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venerdì, Aprile 26, 2024
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VORAGINE A SANT’ANTIMO, GLI ARTICOLI DEL MATTINO

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DALL’INVIATO DEL MATTINO A SANT’ANTIMO




FRANCESCO VASTARELLA





Lo scricchiolio delle mura, le lesioni nel solaio. Tutto in pochi secondi. Ore 11, via Diaz, centro antico di Sant’Antimo. Il sarto pachistano Ibraim Mohamed è fuori casa. Nello stabile due amici e la moglie di Ibraim, Nisa, che afferra i tre bambini, il primo ha cinque anni, il secondo tre, il terzo tre mesi. La donna stringe il più piccolo al petto e atterrita si rifugia sul letto mentre l’edificio a due piani si sbriciola e precipita nella voragine che s’è aperta nel cortile. I due pachistani che sono al piano superiore – una sopraelevazione – sono travolti dai calcinacci. Jamil Hussain, 27 anni, viene ritrovato coperto di fango e pietre. Un vigile del fuoco scende con le funi, scava con le mani, libera Jamil tra lamenti e lacrime, lo lega con la tecnica degli speleologi e lo mette in salvo. Un amico di Jamil, Gulam Rasul, 28 anni, è disperso, si scava nella notte con le mani nella speranza di trovarlo vivo. Sgomberate cinque famiglie del cortile, altre sette da un edificio adiacente: si attende di capire entità ed effetti del crollo sulla stabilità della zona. In serata, un altro crollo allarga il buco di un metro e mezzo.
Sant’Antimo ha vissuto momenti di incubo, qui sono vivi i ricordi di voragini, di grotte di tufo pericolanti, è successo nella vicina Frattamaggiore e a Casandrino, a Secondigliano e via Miano di Napoli. Un’infiltrazione d’acqua o di liquami fognari può trascinare via la pozzolana che copre le centinaia di grotte di tufo a 30-40 metri di profondità. E ogni volta è una tragedia.
Alle 11.05 via Diaz è in una nuvola di polvere. I figli del proprietario dello stabile, che abitano a poca distanza, in pochi secondi raggiungono il vecchio cortile. Non una parola davanti al letto in bilico sul vuoto. Luigi e Stefano Di Lorenzo si lanciano in quel che resta del piano terra, afferrano i bambini, entrano ed escono dalla stanza sospesa sul vuoto portando in salvo i piccoli e la mamma. Sono stremati dalla prova di coraggio, avvertono i vigili del fuoco, chiamano la polizia e i carabinieri. Accorrono amici, vicini, parenti, zii, nipoti, cugini, i Di Lorenzo sono conosciuti, brava gente, in tanti li aiutano. Nisa e i tre bambini non sono feriti, vengono portati al vicino ospedale di Aversa, dove resteranno sotto osservazione.
Gravi, invece, le condizioni di Jamil. Ai vigili del fuoco fa segno con le mani e pronuncia solo qualche parola: «Continuate a scavare, sotto c’è Gulam». Jamil ha la milza spappolata, sviene, lo portano al San Giovanni Bosco di Napoli, lo operano, è in coma, ma si salverà. Per i vigili del fuoco comincia la lunga, dolorosa opera di scavo alla ricerca delle tracce del disperso. La voragine larga dodici metri e profonda venti viene messa in sicurezza, a tarda sera si scava con l’aiuto di potenti luci elettriche. Del disperso nessuna traccia. Ibraim Mohamed, sarto, ha un regolare permesso di soggiorno e un contratto di fitto registrato, ma da ieri è senza casa. Per gli immigrati e gli sgomberati il Comune metterà a disposizione alloggi o camere d’albergo in attesa dei rilievi tecnici. Tante le ipotesi sul crollo: una fogna stradale rotta, forse quella che passa nel cortile e inondata dalle ultime piogge, c’è chi ritiene che potrebbe essersi rotto il tubo dell’acqua. Ma non sarà facile risalire alla verità.




