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domenica, Aprile 28, 2024
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Tirato in ballo da 15 pentiti ma per i giudici è innocente, così il boss Marino ha evitato la condanna

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Quindici collaboratori di giustizia non sono bastati per condannarlo. Tante, troppe le contraddizioni nei loro racconti. Discrepanze abilmente sottolineate dai difensori di Gennaro Marino ‘Mecchei’ (gli avvocati Luigi Senese e la collega di studio Assunta Arcopinto) che ieri hanno evitato al boss delle Case celesti la condanna a trent’anni di carcere (leggi l’articolo di Internapoli). Troppe frasi ‘sentite’, troppi de relato che alla fine hanno fatto cadere le accuse per l’ex numero due del clan Di Lauro imputato nel processo per l’omicidio di Massimo Mele, colonnello e uomo di punta del clan, ucciso nell’ottobre del 2003 in via Limitone d’Arzano da Vincenzo Vitale. Eppure per quel delitto tanti pentiti, nel corso degli anni, hanno rilasciato dichiarazioni additando Marino come mandante di quel delitto e raccontando che Mele fu ucciso perchè divenuto troppo ‘scomodo’ per il boss.

 

 

Le dichiarazioni dei pentiti contro Marino

 

Tra i primi a parlare Antonio Accurso, ex numero uno della Vanella Grassi che ha raccontato che un parente di Vitale gli avrebbe raccontato che l’uomo, dopo avere saputo dalla moglie del tentativo di Mele di un approccio nei suoi confronti, si sarebbe recato da Gaetano Marino e insieme i due sarebbero andati da Gennaro Marino il quale avrebbe detto “Hai ragione, fai quello che vuoi tu”. Diverse le motivazioni rese ai magistrati da Antonio Caiazza, ex colonnello degli Scissionisti che ha raccontato che a parlargli di quel delitto fu Cesare Pagano che avrebbe evidenziato al collaboratore che erano stati i Di Lauro a volere la morte di Mele in quanto temevano che il medesimo potesse girarsi proprio con gli Amato-Pagano. Tra i pentiti del clan Di Lauro poi c’è Carlo Capasso che ha raccontato che Egidio Peluso gli avrebbe raccontato che Gaetano Marino aveva dato a Vitale l’ordine di uccidere Mele quando giunti sul posto (Vitale col suo Mercedes e Gaetano con la sua Clio — Gaetano Marino era già senza mani a causa dell’incidente che gli aveva causato la perdita degli arti dunque non è dato sapere come potesse guidare) avevano incrociato la vittima a piedi insieme a Egidio che era scappato quindi non ha potuto vedere nulla) e Vitale ha cominciato a sparare e Gaetano lo incitava (argomento evidenziato dalla difesa che ha sottolineato come non si menziona mai Gennaro Marino).

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Le rivelazioni di Carmine Cerrato e Biagio Esposito

Ancora più circostanziate le dichiarazioni di Carmine Cerrato ‘Taekendò’ e Biagio Esposito tra le prime ‘gole profonde’ della mala di Secondigliano. Cerrato ha spiegato che Pagano gli avrebbe raccontato che Mele non avrebbe voluto pagare una tangente di 30mila euro Paolo Di Lauro e che Marino gli avrebbe chiesto di ucciderlo. Secondo Biagio Esposito sia Cosimo Di Lauro che Marino volevano la testa di Mele – Cosimo perchè aveva ucciso un ragazzo senza la sua autorizzazione (il ragazzo gli aveva rubato il motorino) e Marino perché stava assumendo troppo potere ed era vicino a Rosario Pariante— racconta che il cognato Cervato avrebbe visto tutto perché faceva da vedetta sulla piazza. Come evidenziato dalla difesa tali dichiarazioni sono frutto di una mera deduzione.

Il racconto di Tamburrino

L’ultimo pentito a parlare di quel delitto è stato Salvatore Tamburrino. L’ex ras dei Di Lauro ha spiegato che, per come gli è stato raccontato, Marino avrebbe chiesto a Cosimo Di Lauro il permesso di uccidere Vincenzo Vitale e Cosimo avrebbe detto di no perchè avrebbe capito che dietro l’omicidio di Mele c’erano i fratelli Marino. Tamburrino riferisce di un appuntamento tra Vitale e Mele raccontando che Vitale scese dalla macchina e andò a sparare a Mele. Secondo Tamburrino Gaetano Marino, che accompagnava Vitale, avrebbe incoraggiato l’uomo ad uccidere Mele. Informazioni anche in questo caso smontate dalle difesa che ha evidenziato come manchino riscontri oggettivi.

Le argomentazioni della difesa

I difensori di Marino hanno smontato tali affermazioni evidenziato come le dichiarazioni dei pentiti, fatte de relato, fossero tra loro molto contraddittorie e relative a mere congetture. I pentiti attribuivano il delitto ad un desiderio eccessivo di autonomia di Mele arrivato al punto di mettere in discussione la leadership dei fratelli Gennaro e Gaetano Marino. Mere ipotesi per la difesa che ha sottolineato come Vitale abbia agito di testa sua non rispettando alcun ordine e anzi, a sostegno di questa argomentazioni, gli avvocati Senese e Arcopinto hanno evidenziato come dopo l’agguato Vitale fosse scappato via da Napoli, particolare che smentirebbe di fatto l’aver eseguito gli ordini dei propri capi. La difesa ha attribuito il delitto ad un desiderio di vendetta di Vitale contro Mele per le avances fatte da quest’ultimo alla moglie di Vitale. Quella sera Vitale avrebbe agito di testa propria trovando Mele in strada e uccidendolo. Discrepanze che hanno così spinto i giudici ad assolvere Marino.

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