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mercoledì, Giugno 26, 2024
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Ragazza incastra un killer, il paese la ripudia

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MONDRAGONE. Un omicidio di camorra, uno come tanti. Due killer in moto, uno scende con la pistola in mano, entra in un bar, si guarda intorno, individua la vittima, spara. Nel bar gente terrorizzata che assiste alla scena, fuori altra gente che vede i killer scappare. Li vede in faccia, ma se ne va prima che arrivino i carabinieri, e se resta lì nega di aver visto qualcosa, giura che stava guardando altrove e non ha proprio nulla da raccontare. Tutti tranne uno. Anzi una. Una ragazza di trent’anni che si fa avanti, comincia a parlare tranquillamente. Fornisce particolari, descrizioni, guarda cento foto segnaletiche. Alla fine la sua testimonianza diventa fondamentale per l’inchiesta. I carabinieri individuano quello che per loro è l’assassino, il magistrato condivide, il gip anche: l’uomo finisce in manette, lo accusa anche una intercettazione sul suo cellulare.
Lei, la ragazza, dice: «Non ho fatto nulla di strano. Sono stata interrogata e ho raccontato quello che avevo visto. Una cosa normale, no?». Certo, normale. Però ora ha perso gli amici, quegli stessi amici che erano con lei la notte dell’omicidio e che probabilmente videro anche loro. L’hanno scaricata. Le hanno detto: «Ma sei matta? Ti stai scavando la fossa. Chi te lo fa fare?». Poi hanno smesso di frequentarla.
Può succedere, a chi testimonia contro la camorra. E’ successo a questa ragazza che vive facendo la colf, che rimane convinta di aver fatto una cosa normale, ma che è anche rimasta sola, circondata dall’ostilità di chi conosce la sua storia.
Una storia che comincia alle 2 di notte del 13 agosto scorso a Mondragone, un centro della costa Domiziana in provincia di Caserta. Giuseppe Mancone, soprannominato Rambo, è con altre persone al Roxy Bar. Chiacchiera, beve una birra. Non sa che è già stato condannato a morte perché da un po’ di tempo si è messo a spacciare cocaina senza darne conto ai boss del clan La Torre, che comanda a Mondragone. Loro, i La Torre, si sono rivolti agli alleati di un’altra zona, i Birra di Ercolano, per sistemare la faccenda, e quelli hanno mandato al Roxy Bar due sicari a eliminare Mancone. Al Roxy Bar hanno passato la serata anche la colf e un gruppo di suoi amici e amiche. Sono arrivati lì con le biciclette, e se ne stanno andando proprio nel momento in cui il killer entra e spara cinque colpi contro Rambo. I ragazzi sono fuori dal bar quando sentono le esplosioni, si rifugiano in una stradina senza uscita e un attimo dopo vedono i due in moto infilarsi proprio in quel vicolo. «Si guardavano intorno, era chiaro che non conoscevano la strada», racconterà poi la colf ai carabinieri. E descriverà quello che aveva ancora la pistola in mano: «Sui 25 anni, magro, abbronzato, capelli lisci, riga al centro, mascella grossa».
Fanno il fotofit, e il viso che viene fuori è molto simile a quello di Salvatore Cefariello, 23 anni, pregiudicato di Ercolano che è già sotto indagine per altre storie e al quale hanno messo da tempo il telefonino sotto controllo. C’è una intercettazione in cui lui la sera del 13 agosto avverte una donna che quella notte «deve fare un servizio», ma soprattutto c’è la ricostruzione dei suoi movimenti fatta proprio attraverso l’intercettazione del cellulare. La sera dell’omicidio Cefariello lascia Ercolano e si sposta a Mondragone, ed è lì ancora all’una e quaranta, quando le sue tracce si perdono perché spegne il telefono.
E’ già molto, ma a inchiodarlo c’è il riconoscimento della ragazza, che al momento di dover dire «sì, è lui», ha un tentennamento: «L’ho visto solo per pochi secondi, come faccio ad esserne sicura?». Poi però conferma. E fa l’ultimo atto di quella cosa normale che le è costata l’isolamento in tutto il paese.




Fulvio Bufi – CORRIERE DELLA SERA 22 GENNAIO 2004

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