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sabato, Aprile 27, 2024
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Patto tradito tra boss di camorra: “Se mi pento uccidi mia sorella”

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Un’intesa criminale nata per conquistare una strada, un quartiere, una città. Questa potrebbe essere la storia di uno dei tanti patti criminali siglati in nome della distorta visione d’onore, ma i boss Tommaso Schisa e Michele Minichini hanno messo in gioco le vite dei loro familiari. Infatti in caso di pentimento di uno di loro, l’altro si sarebbe vendicato mediante l’uccisione della sorella. Di fatto, però, quell’accordo è stato rotto da Schisa che ha iniziato di collaborare con la giustizia nell’ottobre del 2019.

In un suo verbale d’interrogatorio, risalente all’undici ottobre 2019, ha descritto la genesi intesa: “Mi chiedete se io abbia mai discusso con qualcuno della mia organizzazione di eventuali pentimenti di affiliati. Voglio dirvi in proposito che già nell’anno 2015, quando è nata sostanzialmente l’organizzazione alla quale appartengo, sorta proprio per il contrasto armato al clan De Micco, nel discutere dei pentiti del clan Sarno, io e Michele Minichini abbiamo fatto un patto. I termini erano questi: se mi fossi pentito io, egli avrebbe ucciso mia sorella R. S; se si fosse pentito lui, io gli avrei ucciso la sorella M. M.  Se non ricordo male eravamo a casa di mia madre Luisa De Stefano e non c’erano persone presenti al discorso“. Il racconto è contenuto nell’ultima ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Napoli, Linda Comella.

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LA STORIA DI TOMMASO SCHISA

Tutto iniziò tre anni fa quando il giovane ha voluto raccontare i segreti della camorra di Napoli Est, nonostante, provenisse da una famiglia di notevole spessore criminale. La madre è Luisa De Stefano mentre il padre è Roberto, ucciso in un agguato di camorra nel 2002. E’ stato molto vicino al ras Michele Minichini ‘a tigre, boss arrestato e ritenuto di essere a capo del braccio militare dei Rinaldi.

Schisa junior venne accusato di essere l’ideatore di una rapina messa a segno in un’agenzia di Marigliano, oltre che di essere l’esecutore materiale di un raid avvenuto in una sala slot situato nello stesso comune. Erano i tempi in cui il gruppo del figlio d’arte cercò di allargare il proprio raggio di azione nell’hinterland napoletano. Ben prima ‘o muccusiell, così soprannominato, ancora minorenne fu condannato a 16 anni di reclusione per aver ucciso Umberto Improta. La vittima era un 27enne che con la criminalità non aveva nulla a che fare, dopo una lite insorta per futili motivi all’esterno di un bar di San Giorgio a Cremano, lite che vide coinvolti diversi giovani legati all’ormai ex clan Sarno.

“Ti mettiamo in un pilastro di cemento”, le minacce delle donne del clan per far ritrattare il pentito Schisa

Minacce. Finalizzate a far ritrattare Tommaso Schisa, l’ex ras del clan Minichini che con le sue dichiarazioni ha fatto tremare la mala di Ponticelli. C’è anche questo spaccato inquietante nelle oltre 1500 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare eseguita questa mattina nei confronti di 66 indagati facenti parte dei gruppi De Luca Bossa, Minichini, Schisa, Rinaldi e Aprea. Una vera e propria mazzata per boss e ras di Napoli est. Nel dispositivo del gip c’è il racconto in presa diretta dei tentativi effettuati dalle donne del clan di far ritrattare Schisa attraverso le ‘pressioni’ sulla moglie e sul suo attuale compagno. E’ il 30 settembre del 2019 quando Luigi Crisai, detenuto lavorante e addetto alle pulizie all’interno del carcere di Secondigliano, avvicina Tommaso Schisa, riferendogli, per conto di Michele Minichini ‘a tigre, detenuto nello stesso penitenziario di “ritrattare, di pensare alla famiglia” rassicurandolo sulla circostanza che , se lo avesse fatto, “le sue precedenti azioni non avrebbero avuto conseguenze”.

LE MINACCE ALL’EX MOGLIE DEL PENTITO

Le ‘pressioni’ non si fermano qui. Le donne del clan, infatti, rilanciano la posta e così Gabriella Onesto, De StefanoFortuna Ercolano e Maria Lazzaro, dopo aver affermato “di non essere femmine normali” nonché di essere “i padroni di Ponticelli” avvicinano il compagno dell’ex moglie di Schisa invitando l’uomo a far pressioni sulla donna, affinché, lo convinca a ritrattare. Le stesse, non contente, qualche giorno dopo minacciavano direttamente la donna: ”Ti meriti di finire in un pilastro di cemento, ci vediamo domani mattina e ti ammazziamo“. Qualche giorno dopo poi dalle parole si passerà ai fatti con un violento pestaggio subito dall’attuale compagno della donna.

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Alessandro Caracciolo
Alessandro Caracciolo
Redattore del giornale online Internapoli.it. Iscritto all’albo dei giornalisti pubblicisti dal 2013.
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