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venerdì, Aprile 26, 2024
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Gli intellettuali e la sfida persa con la camorra

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di Roberto Ciuni





Il dolore dato all’Italia e il danno provocato a Napoli dall’assassinio di Forcella sono tanto grandi che discettare, come fanno alcuni, sul «Rinascimento» vissuto dalla città in epoca di recente memoria e precipitato dopo nel canestro delle illusioni perdute è solo perdita di tempo. Guardiamo avanti, piuttosto, cercando di capire su che cosa si può puntare per costruire un tessuto sociale migliore di quello che la storia ha sedimentato.
È abbastanza chiaro che, sull’argomento, la politica sia atona: i suoi rappresentanti non compromessi danno l’impressione di aver perso la capacità di interpretare la Napoli migliore; seppero farlo al tempo delle «Mani sulla città», seppero opporsi al decadimento dei primi anni ’70, seppero unirsi per contrastare il terrorismo e raccolsero in quei casi molti meriti. Sulla camorra, non ne hanno mai conquistato altrettanti per via di una distorta visione del problema. Oggi, però, la questione criminalità ha mutato essenza politica: non siamo più di fronte ad una espressione della base sociale con cui, volenti o nolenti, occorre fare i conti giacché gode di consenso, bensì di fronte ad una sorta di mortale nuvola di diossina che uccide lentamente la legalità.
Con un po’ di coraggio, adesso la questione camorra potrebbe esser fatta esplodere senza i tanti ambigui crucci del passato. Gli intellettuali? Cavalli sfiancati in vanitose esibizioni oppure al trotto dietro i conformismi di moda, ripropongono le solite visioni stucchevoli (modello «Napoli splendida»), quando non scaricano in pagine rabbiose la loro frustrazione di emarginati (modello «Napoli invivibile»). Tranne rare eccezioni, gli intellettuali non vivono la vita della città, afflitti dalla sindrome della fuga.
Lo Stato fa il possibile, dovendo misurarsi perfino con il qualunquismo corrente. È difficile, però, credere che la situazione possa essere ribaltata da ulteriori invii di poliziotti o dall’apertura di qualche altro commissariato. Affinché la polizia funzioni al meglio è necessario, tra l’altro, che i cittadini la considerino una protezione naturale: mancando o venendo meno questo rapporto, anzi, ritenendosi da parte di molti, moltissimi, che l’uomo in divisa sia un’entità oppressiva, non c’è Stato che tenga.

Ecco perché non possiamo permetterci che ad ogni avvenimento nefasto si intoni il ritornello dello Stato manchevole. La renitenza è altrove. Qualcuno dice nella «città illegale», quell’area diffusissima all’interno d’ogni ceto, d’ogni quartiere, d’ogni ambiente, ove si annida la cultura del tradimento delle norme. Altri studiosi, convinti fino all’avvento di Maurizio Valenzi sindaco, che tutti i guai fossero colpa della Democrazia Cristiana, adesso, girando tra i vicoli delle antiche «denunzie», stentano a raccapezzarsi: ma come, sia al governo della città la Dc, sia un socialista, sia il Pci, sia una giunta di centro-sinistra, i problemi di fondo rimangono gli stessi?
In attesa che si riprendano dalla sorpresa e scrivano sulle «novità» trattando le questioni storiche come tali e non come contingenze convenienti oppure no, i fatti di Forcella suggeriscono – ed è triste che avvenga in un momento di lutto – anche considerazioni positive proprio nel campo ritenuto meno incline a dare speranza: il campo della sensibilità popolare. Si diceva: Napoli dei quartieri cinica, Napoli indifferente, Napoli dal cuore corrotto. La tragedia di Annalisa ci ha fatto incontrare il dolore collettivo di un rione ritenuto «maledetto»: ragazzi di Forcella in lacrime e adulti di Forcella testimoni televisivi contro la camorra con il groppo in gola, gesti d’umanità, teneri diari di fanciulle, una chiesa piena di sincera sofferenza. Perfino il deprecabile assalto a casa Giuliano è apparso segno di una rivolta dello spirito: la bolla gonfia di silenzi, umiliazioni, soprusi inaccettabili, ad un tratto è scoppiata per la pressione


IL MATTINO 4 APRILE 2004

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