I SOCCORRITORI



MARCO DI CATERINO





«Sembravano dei naufraghi, su un minuscolo pezzo di legno in un mare in tempesta, pronto ad inghiottirli». Nisa Salm Un, 34 anni, pachistana, e i suoi tre figlioletti Samraha, di cinque anni, Ushha, di tre, e il piccolissimo Ipad, di appena tre mesi, sono rimasti sospesi sul ciglio della voragine, per una decina di minuti. Abbarbicati su quello che restava del letto, pieno di calcinacci che cadevano dal tetto spaccato, e a pochi centimetri dal terrificante vuoto che aveva appena ingoiato la loro casa. Devono la vita a Luigi e Stefano Di Lorenzo. I due fratelli, veri e propri eroi che hanno sfidato la morte camminando sul vuoto, e dopo aver raggiunto i bambini e la mamma li hanno portato in salvo.
«È stato un attimo – racconta Luigi – . Mio fratello ed io, siamo corsi nel cortile dopo aver sentito lo schianto. In una nebbia di polvere di tufo abbiamo intravisto agitare le braccine dei bambini, mentre la mamma cercava di coprirli con il suo corpo per evitare che fossero colpiti dai calcinacci che continuavano a cadere». Luigi e Stefano, hanno mantenuto un ammirevole sangue freddo, tra la gente che scappava terrorizzata. Si sono resi conto che non potevano raggiungere li attraverso il cortile. E allora sono usciti di corsa, hanno raggiunto un’abitazione attigua a quella crollata e dopo aver sfondato a spallate una parete divisoria, sono riusciti a raggiungere la stanza dove c’erano i bambini. E sotto una vera e propria pioggia di mattoni di tufo con il terreno che non aveva smesso di franare hanno proceduto al salvataggio.
«Abbiamo camminato su un pezzettino di pavimento largo una trentina di centimentri – ricorda Stefano – proprio sul ciglio della voragine. E mentre Luigi ha preso in braccio tutti e tre i ragazzini, io ho preso la mamma. Poi siamo usciti da quell’inferno».
Ma Stefano e Luigi eroi per un giorno non vogliono sentirsi dire bravi, ma chiedono con insistenza notizie sulla sorte dei ragazzini. Poi quando un poliziotto li informa che, a parte lo spavento, stanno davvero tutti bene e senza un graffio, si guardano negli occhi e tirano un sospiro di sollievo. Poi spariscono dal quel cortile maledetto.
Ancora più drammatiche sono state le fasi del salvataggio di Jamil Hussain, tirato su dalla voragine da un vigile del fuoco calatosi per dieci metri nella voragine. «Quel ragazzo gridava ”aiutatemi, aiutatemi” – racconta – e mi ha detto che aveva sete e male al fianco e a una gamba. Prima di perdere i sensi, mi ha chiesto più volte di salvare anche il suo amico che era con lui nella casa crollata».

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CHI SONO GLI IMMIGRATI

Lavorano per portare

le famiglie in Italia





Ibraim Mohamed ha 39 anni, ed è un bravo sarto, una condizione quasi fisiologica per un pachistano. Dopo aver lavorato come un dannato nei laboratori di confezione dell’hinterland e messo da parte una discreta somma, è riuscito, cinque mesi fa, a riunire tutta la famiglia e a far nascere in Italia l’ultimo dei suoi tre figli. Ieri mattina, felice perchè era domenica e poteva stare tutto il giorno in famiglia, era uscito presto per le compere, mentre la moglie era rimasta a casa ad accudire i tre marmocchi.
«Sono un uomo fortunato – dice in un italiano stentato con una forte inflessione napoletana al telefono, mentre aspetta al pronto soccorso dell’ospedale di Aversa l’ok dei medici per portarsi via tutta la famiglia – e ringrazio il mio Dio per non avermi portato via la famiglia».
La folta comunità pakistana di Sant’Antimo è in lutto e tutti i conterranei del ferito e del dispero sono sfiltati nel cortile di via Diaz. «Anche Jamil – il ferito – è un buon sarto», racconta con orgoglio un altro pachistano accorso sul luogo del disatro. E aggiunge: «Era da quattro anni in Italia e qui a Sant’Antimo si trovava bene, anzi meglio da quando Gulam (il disperso n.d.r.) era venuto ad abitare da lui. Così poteva risparmiare e mettere da parte i soldi per far venire in Italia la famiglia».
Gulam Rasul era da quattro anni in Italia. Ed era anch’egli sarto, deciso a guadagnarsi da vivere chino su una macchina da cucire tutto il giorno. Nel cortile, proprio nella parte interessata dal crollo, abitano altre famiglie di pachistani, gente tranquilla, tutti con regolare permesso di soggiorno che solo il sabato sera si concedono qualche distrazione incontrandosi attorno ad un tavolo a parlare della patria lontana.


m.d.c.






IL MATTINO 1 DICEMBRE 2003

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