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giovedì, Giugno 27, 2024
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SERGIO BRUNI, GLI ALTRI GIORNALI

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di FLAVIANO DE LUCA




Con la scomparsa di Sergio Bruni -avvenuta domenica pomeriggio a Roma- se ne va un pezzo importante della musica e della cultura napoletana del XX secolo. Pochi mesi dopo la morte di Roberto Murolo scompare un altro grande maestro, un talento straordinario, uno di quei cantanti partenopei che veniva spesso identificato semplicemente come voce italiana (almeno negli anni `50 e `60) nel resto del mondo ma che aveva, probabilmente nel dna, l’eco di antichissime villanelle, una combinazione di melodie e voci cittadine depositate per secoli tra vicoli, terrazze e mare. Chitarrista raffinato, interprete moderno e originale, è riuscito a ridare profondità e lustro alla canzone popolare napoletana, non disdegnando le incursioni al festival di Sanremo o in televisione, almeno nella prima parte della sua lunga carriera ( e pochi ricorderanno che Bruni compare anche in Avanti!, il film di Billy Wilder del 1972 ambientato a Ischia, dove canta Core ingrato e pure Il Viaggio di De Sica, 1974 anche se la citazione cinematografica obbligatoria è Operazione San Gennaro, diretto da Dino Risi nel 1966, dove i ladri aspettano l’esibizione di Bruni al festival di Napoli per rubare il tesoro del santo patrono).Il suo vero nome era Guglielmo Chianese ma l’aveva dovuto cambiare per non confondersi con un altro famoso cantante radiofonico degli anni `40, Vittorio Chianese. Aveva partecipato alle Quattro Giornate di Napoli nel 1942, l’insurrezione popolare contro i tedeschi, riportando una grave ferita a una gamba. In ospedale conobbe Vittorio Parisi, il cantante della celebre orchestra del maestro Anepeta, che lo incoraggiò a proseguire nella carriera, ad andare oltre i matrimoni e le festicciuole. Nel 1945 vinse un concorso e divenne cantante fisso dell’Orchestra Stabile alla radio.Da allora in poi la sua scalata al successo fu costante e progressiva, cominciando a maturare dagli anni `50 un suo stile, sempre più personale e inconfondibile. Come ha scritto Roberto De Simone, «il suo stile è ricco di rifioriture, di appoggiature di suoni vibrati e tremolanti di gola, di suoni attaccati di striscio, di effetti smorzati a mezza voce», insomma di melismi antichi e ricami vocali che lo faranno definire dal pubblico dei fan più sfegatati sicchio ` e brillanti. Anche il suo modo di cantare, diritto e impostato con la mano leggermente tremante, divenne famoso e fu persino bersaglio di parodie. Nel 1960, ormai un divo della musica leggera, partecipò al festival di Sanremo cantando Il mare, una canzone che lo rese popolarissimo.Qualche anno dopo scelse una vita più ritirata dedicandosi allo studio della canzone napoletana classica, inserendo, nel suo repertorio, solo i motivi che riteneva più adatti. E andando alla ricerca di canzoni antiche, dimenticate o perdute, tra musei e collezionisti. Artista poco incline ai compromessi (storico un suo diverbio con Claudio Villa per chi dovesse cantare per ultimo in un festival napoletano), molto rigoroso e attento al suo lavoro quanto legato alla sua città. Aveva una grazia naturale nel porgere il testo, sfiorando l’essenzialità, ma rifacendosi al canto antico e modificando, nel corso degli anni, la sua attitudine, divenuta sempre più rarefatta.Negli anni `70 nacque la collaborazione col poeta Salvatore Palomba, che ha prodotto alcune canzoni, ispirate dalla Napoli di oggi ma sul ricalco dei moduli tradizionali, ad esempio Carmela, diventata subito un successo e un classico, e Napule doceamara.Tuttavia l’opera più importante è l’Antologia della Canzone Napoletana, prodotta a cavallo tra gli anni `80 e `90, dove Bruni si misurò brillantemente con le canzoni più famose della tradizione, eseguite con un rigore e un’ispirazione davvero felice, grazie anche alla collaborazione del maestro De Simone, per le orchestrazioni (l’opera attualmente è reperibile su cd, un doppio cofanetto con 80 canzoni su etichetta Bideri, distribuito da Cgd/Warner).Nel 1991 il compositore e interprete creò, all’interno della sua villa al Corso Vittorio Emanuele, il «Centro di cultura per la canzone napoletana» dove svolse gratuitamente attività didattica, insegnando canto e chitarra ai giovani e creando un piccolo teatro da 30 posti dove si esibiva insieme ai suoi allievi. Nel 1995 la voce di Napoli, come l’aveva chiamato Eduardo De Filippo in una sua poesia, ha salutato il mezzo secolo di carriera con due memorabili concerti, a piazza San Domenico Maggiore a Napoli e al teatro dell’Opera a Roma.«Sono nato 500 anni dopo l’inizio della canzone a Napoli. Non ho studiato ma rappresento una cultura autentica. Dopo di me non so cosa accadrà, magari nascerà qualcuno che proseguirà la mia opera». Amen. IL MANIFESTO 23 GIUGNO 2003





