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lunedì, Giugno 17, 2024
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«QUATTORDICI ANNI FA IN VIA BOLOGNA…»
Qualiano, l’anniversario. Tamburino e i fusti dimenticati
Così nacque lo scandalo rifiuti. Denunce nel vuoto

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QUALIANO. Oggi è un curioso anniversario per me e ne voglio condividere l’emozione con voi: il ventitre febbraio di quattordici anni fa, intorno alle undici di mattina, con il mio (compianto) amico fotografo Antonio Cordova, stretto in una improbabile panda azzurra, correvo col solito topo in petto dell’ansia da notizia, verso via Bologna, all’epoca una stradina di campagna nel cuore di Qualiano ma, magicamente, secondo uno strano frullato geografico, nel territorio amministrativo di Villaricca.
Un’ora prima, una telefonata anonima alla redazione di Pozzuoli del Mattino, ci aveva segnalato che erano stati scaricati nella zona di via Bologna, poco dopo la cosiddetta rotonda Maradona, alcuni bidoni da cui esalava un odore insopportabile.
Con il fotografo, ovviamente, ci fiondammo sul posto: le indicazioni erano scarne. Una traversa di via Bologna. Entrammo in quello che all’epoca era uno sconnesso tratturo di campagna, facendo ondeggiare le sofferte sospensioni della panda, attraversammo buche piene di acqua, slittammo nel fango, attraversammo rovi di spine. A un certo punto cominciammo a sentire un odore che pungeva: lasciammo la macchina. Antonio Cordova prese in mano la situazione e mi trascinò a fatica nei campi (fosse per me me ne sarei scappato a gambe levate); dopo diversi tentativi, vedo Cordova illuminarsi come solo lui faceva di fronte al grande colpo. Dietro una cunetta, in mezzo ai rovi spuntarono i bidoni. Erano 541. Enormi, grossi, sigillati. Qualcuno si doveva essere forato da qualche parte: una schiuma gialla e fumante, infatti, scorreva da sotto al mucchio. Non riuscimmo ad avvicinarci, l’odore era terribile. Antonio cominciò a scattare a raffica, io mi guardavo intorno e provavo a memorizzare quanti più elementi descrittivi possibile per arricchire l’articolo che sicuramente sarebbe andato in nazionale. Articoli complicati: una sola grande notizia, ma pochi fatti, molto colore.
Dopo dieci minuti, sentimmo una tempesta di sirene. Arrivarono otto volanti dei carabinieri. Si meravigliarono di vederci lì. Il capitano (oggi colonnello) Cortellessa mi guardò e mi disse: “Menna, tira fuori la radio. Lo so che siete sintonizzati sulle nostre frequenze”. Gli risposi: “Spiacente capitano, niente radio. Siamo semplicemente arrivati prima di voi”. Cortellessa sorrise e ci scambiammo le notizie. Mi disse che lo avevano saputo perché era stato appena ricoverato al Cardarelli, un uomo con sintomi da avvelenamento. Un italo argentino di nome Mario Tamburrino, aveva dichiarato che si era sentito male dopo aver scaricato diverse centinaia di bidoni a via Bologna. La notizia cominciava a venire fuori. Lo avrebbero saputo anche altri giornali quindi addio scoop. Ma noi, però, avevamo un bel servizio fotografico in esclusiva.
Ci scrivemmo sopra per settimana (lo so, siamo avvoltoi). Pagine e pagine.
Credo che più o meno sia nato lì il tam tam giornalistico sul triangolo dei rifiuti. Qualiano-Giugliano-Villaricca: l’immondezzaio d’Italia. Una discarica ufficiale (l’Alma), decine di sversatoi fuorilegge. Legambiente, per anni voce splendidamente isolata, ha gridato decine di volte il suo allarme per questa zona. Inascoltata. Chiusa l’Alma, il fiume di monnezza traslocò di qualche metro. Direzione Parete-Villa Literno; comunque Giugliano-Qualiano. Discariche autorizzate e intorno, come in tutti i distretti industriali che si rispettino, l’indotto: invasi fuorilegge, cumuli di spazzatura ai cigli delle strade, carcasse di animali macellati, automobili distrutte, calcinacci (dove andare a scaricarli se non di fronte a una discarica) e, perché no?, qualche prostituta di basso mercato, e (ma sì…) un paio di campi rom.
