E’ stato il dominus assoluto della politica maranese per tredici, lunghissimi anni. Poi, inesorabile, anche per lui è iniziata la debacle. Già, perché il vero sconfitto dell’ultima tornata elettorale ammninistrativa è il primo cittadino uscente, Mauro Bertini, comunista da sempre, prima nel vecchio Pci, poi in Rifondazione comunista ed, infine, tra i seguaci di Armando Cossutta e Oliviero Diliberto del Partito dei comunisti italiani. Toscanaccio, un passato da seminarista e da prete operaio, Mauro Bertini scelse Marano come quartier generale di un primo esperimento di comunismo reale a Nord di Napoli grazie alla “Comunità artigiana”, una cooperativa che operava nel settore dell’edilizia. Mauro Bertini, in gioventù prete, poi passato all’imprenditoria comunista nel senso più vero – dove tutti lavorano, condividono i sacrifici, dividono gli utili – per sua sventura una ventina d’anni fa decise di sbarcare a Napoli. Sulla luna. Dove la parola ‘legalità era come l’acqua nel deserto. Bertini, da toscanaccio duro e puro, decise di rimboccarsi le maniche, di fare qualcosa per quel martoriato territorio – quello maranese – infestato dal cancro della camorra. E un bel giorno decise di candidarsi a sindaco. Non l’avesse mai fatto. Vinse a mani basse, parlando di servizi alla gente, equità sociale, legalità. Da allora in molti gliela hanno giurata contro. Ed è cominciata la faida. Che ora giunge al suo incredibile epilogo.
Lavoro e politica e politica e lavoro. Comunismo ante litteram. Anche se a Marano erano gli anni della Democrazia cristiana intesa come partito stato che godeva di una maggioranza assoluta in consiglio comunale. Prima l’arresto di Lorenzo Nuvoletta, avvenuto il giorno della vigilia dell’Immacolata del 1990 a Poggio Vallesana, da parte di un pugno di carabinieri guidati dall’allora comandante la compagnia dell’Arma di Giugliano, il capitano Luigi Cortellessa, attuale colonnello e comandante provinciale della Benemerita di Grosseto, e da un tarchiato sottufficiale di paese, il maresciallo Antonio Vastano,comandante la stazione dell’Arma di Marano e poi lo scoppio di una tangentopoli locale, aprirono le porte del palazzo comunale al sindaco rosso. Già, quasi d’incanto, infatti, Marano si trasformò da città democristiana in una sorta di Stalingrado alle porte di Napoli. Per Bertini, la metà degli anni Novanta, sono stati di ascesa completa nel firmamento della politica locale unitamente a colleghi sindaci come Maurizio Maturo a Mugnano e Nicola Campanile a Villaricca a cui, successivamente, aprirà le porte del palazzo municipale di Marano offrendo loro incarichi assessoriali. Intanto, però, il filo doppio che legava Bertini alla sinistra maranese iniziava a sfaldarsi. Prima lo strappo con il Pci-Pds e l’approdo tra i bertinottiani di Rifondazione. Poi uno strappo sulla leadership con l’altra emergente star del Prc, l’attuale assessore regionale al Lavoro ed europarlamentare in pectore Corrado Gabriele, allontanano Bertini dai rifondaroli e dal circolo dedicato a “Giancarlo Paletta” detto “Il Nullo”. Bertini non molla. Anzi rilancia e raddoppia, trovando ospitalità, con un gruppo di fedelissimi, all’interno del Pdci che diventa il nuovo partito-stato a Marano, con tanto di feste popolari, come “Rosso di sera”, che sostituirono le “feste dell’Unità” nell’immaginario dei militanti comunisti maranesi (e non solo).
PROVINCIA OGGI – 10 GIUGNO 2006
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