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venerdì, Marzo 29, 2024
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Carabinieri infedeli a Sant’Antimo:«Un maresciallo dava fastidio, bomba sotto l’auto per farlo trasferire»

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«Era l’unico che faceva il suo lavoro». E’ racchiusa in queste poche ma incisive parole la vicenda portata all’attenzione nazionale dai carabinieri del Nucleo investigativo di Castello di Cisterna che hanno eseguito misure cautelare contro altri carabinieri accusati di avere tradito il giuramento di servire lo Stato in cambio di soldi. Al centro della vicenda i favori fatti dai militari infedeli al clan Puca di Sant’Antimo e il tentativo di far trasferire il maresciallo Giuseppe Membrino che con le sue indagini dava fastidio al clan locale.

Per screditare il maresciallo avevano provato anche a creare un finto dossier a luci rosse immortalando l’uomo con una donna, poi risultata sua informatrice. Poi la decisione di piazzare una bomba sotto la sua auto allo scopo di provocarne l’allontanamento dalla stazione di Sant’Antimo. Fondamentali sono state le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Claudio Lamino: «Membrino era l’unico che faceva il suo lavoro e dava fastidio al clan, faceva sempre dei controlli e sequestrava tutti i cantieri abusivi realizzati da Antimo Luca. La decisione dell’attentato per determinare il trasferimento in altra sede fu presa da …… perché Membrino aveva fatto un sequestro su capannone di Antimo Puca».

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Gli articoli precedenti

Avrebbero creato un finto dossier a luci rosse per far desistere un loro collega ad allentare la presa sulle indagini relativa ai clan della zona. Inoltre sono accusati di aver fatto favori al clan Verde passando loro informazioni segrete e ai Puca per gli appalti. Accuse gravissime quelle mosse a 8 carabinieri che prestavano servizio presso la tenenza di S. Antimo accusati a vario titolo di corruzione, omissione in atti di ufficio e rivelazione di segreti. L’indagine della DDA, partita nel 2017, ha aperto uno squarcio preoccupante sull’immagine dell’Arma.
 

Sono stati notificati cinque arresti domiciliari e tre sospensioni, della durata di un anno, dall’esercizio del pubblico ufficio. Le indagini, coordinate dalla DDA, che hanno portato all’emissione delle misure cautelari da parte del Gip di Napoli, sono state condotte dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Castello di Cisterna.

Diversi gli episodi raccontati nel corso della conferenza stampa tenutasi stamattina in procura. Uno dei marescialli coinvolti nell’inchiesta, poi trasferito, fu ripreso in rapporti confidenziali con una donna da cui carpiva informazioni. Quei video finirono in questo finto dossier usato per ricattarlo. Fu fatta esplodere anche una bomba carta anche contro auto del maresciallo che, dopo quell’episodio, per ragioni di sicurezza, fu trasferito.

 

Decisive le rivelazioni del pentito Claudio Lamino

 

I nomi dei soggetti coinvolti

Nomi dei carabinieri destinatari delle misure cautelari:
ARRESTI DOMICILIARIMichele Mancuso, Angelo Pelliccia, Vincenzo Palmesano, Corrado Puzo e Raffaele Martucci, l’ex presidente del consiglio comunale di Sant’Antimo, Francesco Di Lorenzo e Pasquale Puca, a capo del citato clan, già in carcere per altri reati.
SOSPENSIONEVincenzo Di Marino, per rivelazione segreto d’ufficio, Daniele Perrotta, per omissione in atti di ufficio e Carmine Dovere per abuso d’ufficio.

Corruzione, arresti domiciliari per 5 carabinieri a Napoli. Nei confronti di altri tre militari scatta la sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio per un anno. È la svolta di un’indagine condotta dal Nucleo Investigativo del Gruppo di Castello di Cisterna coordinato dal pool anticamorra della Procura guidata dal procuratore Giovanni Melillo.

Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di corruzione, omissione di atti d’ufficio e rivelazione di segreti d’ufficio.

I carabinieri indagati sono accusati di aver assicurato libertà di movimento e impunità a esponenti dell’organizzazione camorristica ritenuta capeggiata dal boss Pasquale Puca, egemone sul territorio di Sant’Antimo. Le indagini sono partite dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Claudio Lamino.

La Procura aveva formulato anche l’ipotesi di concorso esterno in associazione camorristica, ma questa impostazione non è stata condivisa dal giudice, che ha escluso anche l’aggravante della finalità mafiosa. Su questo punto la Procura ha già proposto ricorso al Riesame. Nell’inchiesta è coinvolto anche Francesco Di Lorenzo, già presidente del consiglio comunale di Sant’Antimo.

“Non ho alcun bisogno di riaffermare la fiducia nell’Arma perché è stata sempre massima e intatta – sottolinea il procuratore Giovanni Melillo -Il fondamento di questa fiducia è confermato da questa vicenda, nella quale è stata l’Arma a svolgere le funzioni di polizia giudiziaria delegate da questo ufficio”.

La presenza di militari sospettati di infedeltà, ha ribadito il comandante provinciale Canio La Gala, “non ha inficiato l’intensa attività di contrasto alla criminalità organizzata svolta negli anni dall’Arma e non può offuscare l’impegno profuso tutti i giorni da tantissimi carabinieri che si sacrificano con abnegazione sul territorio”. Basti pensare che negli ultimi cinque anni sono state arrestate ben 410 persone nel solo circondario di Sant’Antimo.

Nel corso dell’inchiesta è emersa anche una manovra che sarebbe stata concepita e poi realizzata per allontanare dalla tenenza di Sant’Antimo un maresciallo Giuseppe Membrino che rappresentava, hanno spiegato gli inquirenti, “un argine solidissimo ai tentativi del clan di sottrarsi al controllo delle attività illecite”. Il maresciallo fu pedinato e fotografato dal clan nel tentativo di intimidirlo e ricattarlo. Poi fu fatta esplodere una bomba carta sotto la sua vettura, costringendo l’Arma a disporne il trasferimento per motivi di sicurezza. “Anche in questa stagione buia, nella caserma di Sant’Antimo esistevano esempi luminosi di rigore e abnegazione”, hanno ribadito gli inquirenti.

Ai domiciliari per corruzione sono andati Michele Mancuso, Angelo Pelliccia, Francesco Di Lorenzo, Raffaele Martucci, Vincenzo Palmisano e Corrado Puzzo e il boss Pasquale Puca (già in carcere in regime di 41 bis) tutti con esclusione dell’aggravante mafiosa. La misura interdittiva è stata disposta nei confronti di Vincenzo Di Marino, indagato per rivelazione del segreto d’ufficio e omissione, il capitano Daniele Perrotta, che deve difendersi dall’accusa di omissione di atti d’ufficio, e Carmine Dovere, indagato per abuso d’ufficio. Anche per loro è stata esclusa l’aggravante mafiosa.

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