Il capitalismo, si sa, vuole facce rasate e vestiti impeccabili: la merda tutta in un posto, possibilmente lontano dagli occhi.
Sono passati quindici anni. La monnezza sta ancora là. C’è chi marcia e urla alla luna; c’è chi dice che le marce non servono a niente; c’è chi dice “è una vergogna”; c’è chi dice “meglio andare via”, c’è chi dice “le cose devono cambiare”; c’è chi dice “le cose non cambieranno mai”.
Sembrano avere tutti ragione.
E quindi come se ne esce?
Secondo me – scusate la bestemmia – se ne esce con la politica.
Se in Campania, negli ultimi anni, ci fosse stata una politica seria dei rifiuti, forse, oggi, ne saremmo già usciti.
Invece il Piano regionale dei rifiuti (varato da Rastrelli e attuato da Bassolino e perpetuato da Catenacci-Berlusconi: segno che quando l’idiozia ci si mette riesce ad essere diabolicamente trasversale), ha fallito prima ancora di cominciare.
Cosa aspettarsi da un piano che colloca su un territorio due termodistruttori di grandissime dimensioni e ben sette impianti di Cdr??
Semplice: si è deciso di continuare a produrre enormi quantità di rifiuti.
Cosa aspettarsi da un piano che affida ai privati la gestione di tutto il ciclo, perfino la decisione su dove localizzare gli impianti?
Semplice: si è deciso che il rifiuto deve continuare a essere business.
In sostanza, si fanno le stesse cose che faceva (fa) la camorra (soldi sulla spazzatura); solo che adesso è legalizzato.
Un Piano regionale dei rifiuti serio e non affaristico avrebbe previsto termodistruttori piccoli (dunque tarati su poca spazzatura), e a bassa intensità; poi avrebbe impiantato meno fabbriche di Cdr (sempre in vista di una bassa produzione di spazzatura); e poi avrebbe, ovviamente, lavorato per diminuire il volume di rifiuti prodotto. Come? In due modi: riuso in casa, riciclaggio fuori.
Una questione di cultura. Quindi, politica.
Con meno rifiuti prodotti, ci sarebbero stati meno impianti di Cdr, ci sarebbero stati termodistruttori (inevitabili) di piccole dimensioni e a bassissimo impatto, come quelli che sorgono alle porte di città moderne come Vienna e Brescia; impianti che bruciano un ventesimo dei rifiuti previsti per Acerra e che quindi, ovviamente, fanno meno paura.
Il rifiuto avrebbe smesso di essere business, sarebbe stato gestito dal pubblico (quindi con garanzie di tutela territoriale) e forse, in dieci anni, questa zona avrebbe smesso di marciare (perché a me le marce, dopo quella su Roma, un po’ mi inquietano…).
Invece, siamo all’anno zero. Anzi, all’anno meno uno.
Dicevo che bisognerebbe risolverla con la politica.
Ecco, ne dico una. Visto che alle prossime regionali si candidano il sindaco di Qualiano, il sindaco di Villaricca e, forse, il sindaco di Marano perché questi tre non firmano un accordo e si impegnano, se eletti in Regione, a lavorare trasversalmente per un nuovo Piano rifiuti sintetizzabile in poche parole: riuso in casa, riciclaggio, meno rifiuti, termodistruzione con impianti piccoli, a gestione pubblica, e a bassa intensità?
Se non lo fanno, nemmeno un voto da questi territori.
Tanto si sa, la monnezza non vota.
E noi, modestamente, monnezza siamo.

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