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Giugliano. Il significato della lapide scheggiata del 1842 alle Colonne, ci parla del Corso Campano

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di EMMANUELE COPPOLA

Gli intenti virtuosi dell’Ufficio di Ricerca Storica: riunire e raccordare criticamente le fervide intelligenze della Città di Giugliano.

Nel maggio del 1983 ho pubblicato un articolo, sul periodico ‘‘Noi e gli altri’’, titolando «Primo nomine placuit declarari», che, a distanza di circa quarant’ anni, ritengo utile riproporre, con gli opportuni aggiornamenti riferiti alla cronolgia della narrazione, perché da qualche settimana se ne è parlato – sulla piazza mediatica di Facebook – come di una scoperta, trattando la questione riferita ad un documento marmoreo, ingenerando anche un po’ di confusione in quanti, plaudenti, dichiarano il proprio entusiasmo, dimostrando, comunque, che la Storia di Giugliano riesce ancora a suscitare qualche emozione, onde io sono grato a quei pochi concittadini che vi dedicano un’attenzione assidua, che giustifica la passione per la ricerca, e che mi piacerebbe vedere seduti insieme attorno ad qualsiasi tavolo di confronto ogniqualvolta se ne presenti l’occasione, perché da qualche anno ho rilevato che in questo paese, che ha delle presunte ambizioni di cittadinanza, c’è un incontrollato fermento culturale, che rischia di disperdersi in tanti rivoli di solipsismo autoreferenziato, che io vedo come una diaspora delle più fervide intelligenze, ed i suoi studiosi ed amanuensi come monaci eruditi camminanti, o peripatetici, senza una Abbazia di riferimento. Per questo motivo, ritengo opportuno rilevare che l’istituzione dell’Ufficio di Ricerca Storica, inseguita e perfezionata dopo oltre dieci anni, con la Deliberazione del Consiglio Comunale n. 28 del 9 luglio 2018, avrebbe dovuto riunire e raccordare criticamente queste ‘‘fervide intelligenze’’, ut unum sint, per la ricerca e la divulgazione corretta delle notizie afferenti alla Storia ed alla Cultura della Città di Giugliano, un processo virtuoso che la normativa prudenziale anti-Covid ha dovuto, purtroppo, rallentare e sospendere. Quindi, mi introduco a rinverdire l’argomento di quell’articolo del maggio 1983. * * * Non sappiamo – scrivevo allora – quanti conoscono la lapide apposta sulla colonna di sinistra all’imbocco di Giugliano; ma, certamente, non saranno in molti, forse perché essa attualmente si presenta illegibile, o forse perché vi è in molti un calo dell’interesse culturale alla storia di Giugliano. Con la solita incuria ed ignoranza, qualcuno – allora – ci aveva fatto installare davanti un bel segnale stradale, per invogliare qualche curioso alla dimenticanza. Noi, invece, l’avevo fotografata, nell’aprile del 1983, per riproporla ai giuglianesi che non dispregiano il proprio passato storico-culturale. La lapide si presenta frantumata, ed in gran parte scheggiata (ridotta, forse, in questo stato da una granata o dai proiettili d’una mitraglia nell’ottobre del 1943). Scrivevo, allora, che essa doveva essere in qualche modo recuperata, almeno trascritta, per serbarne il ricordo.

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Fu arduo ricostruirne il testo, a causa delle molte mutilazioni; ma ci riuscii, insieme a Mons. Francesco Riccitiello, che l’avrebbe riportata nella sua Storia di Giugliano, libro che sarebbe stato pubblicato a distanza di pochi giorni, nel maggio 1983.

Questo è il testo: VIAM PASSVVM FERME DCC AB ACCESSV OLIM DIFFICILI IVLIANENSES COMPLANATAM PROMPTIOREMQVE VTRIMQVE PERDITAM QVADRATO SILICE MVNIENDAM CVRARVNT CAPVTQUE CAMPANIAE VIAE AERE PVBLICO PRIMO NOMINE PLACVIT DECLARARI MDCCCXLII

Ne diamo, per comodità, il significato: «Nel 1842 i Giuglianesi, a spese pubbliche, fecero costruire con selci quadrangolari la via lunga circa 700 passi, un tempo dall’accesso disagevole e sconnessa da ogni parte, appianandola e rendendola meglio praticabile; decisero, inoltre, di indicare l’inizio della Via Campana con l’antica denominazione». Ci tornava d’attualità questo recupero culturale a favore del Corso Campano, nel 1983, mentre si stava assistendo increduli al tentativo maldestro di affossarne la memoria, allorché da qualche parte si proponeva di cambiarne il nome. Passiamo ad analizzare il contenuto di questa lapide, per chi eventualmente non riuscisse a leggerne l’evidenza, poiché in essa si parla del Corso Campano.

Va subito chiarito che il marmo, benché posto all’inizio della strada che da Melito mena a Giugliano, non si riferisce al primo tratto denominato Via Colonne; esso rappresentava il ‘‘biglietto da visita’’ per quanti s’accingessero ad entrare in Giugliano da quella parte, in modo da non limitare il giudizio all’apparenza del primo tratto di strada (dalle Colonne alla Piazza San Nicola) costituito (fino a 90 anni fa) da un tracciato di terra battuta. Si tenga, inoltre, presente che tale tratto di strada non rientra per intero nel tenimento di Giugliano; appartiene, anzi, a Melito proprio il suo inizio, dalle Colonne. Ma la prova inconfutabile di quanto detto è nella lunghezza della strada, alla quale la lapide si riferisce: «passum ferme DCC», cioè di circa 700 passi.

S’intende qui parlare del «passo napoletano», corrispondente a metri 1,845. Si ha, quindi, che la strada deve misurare, per difetto, circa 1291 metri. Si tenga presente, inoltre, che l’abitato, nel 1842, iniziava all’altezza del Vico S. Nicola. Ci vengono in aiuto due Piante Topografiche di Giugliano: la prima, molto particolareggiata e databile verso il 1840, è corredata dalle didascalie «Ferdinando Patturelli diresse» e «Carlo Galli fece»; la seconda, una sorta di stradario, fu disegnata nel 1869 dall’architetto Giovanni Sarnelli; in esse vediamo i confini dell’abitato, che in senso longitudinale corrispondono esattamente all’attuale incrocio del Corso Campano con Via Literno, ed all’inizio del Corso Campano, in prossimità del Rione Fiorito. E la lapide in oggetto si riferisce a questo tratto di strada; infatti, esso misura circa 1280 metri (700 passi equivalgono a 1291 metri). Ciò basterà a fugare qualsiasi dubbio, a conferma di quanto avevo scritto e pubblicato già nel maggio del 1983.

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