Un investimento a mo’ di rapina. Gli spari e le successive intercettazioni. È questo il quadro probatorio che inchioda secondo la Procura i cinque componenti del gruppo Cuffaro-Marfella raggiunti da decreto di fermo due giorni fa. Si tratta di Carmine Milucci, Emanuele Bruno, Antonio Campagna, Patrizio Cuffaro e Beniamino Ambra. I cinque sono ritenuti gravemente indiziati del duplice tentato omicidio, aggravato dal metodo mafioso, di Emanuele Marcello e Antonio Lago. Quest’ultimo è ritenuto dagli investigatori legato all’omonima famiglia, che negli anni ’80-’90 aveva il predominio delle attività illecite sul quartiere Pianura. I cinque fermati, invece, sono considerati legati ai Cuffaro-Marfella e ai Carrillo-Perfetto. Secondo l’accusa avrebbero tutti partecipato, a vario titolo, al tentativo di omicidio, esplodendo molti colpi di pistola contro le vittime designate, che si trovavano a piedi e riuscirono a scampare all’agguato.
Ad inchiodare i cinque alcune intercettazioni captate dagli uomini della squadra mobile come una conversazione in cui Emanuele Bruno parla di Carmine Milucci come esecutore materiale lamentandosi del fatto di non essere riuscito nel suo intento.
Nel corso di quella conversazione Beniamino Ambra, che era in compagnia di Milucci, si lamenta di quest’ultimo con Bruno spiegando al suo interlocutore che non ha saputo portare a termine l’omicidio lasciando in vita Lago con lo stesso Bruno che si preoccupa di quanto accaduto temendo una guerra nei loro confronti perché, testualmente: “Hann venut a sapè ca simm stat nuj, mo’ stamm in guerra! Capito o no Carminiello che guaio ha fatto?”. Poi Bruno entra nello specifico raccontando cosa accadde la sera dell’agguato e confermando per la Procura che Ambra fosse presente sulla scena:” Perchè vuoi sapere…vuoi sapere che…vuoi sapere quello che ha detto, Beniami? Disse che il “magone” disse vicino a lui “non mi uccidere” … aizain’guoll e se ne jet…“. Ambra però lo corregge spiegando che vi fu un intoppo:”Ma quando mai quell si inceppò la pistola”.