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venerdì, Aprile 19, 2024
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Sant’Antimo, sepolto dalle macerie: era a più di venti metri di profondità

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SANT’ANTIMO – Il corpo dell’immigrato morto nel crollo di una palazzina domenica a Sant’Antimo (Napoli) è stato recuperato ieri: si tratta di Gulam Rasul, 28 anni, pachistano; era in Italia da quattro anni e lavorava come sarto. Il corpo si trovava a 15 metri di profondità, ricoperto di terriccio, le operazioni di soccorso sono state difficili. Nel crollodell’edificio erarimasta coinvolta una donna con i suoi tre bambini, salvati permiracolo; il martito della donna, il sarto Ibrahim Mohamed era al lavoro al momento del crollo. Un altro amico della coppia, Jamil Hussein, loro ospite come Masul, era stato recuperato subito nella voragine e ricoverato con ferite non gravi all’ospedale. Le cause del crollo sono da accertare. Tra le prime ipotesi quella di infiltrazioni fognarie che avrebbero fatto cedere il cortile su cui si affacciano tre palazzine. Ma anche l’ipotesi secondo cui la scossa di terremoto di una settimana fa a Napoli abbia potuto causare danni alla condotta dell’acqua. La magistratura ha aperto un’indagine nella quale si ipotizzano i reati di disastro e omicidio colposi, gli inquirenti stanno valutando la posizione dei propietari dello stabile, molto vecchio, e in cui abitano perlopiù immigrati. U.FER. InterNapoli






DALL’INVIATO DEL MATTINO A SANT’ANTIMO


FRANCESCO VASTARELLA




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La mano stretta sui detriti come per aggrapparsi all’ultima speranza. Al dito di Gulam Rasul, 28 anni, l’anello di fidanzamento. L’ha trovato così un vigile del fuoco, nella voragine di via Diaz a Sant’Antimo, dopo un giorno e una notte di scavi a venti metri di profondità e sotto le ultime mura pericolanti della palazzina divorata domenica dal crollo. Al vaglio dei magistrati le eventuali responsabilità dei proprietari dello stabile, che rischiano la denuncia per disastro e omicidio colposo. I magistrati ipotizzano una scarsa manutenzione, ma i proprietari respingono ogni responsabilità: un’ala del palazzo l’avevano acquistata di recente e «segni di cedimento non si erano mai visti», come confermato dagli inquilini. Sul crollo indagano gli agenti del Commissariato di Frattamaggiore, con il vicequestore Maurizio Casamassima.
L’anellino, la prima cosa intravista dal vigile tra i detriti. Quattro mesi fa Gulam era tornato a Sialkot, sua città natale, al confine con l’India. I genitori avevano scelto la fidanzata per lui che da sette anni viveva in Italia. Gulam, secondo la tradizione pachistana, era tornato per contrattare il matrimonio con i genitori di lei. Una ragazza bellissima, aveva raccontato agli amici, era felice, l’avrebbe sposata e portata in Italia a primavera, avrebbero lavorato insieme come sarti in una fabbrica a Casandrino. Anche per questo stava cercando casa e domenica era capitato con l’amico nell’abitazione a due piani risucchiata dalla voragine, in una secolare, dimenticata cava di tufo e pozzolana nel cuore di Sant’Antimo. La terra all’improvviso s’è riaperta, qualcosa ha rotto l’equilibrio. Le fogne ispezionate ieri mattina nei cortili vicini non hanno manifestato segni di anomalie. L’infiltrazione-killer, come altre volte è successo nei crolli avvenuti nella zona, potrebbe essere venuta da lontano. Un crollo analogo, nove anni fa a 30 metri di distanza.
Domenica si sono salvati per miracolo una mamma e tre bambini, il primo di cinque anni, l’ultimo di tre mesi: la famiglia di un sarto pachistano, Ibraim Muhammed. Con un gesto di grande coraggio Luigi e Stefano Di Lorenzo, figli del proprietario dello stabile, sono riusciti a portare via dal letto in bilico sul vuoto la mamma e i bambini. Si salverà Jamil Hussain, 27enne amico di Gulam, precipitato nella voragine e tirato su dai vigili del fuoco: all’ospedale San Giovanni Bosco gli è stata asportata la milza.
Nulla da fare per Gulam. Per un’intera notte hanno pregato e vegliato davanti alla voragine uno zio, Aslam Muhammed, arrivato da Macerata con il figlio, Aslam Naeem. Un’attesa lunga e straziante, affrontata con composta dignità da decine di persone, intorno alle quali si sono stretti molti amici di Sant’Antimo e i vigili del fuoco, costretti a lavorare in condizioni proibitive. «Attenzione, il casco, ragazzi il casco, fa niente se sudate», ripeteva Enrico Bilardo, il caporeparto che ha condotto le operazioni di scavo sotto mura e solai che minacciavano di precipitare da un momento all’altro. «Dite di non sospendere gli scavi, lui è là sotto», ripetevano gli amici di Gulam. E poi l’andirivieni delle 12 famiglie sgomberate e alloggiate all’hotel Pamagiù di Casandrino.
Poco prima delle 11, ieri, fra terra e pietre, giocattoli e resti della modesta casa di immigrati, è spuntato l’anello di Gulam. Per lunghi attimi un silenzio irreale, occhi rossi di lacrime. «Gulam era l’unico figlio maschio, per la famiglia è una perdita irreparabile secondo la nostra tradizione», spiega Amer Zia, marito di una cugina. La salma ora è all’obitorio, appena il magistrato che conduce le indagini darà l’ok si svolgeranno i funerali, molto probabilmente venerdì alle 14, ma la moschea di Casandrino è troppo piccola per accogliere tutti. La famiglia proprietaria dello stabile crollato, i Di Lorenzo, da tempo in amicizia con il gruppo di pachistani di via Diaz, ha chiesto e ottenuto da un cugino il prestito di un campetto per i funerali.





