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venerdì, Aprile 26, 2024
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Svolta nel processo a carico della sorella del boss, esclusa l’aggravante camorristica

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Svolta al processo a carico di Marianeve Chierchia ed altri. Dopo l’arresto del 30/06/2022 per aver diretto-organizzato-promosso un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti a Torre Annunziata, con altri reati di detenzione di armi illegali e da guerra, arriva la svolta della Suprema Corte di Cassazione.

Già il Tribunale del Riesame aveva accolto lo scorso luglio la tesi difensiva dell’insussistenza di elementi indiziari in ordine all’esistenza di una associazione finalizzata al traffico di droga, confermando però i singoli delitti di detenzione ai fini di spaccio di ingenti quantità di stupefacenti e confermando altresì la contestata aggravante dell’art. 416 bis1 cp (aggravante dell’aver agito per agevolare le attività delittuose del clan Gionta operante in Torre Annunziata).

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Con ordinanza emessa in data 7 novembre, però, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dei legali di Marianeve Chierchia (ritenuta a capo del sodalizio, pluripregiudicata e sorella del boss detenuto al 41 bis Giuseppe).

La difesa della Chierchia (l’Avv. Antonio Iorio del Foro di Torre Annunziata) ha dimostrato ai giudici di Piazza Cavour come, indipendentemente dalla sussistenza della gravità indiziaria in ordine ai singoli reati, non potesse in alcun modo ritenersi l’aggravante ad effetto speciale dell’ aver agito per agevolare il clan Gionta: ciò in quanto da nessuna intercettazione e da nessun atto di indagine si poteva ritenere nemmeno in termini indiziari il collegamento tra i singoli delitti contestati e l’organizzazione camorristica operante in Torre Annunziata.

Non bastava, quindi, secondo la difesa (ed i i giudici supremi hanno condiviso) che Marianeve Chierchia era stata in precedenza condannata in via definitiva per appartenenza al clan Gionta così come non bastava che la stessa fosse sorella del boss detenuto al 41 bis Giuseppe, ritenuto elemento di primo piano del clan Gionta.

Decisione, quella assunta dalla Suprema Corte di Cassazione, che rischia di ribaltare totalmente le misure cautelari della custodia in carcere applicate a tutti gli indagati, atteso che escludendo l’aggravante dell’art. 416 bis1 c.p. a Marianeve Chierchia, tale decisione non potrà che estendersi anche agli altri indagati, con conseguente rivisitazione delle esigenze cautelari sottese al provvedimento restrittivo e possibilità di applicare (considerata la risalenza dei reati all’anno 2020) misure meno afflittive rispetto alla custodia cautelare in carcere.

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