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domenica, Giugno 23, 2024
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«Noi con Melito non ci dobbiamo avere a che fare», la strategia di Abete per isolare gli Amato-Pagano

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La storia della seconda faida di Secondigliano e Scampia, quella culminata con la cacciata degli Amato-Pagano dai territori che avevano conquistato a spese dei Di Lauro: è una storia più che mai fatta di tradimenti e di ‘cambi di casacca’. All’origine di tutto però ci sono tre avvenimenti importanti che saranno significativi per identificare gli accordi e le alleanze che a Secondigliano e dintorni sono fluidi più che mai. Ad accelerare la mattanza arrivano le scarcerazioni di Arcangelo Abete (boss della zona del Bakù e in passato uomo di punta delle batterie militari degli scissionisti) e di Giovanni Esposito ‘o muort altro ‘pezzo da novanta’ della camorra di Scampia. Secondo diversi collaboratori di giustizia Abete, una volta uscito, avrebbe manifestato il suo malcontento nei confronti di quelli ormai considerati come ‘invasori’.

Questi malumori cominciano a serpeggiare in un momento più che mai delicato per il fronte degli ‘spagnoli’ colpiti dall’arresto di Carmine Amato, nipote di Raffaele ‘a vicchiarell. Il giovane fu catturato insieme a a Daniele D’Agnese, altro elemento di spicco degli Amato Pagano. I due furono stanati all’interno di un residence a pochi metri da una delle cave di Chiaiano mentre erano in una villa dotata di sistemi di videosorveglianza. La reggenza del clan affidata a Carmine Amato – secondo gli inquirenti – avrebbe innescato uno scontro con Mariano Riccio, nipote di Cesare Pagano, per il controllo delle piazze di spaccio dell’area nord.

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