Città in bilico sulle grotte
abbandonate da secoli



di MARCO DI CATERINO




Il vuoto sotto i piedi. Quello che comunemente è solo un luogo comune, per un milione di persone che abitano nell’hinterland a nord di Napoli, è una tragica e spesso inevitabile realtà con la quale fare i conti. Nascosto nel sottosuolo, il vuoto, ogni tanto si materializza, sbriciola qualche palazzo, ingoia qualcuno come è accaduto domenica mattina nel cortile di via Diaz a Sant’Antimo, scatena polemiche, mette l’ansia a chi vive nei centri storici ad ogni piccolo sobbalzo del pavimento. Poi tutto tace fino alla successiva voragine. A Sant’Antimo si parla di una sessantina di cavità, alcune molto estese, ma altre sarebbero sconosciute o se ne è persa la memoria.
Qualcuno potrebbe obiettare che il dissesto geologico della zona è frutto dell’abusivismo edilizio e della crescita caotica delle città, un fenomeno quindi molto recente, legato all’espansione edilizia degli anni settanta. E invece le grotte assassine, hanno inziato a uccidere già due secoli fa. Nel 1860, a Grumo Nevano, nell’attuale incrocio tra corso Garibaldi e viale Principe di Piemonte, una voragine ingoiò quattro persone, che precipitarono nel vuoto buio per quaranta metri, prima di impattare sul pavimento della cavità. Un tributo di sangue che si è ripetuto nel corso degli ultimi centocinqunata anni e che visto una ventina di vittime sparire sottoterra, e decine di abitazioni sbriciolate come castelli di sabbia. Inziando dalla collina dei Camalodi, l’enorme vena tufacea percorre a una profondità variabile tra gli otto e i venti metri, i centri storici di Giugliano, Melito, Sant’Antimo, Casandrino, Grumo Nevano, Frattamaggiore, Frattaminore, Cardito, Caivano, Afragola, Casoria e Arzano. Un altro ramo della vena, invece si snoda tra Sant’Arpino, Succivo, Orta di Atella, Aversa, fino a Teverola. E per centinaia di anni, i «tagliamonti» – i mastri cavatori – hanno scavato migliaia di cave di pozzolana e di grotte per estrarre milioni di metri cubi di blocchi di tufo che servivano per costuire sia i bellissimi palazzi a corte, che le catapecchie per i più poveri.
Le cavità venivano poi utilizzate per la conservazione del vino. In questo modo le grotte, i camini e i cunicoli erano necessariamente sottoposti a continue veriche e a una manutenzione quasi quotidiana che per secoli ha evitato crolli e sciagure. Una stima davvero approssimativa, calcova che nei comuni interessati da questo fenomeno, siano almeno 100 i milioni di metri cubi di vuoto, in minima parte censiti e ancora di meno riempiti con la tecnica della colata di calcestruzzo. Un dato per tutti. Uno studio di circa quaranta anni fa, effettuato nel sottosuolo di Frattamaggiore, evidenziò un milione di metri cubi di cavità, grotte e cunicoli. Immaginate cosa nascondono i centri storici più grandi, come quello di Afragola e Casoria, nel napoletano e di Aversa nella provincia di Caserta e la stessa città di Napoli, dove si è scavato sin dall’epoca greca.
«Quello che è avvenuto a Sant’Antimo – dichiara Luigi Cesaro, santantimese, europarlamentare di Forza Italia – è un evento che può verificarsi ovunque in questa zona dove i centri storici sono a rischio per il sottosuolo. Mi farò carico presso il Governo affinchè siano messe in moto tutte le strategie per la conoscenza del fenomeno e l’immediato intervento».
E le polemiche sono già inziate. Franco Bianco, capogruppo di Fi alla Regione, accusa senza mezzi termini Antonio Bassolino, commissario per l’emergenza del dissesto idrogeologico: «Dopo le emergenze dei rifuiti e quella sanitaria, ora ci tocca subire anche quella del sottosuolo, per la quale il governo ha stanziato milioni di euro. Eppure le case continuano a crollare e a seppellire morti innocenti».
Il crollo di Sant’Antimo ha suscitato paure e precoccupazioni fra quanti vivono nei centri storici dei quindici comuni sul vuoto. «Da ieri – dice il responsabile di uno dei più importanti studi di ingegneria della zona – Abbiamo ricevuto un centinaio di richieste per la verifica statica e quella geologica di altrettanti edifici di cinque comuni della zona della vena del tufo. Sono sicuro che troveremo grotte, cunicoli e vecchie cave di pozzolana, che sono le più pericolose, perchè instabili e traditrici come quelle di Sant’Antimo». E l’emergenza del sottosuolo griuviera continua, anche dopo 160 anni.





