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sabato, Aprile 27, 2024
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“Ultima parte inquietate”, la sentenza dei giudici sulla cattura di Zagaria

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La cattura di Michele Zagaria nel bunker di Casapesenna, dopo 15 anni latitanza, rappresenta l’epilogo di “una complessa attività di intelligence” che, però, “ha peccato in executivis, risultando nella sua ultima parte confusa, imprudente, a tratti imperita e persino inquietante”.

Questo è il duro il giudizio espresso dai giudici del Tribunale di Napoli Nord che analizzano le fasi precedenti e successive la cattura del boss del clan dei Casalesi nelle motivazioni della sentenza con la quale hanno condannato a sei anni e sei mesi di reclusione il poliziotto Oscar Vesevo per l’appropriazione di una pen drive trovata nella villa di Casapesenna dove c’era il bunker.

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“Dimostrato è che l’operazione di Polizia – scrivono i giudici come riporta l’Ansa- si svolse fin dall’inizio nel bailamme per poi degenerare in un’operazione caotica e festante, quando si ebbe certezza della presenza del latitante”. Un’operazione che “rischiò di fallire” visto che venne meno quasi subito “l’assoluta segretezza che doveva proteggerla” con l’arrivo la mattina del 7 dicembre, nei pressi della casa individuata, delle volanti della Polizia del Commissariato locale, “in alcun modo interessato dal dispositivo discusso nelle ore notturne antecedenti”.

Furto della pen-drive del boss Zagaria, poliziotto condannato a 6 anni

Lo scorso giugno il Tribunale di Napoli Nord ha condannato l’agente di polizia Oscar Vesevo a sei anni e due mesi di carcere per il furto della pen-drive di Michele Zagaria, avvenuta durante le fasi di cattura del boss del clan dei Casalesi, il 7 dicembre 2011.

Vesevo era imputato per peculato in relazione al furto del supporto, per truffa, accesso abusivo a sistema informatico e corruzione, perché, per la Dda, avrebbe venduto la pen-drive per 50mila euro a un imprenditore che però è stato però assolto da questa accusa, al termine di un altro processo conclusosi anni fa.

ESCLUSA L’AGGRAVANTE MAFIOSA

Lo scorso 10 maggio la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli aveva chiesto sette anni di carcere per Vesevo. Al poliziotto era contestata anche l’aggravante mafiosa, che il collegio giudicante presieduto da Nigro ha però escluso: l’imputato è stato riconosciuto colpevole di peculato (4 anni e sei mesi) e di due episodi di truffa (un anno e otto mesi) in relazione alla vendita di un casa all’asta.

LE ACCUSE AL POLIZIOTTO

Il poliziotto, difeso dall’avvocato Giovanni Cantelli, che era in servizio alla Squadra Mobile di Napoli quando avvennero i fatti, è stato invece assolto dalle accuse di corruzione e accesso abusivo sistema informatico. Ad accusare il poliziotto è stata, in particolare, Maria Rosaria Massa, moglie di Vincenzo Inquieto, il vivandiere dell’ex primula rossa del clan dei Casalesi, classificata come “testimone inaffidabile” dall’avvocato di Vesevo.

Massa, condannata per favoreggiamento così come il marito, ha raccontato durante il processo che l’imputato aveva preso la pen-drive, ma ha anche specificato che il supporto era della figlia e conteneva musica e documenti personali della ragazza, non i segreti del capoclan come ritenuto dalla Dda.

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