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domenica, Giugno 23, 2024
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Sesso al 41 bis per concepire un figlio, il boss mafioso spiega il ‘trucco’

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Giuseppe Graviano ha ammesso di aver fatto sesso con la moglie aggirando il regime del carcere duro. Il 14 febbraio del 2020 il pubblico ministero Giuseppe Lombardo interrogò il boss mafioso in merito al concepimento del figlio avvenuto durante la detenzione al 41 bis. Ieri nella trasmissione Non è l’Arena di Massimo Giletti è stato trasmesso un stralcio dell’udienza del 14 febbraio 2020. “Mi sentivo solo, tremavo. Quando ci sono riuscito ed è uscita incinta, mi è finito quel tremolizzo. Lasciare la prole perché il proprio Dna cammini e io ho fatto tutto il possibile”, spiegò il capomafia al processo ndrangheta stragista.

IL FACCIA A FACCIA TRA IL PM E IL BOSS

Graviano. “Non posso raccontare queste cose mie intime, però, sicuramente mia moglie non è entrata come è stato scritto. Dormivamo in cella assieme. Forse mi riferivo che mio fratello ritornato dall’Asinara e ci siamo messi nella stessa camera detentiva”.

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Lombardo: “Avete chiesto l’autorizzazione per potere avere un incontro finalizzato al concepimento in carcere o lei ci è riuscito senza che ci doveva sorveglianza se ne accorgesse”.

G. “Io ci sono riuscito per fatti miei e chi è che doveva sorvegliare non è riuscito e nonostante era in detenzione coni GOM.

L. “Lei ci è riuscito senza chiedere autorizzazioni ma approfittando della distrazione del Gom”.

G. “Bravissimo”.

L. “E allo stesso modo lei ha spiegato a suo fratello come ha fatto?”-

G. “Certo, io… allora io ho preso un impegno con mia moglie e mi gioco la qualsiasi per riuscirvi anche se tutti dicevano: no è difficile. Allora io ho detto: Non vi preoccupate. Ho spiegato a mio fratello come eludere la sorveglianza del Gom. Ci sono riuscito grazie a Dio”.

Poi Graviano si è soffermato anche sul rapporto con la moglie, spiegando: “Le dicevo dal carcere di farsi la sua vita. Invece lei è voluta restare con me e così le dissi di preparare i documenti e di sposarci. E ci siamo sposati“.

LA DECISIONE DEL TRIBUNALE

Ergastolo per Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone. E’ il verdetto emesso al termine della camera di consiglio, lo scorso marzo, dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria a conclusione del processo ‘Ndrangheta stragista. Confermata dunque, anche in appello, la sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’Assise nel luglio 2020. Nelle settimane scorse, durante la requisitoria, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo aveva chiesto la condanna all’ergastolo per entrambi gli imputati.

E’ durata 7 ore la camera di consiglio che ha confermato la sentenza del primo grado all’ergastolo per Giuseppe Graviano, il boss di Brancaccio, e Rocco Santo Filippone, ritenuto esponente della cosca Piromalli. Entrambi sono stati condannati al carcere a vita per l’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo rientrante nelle cosiddette stragi continentali che hanno insanguinato il Paese nella prima metà degli anni ’90. È questa la tesi della Dda di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri.

“CONSAPEVOLI DEI REATI”

La Corte d’Assise d’Appello, presieduta da Bruno Muscolo Campagna) ha accolto la richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo secondo cui “Filippone Rocco Santo e Graviano Giuseppe sono colpevoli di tutti i reati a loro ascritti, oltre ogni ragionevole dubbio”. Assieme al sostituto procuratore Walter Ignazitto, il pg Lombardo ha istruito il processo chiedendo la riapertura dell’istruttoria dibattimentale. In quasi due anni di udienze sono stati sentiti, oltre al commissario capo della Dia Michelangelo Di Stefano, diversi collaboratori di giustizia come Girolamo Bruzzese e Marcello Fondacaro.

La sentenza sarebbe dovuta arrivare il 10 marzo ma quel giorno è stata invece acquisita un’intercettazione registrata dai carabinieri nell’ambito dell’inchiesta “Hybris” in cui un indagato, Francesco Adornato, ha rivelato a un altro soggetto alcuni dettagli circa una riunione avvenuta a Nicotera dove le famiglie mafiose calabresi hanno dato la loro disponibilità a Cosa nostra per partecipare alle stragi. Le ragioni della condanna si conosceranno entro 90 giorni quando i giudici di piazza Castello depositeranno le motivazioni della sentenza.

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