Rischio crolli, in arrivo quattrocento milioni

di FRANCO MANCUSI




Scatta il piano di prevenzione dal rischio idrogeologico nell’hinterland napoletano. E dal governo centrale sono in arrivo quattrocento milioni di fondi straordinari, grazie a un nuovo accordo di programma già siglato dal presidente Bassolino nella capitale. L’annuncio di Franco Barberi, consulente del governatore campano, nel corso della cerimonia di presentazione della scuola di Protezione Civile, ieri mattina nell’auditorium dell’isola C/3, al Centro Direzionale. Un vero e proprio vertice, dopo l’ennesima tragedia provocata dalla fragilità del territorio tufaceo nell’area metropolitana. Con Bassolino e Barberi, l’assessore regionale Ugo De Flaviis, il responsabile del settore, Ernesto Calcara, il direttore della neonata scuola per la formazione degli operatori di Protezione Civile, Nello Di Nardo, l’ispettore capo nazionale dei vigili del fuoco, Alberto D’Errico. E nel pomeriggio il confronto è proseguito, nel corso dell’incontro Stato-Regioni a Sorrento (ridimensionato, in verità, dall’assenza del capo dipartimento della Protezione Civile, Guido Bertolaso, e di molti assessori).
Per quali interventi serviranno i nuovi finanziamenti statali? Intanto sarà possibile completare il censimento delle cavità naturali nelle aree provinciali a più alto rischio-frane. Avviati con successo nell’ambito urbano del capoluogo, quando ancora Barberi era Sottosegretario alla Protezione Civile, i sondaggi nel sottosuolo-groviera dovrebbero finalmente essere estesi all’intera dimensione metropolitana, particolarmente fragile dalle periferie napoletane alle zone interne, letteralmente saccheggiate nel passato, per consentire l’estrazione selvaggia dei blocchi di tufo usati in edilizia. Non basta, però. I nuovi finanziamenti consentiranno anche l’effettuazione di opere urgenti di consolidamento e di bonifica locale. Nello stesso tempo gli obiettivi della Regione saranno puntati sul potenziamento della rete di sorveglianza geologica, valorizzando il ricorso alle tecnologie più avanzate (prima di tutto l’annunciato piano di rilievo satellitare, che consentirà di cogliere al computer il minimo movimento degli edifici fatiscenti).
«I rischi sono ancora enormi, ma in Campania abbiamo fatto passi in avanti notevoli in fatto di prevenzione dai rischi ambientali, vulcanici, sismici, idrogeologici», ha commentato Barberi. «Abbiamo compiuto scelte fondamentali, basti pensare alle misure adottate per favorire il trasferimento, graduale e spontaneo, delle comunità che vivono nella zona rossa vesuviana». I fondi in arrivo dal governo centrale sono previsti «in aggiunta agli interventi ordinari, attraverso un accordo di programma quadro siglato dal presidente Bassolino». Quattrocento milioni di euro indispensabili per parlare in termini concreti della messa in sicurezza dell’intero, territorio provinciale napoletano. Sulla necessità di stringere i tempi degli interventi di censimento e di sicurezza insiste anche il geologo Franco Ortolani, docente nella Federico II e componente della commissione ministeriale per la valutazione dell’impatto ambientale. «Non tutte le cavità – denuncia Ortolani – sono state individuate: in qualche caso si tenta addirittura di nascondere la gravità della situazione. Nei centri storici, in particolare, il censimento delle cavità sotterranee non è stato eseguito in maniera accurata».






IL MATTINO 2 DICEMBRE 2003

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