Addio Sergio Bruni Napoli dopo Murolo perde un’altra voce



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di DARIO SALVATORI





È merito di Sergio Bruni aver riportato in vita l’anima più genuina della canzone napoletana. A quello strumento straordinario che è stata la sua voce – emissioni nasali e di gola in grado di creare sottolineature melodiche di ampio respiro – si deve lo stile Bruni. Uno stile destinato a fare scuola, a creare centinaia di imitatori che mai seppero raggiungere quelle mirabili modulazioni con tanto di influssi arabi e spagnoleggianti. Nato a Valricca, un grosso borgo agricolo a pochi chilometri da Napoli, inizia giovanissimo a studiare musica, debuttando come clarinettista nella banda del paese. Sotto le armi partecipa alle «quattro giornate di Napoli», riportando una ferita alla gamba che lo lascerà menomato. Ma proprio all’ospedale incontra Vittorio Parisi, che lo spinge alla professione. Dalla fine degli anni Quaranta partecipa con frequenza alle rassegne di Piedigrotta ma continua a studiare canto e chitarra per migliorarsi. A partire dagli anni Cinquanta arrivano i grandi successi discografici e le vittorie al Festival di Napoli: da ricordare «Vieneme ‘n zuonno»(1959), «Marechiaro, marechiaro» (1962), alle quali vanno aggiunte «Il mare” (Festival di Sanremo 1960) e altre canzoni in lingua che gli apriranno un successo più vasto. La sua affermazione internazionale, soprattutto negli Stati Uniti, non è di minor conto, soprattutto per le sue personalissime ricostruzioni dei grandi classici della canzone napoletana. A partire dagli anni Settanta, un po’ stanco e sfiduciato, soprattutto dall’ingloriosa fine del Festival di Napoli, dirada notevolmente la sua attività, continuando ad incidere e ad esibirsi, per pochi fortunati, a casa sua. È il momento più delicato della sua carriera: l’artista rischia la depressione, anche se gli attestati, i riconoscimenti e la popolarità non vengono meno. Fra i tanti «re della canzone napoletana», Sergio Bruni si è sempre distinto per il rigore filologico, per quel piglio di artista-ricercatore che lo ha sempre collocato un gradino più in alto di suoi famosi colleghi. Da alcuni anni, non più in buona salute, Bruni aveva lasciato la sua amata Napoli per stabilirsi a Roma, accanto alle sue figlie, anche se la passione e la voglia di dire la sua era ancora quella di un tempo. Sergio Bruni lascia una copiosa discografia, avendo inciso migliaia di brani, dal Seicento ai nostri giorni, ma soprattutto un clima, uno stile da cui sarà difficile prescindere, come hanno ampiamente dimostrato gli interpreti delle ultime generazioni. Un lutto grave, un vuoto impossibile da riempiere; con la speranza che le istituzioni, la discografia e la Rai non lo dimentichino velocemente.IL TEMPO

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