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sabato, Luglio 5, 2025
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Agguato alla boss, la pentita: “Voleva vendicare il fratello torturato e bruciato vivo a Giugliano”

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Ha riempito pagine e pagine di verbali Luisa De Stefano che, da quando ha intrapreso la strada della collaborazione con la giustizia, ha ricostruito lo scenario criminale dell’area est di Napoli ed in particolar modo delle vicende riguardanti il cartello Minichini-Casalla-De Luca Bossa-Rinaldi-Reale ed il clan De Micco De Martino.

Nel corso dell’interrogatorio del 14 gennaio 2025, la Pazzignana ricostruisce il tentato omicidio di Anna De Luca Bossa, nota a molti come ‘Lady camorra del Lotto 0’: “Il fatto è avvenuto presso la villa comunale di Ponticelli. Anna stava prendendo una bibita con le amiche presso il chiosco, all’improvviso, è arrivato un motorino con a bordo una sola persona che le ha sparato plurimi colpi di arma da fuoco. A raccontarmelo è stata la stessa Anna De Luca Bossa. Ho visto personalmente i segni dei colpi che ha ricevuto; è viva per miracolo. Anna mi ha raccontato che ha fatto finta di essere morta. A sparare è stato il fratello di Omissis, su mandato di Roberto Scala, quest’ultimo all’epoca reggente del clan De Micco, sottoposto a sorveglianza speciale.

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Scala, che è stato condannato in via definitiva a 15 anni e 10 mesi, secondo De Stefano, avrebbe avuto un motivo per ordinare l’omicidio di De Luca Bossa (circostanza tutta da verificare). “Per quanto riguardo il movente, posso riferire solo che, anni prima, il fratello di Roberto Scala, Mario, lavorava con i Sarno nelle piazze di spaccio di eroina del Rione De Gasperi – ha spiegato la Pazzignana – Durante un’attività di perquisizione, gli trovarono in tasca il numero di telefono di un appartenente alle forze dell’ordine. Poco dopo questo ragazzo è scomparso; è stato ucciso su ordine dei Sarno dai De Luca Bossa, perché ritenuto un ‘infame'”.

De Stefano ha tirato, dunque, in ballo l’omicidio di Mario Scala, avvenuto nel 1994 e considerato tra i delitti più efferati di camorra.

Scala, affiliato ai Sarno per i quali si occupava di spaccio di droga, avrebbe voluto cambiare vita, passando dal lato della giustizia con la quale era in contatto già da diverso tempo. Alcune retate insospettirono i vertici del clan riguardo il fatto che potesse esserci una talpa al loro interno e così, dopo ‘indagini interne’, si concentrarono su Scala, che nel corso di un interrogatorio al quale lo avevano sottoposto, fu trovato in possesso di bigliettino con il numero di telefono di un poliziotto, occultato belle tasche dei pantaloni.

Immediata per lui la condanna a morte, che avvenne in modo atroce. Il 3 dicembre del 1994, il tronco carbonizzato di Scala fu ritrovato in un cassonetto dei rifiuti in via Madonna del Pantano a Giugliano a Varcaturo, mancante degli arti inferiori e delle braccia. Gli arti furono, infatti, dati alle fiamme, ed abbandonati in altri contenitori dei rifiuti distanti dal resto del corpo, così come la testa, ritrovati all’interno di una busta chiusa con del fil di ferro. Scala fu prima torturato e poi ammazzato e, particolare ancor più raccapricciante, dato alle fiamme quando ancora respirava.

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