficili, e non posso dirne che bene: tutte persone che, se mi permette l’espressione un po’ forte, si fanno un mazzo così. Anche nel nostro liceo a Giugliano, edificio nuovo senza palestra, siamo una sorta di avamposto di resistenza nel difficile e immenso semi-hinterland partenopeo, anche se cerchiamo di fare qualcosa che non sia la sola resistenza a quel che c’è intorno. Se poi dal liceo scendiamo alla scuola media, che per come è concepita in Italia rappresenta per un insegnante l’anticamera dell’inferno, le persone che vi lavorano sarebbero da santificare».
Addirittura.
«Non scherzo. Nel primo periodo della mia carriera scolastica ho insegnato a Casal di Principe, e ho visto gente che lavorava con passione e preparazione incredibili in edifici fatiscenti e carenti di tutto, con stipendi da fame, e sotto la pressione di un ambiente ostile. Bisognerebbe saper valutare il rapporto tra quello che fai e le condizioni in cui vai a farlo: qui ti viene chiesto non solo di essere un buon insegnante, ma anche di diventare un severo facitore di fantomatici quiz, uno piscologo, un sociologo, un assistente sociale».
Ma se la situazione è questa e gli insegnanti del Sud sono più o meno dei martiri da santificare, come spiega uscite come quella del ministro Gelmini?
«Me le spiego con la finta sopravvalutazione della scuola. Chiarisco: tutti i politici che si sono occupati del problema, almeno da Berlinguer in poi, non hanno avuto né la forza, né il coraggio di affrontare seriamente la questione. E “seriamente” vuol dire soldi, investimenti. Dato che mancano sia gli uni che gli altri e non ce la si può certo prendere con i ragazzi (che non votano, ma le loro famiglie sì), resta l’anello debole, gli insegnanti. Sui quali la task-force pensante del ministero (sempre la stessa, indipendentemente dal colore dei governi che si succedono) esercita il suo potere, inventandosi variazioni a costo zero e utilità zero».
Adesso vanno di moda i quiz, anche perché sono un genere televisivo di successo.
«I quiz servono solo a fare finta che le persone sappiano delle cose. Sono un sistema comodo per far diventare d’eccellenza una scuola qualsiasi. Ma se cambia l’agenzia che redige i quiz, cambia anche la valutazione… »
Un altro scrittore, Domenico Starnone, anche lui napoletano e insegnante, bolla come «insensata» la motivazione «etnica» addotta dalla Gelmini nella sua analisi della scuola italiana.
«Vorrei solo fare una piccola considerazione: ciò che dice la Gelmini è in aperta contraddizione con quanto la Lega Nord, anch’essa al governo, sostiene da quindici anni; e cioè che non se ne può più di meridionali che vanno al Nord a rubare i posti di lavoro nell’amministrazione pubblica, nella giustizia, nella scuola del Settentrione. Mi chiedo, e chiedo alla Gelmini: come è possibile che accada quel che dice Bossi se i meridionali vengono da scuole e università così disastrate e scadenti come quelle del Sud?»
Pareri autorevoli – e non solo nordisti — sostengono d’altra parte che anche le università del Sud non siano gran cosa.
«Si vogliono professori più preparati? E allora perché non si introduce il numero chiuso (col quale non sono comunque d’accordo) anche nelle facoltà che sfornano insegnanti? In realtà la politica è indifferente al livello di preparazione degli insegnanti: l’università, a Nord come a Sud, serve soprattutto come sfogatoio, altro che cura della qualità. La verità è che sia il potere politico nazionale che locale si disinteressa del problema-scuola. A Napoli e dintorni conosco situazioni da brivido, dove presidi e insegnanti continuano a lavorare in edifici e condizioni al di fuori di qualsiasi legalità e sicurezza, ma lo fanno perché a una loro denuncia non seguirebbe altro che la chiusura della scuola. E amen».
Ora, comunque, si annuncia un taglio di 85 mila unità al corpo docente.
«La riprova che il governo si muove con un criterio economicistico e non qualitativo. Imputa agli insegnanti le carenze che sono della scuola. Con in più quest’insofferenza nei confronti dei meridionali di cui l’uscita della Gelmini è solo un degli indizi: il fatto è che il Nord è fermo, la crisi è alle porte, e come sempre nei momenti di crisi si scaricano le tensioni sui più deboli. Basta niente per capire che meno insegnanti vorrà dire classi con più alunni per insegnante, dunque qualità ancora più bassa dell’insegnamento. La soluzione sarebbe invece quella di potenziare davvero l’autonomia scolastica con un processo decisionale che coinvolga tutti, ma davvero tutti, gli attori: dal preside al corpo docente allo studente, che non è solo un bidone da riempire. E ‘sti corsi intensivi facciamoli pure: ma su richiesta degli stessi insegnanti, se hanno l’esigenza di aggiornare il loro bagaglio di algebra superiore o di chimica. Perché, a differenza di altri dipendenti pubblici, un insegnante non ha poteri di evasione o possibilità di fuga: può solo star lì a insegnare. E allora mettiamolo in condizione di farlo nel miglior modo possibile».
Antonio Fiore
Corriere del Mezzoggiorno il 26/08/08