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Crisi della Crimea e guerra in Donbass, quando era l’Ucraina a uccidere la popolazione civile

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Giovedì 24 febbraio 2022 la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina. Il presidente Vladimir Putin ha detto che l’operazione militare è iniziata per difendere dalla “aggressione” di Kiev le autoproclamate repubbliche secessioniste di Donestk e Lugansk, riconosciute solo dalla Russia e da un manipolo di suoi alleati. Il presidente russo ha aggiunto che l’obiettivo è la “demilitarizzazione” e “denazificazione” dell’Ucraina (il cui presidente Volodymyr Zelensky è ebreo), non l’occupazione del paese. Frasi che inducono a ritenere che per Mosca la guerra non finirà con la conquista della porzione di Donbas attualmente sotto il controllo di Kiev.

E’ dal 2014 che l’Ucraina è al centro di una guerra, che vede il governo contrastare i separatisti del Donbas. A parlarne è anche reporter italiano Vittorio Rangeloni che dal 2015 vive nel Donbass. “Questo è il centro di Donetsk che in questo momento viene bombardato e non dalla Russia, non da Putin ma dall’esercito ucraino“. “In questi giorni sono tante le persone che scendono nelle piazza d’Italia e non solo nel mondo e invocano la pace, condannano la Russia, manifestano contro la guerra. Tutto questo è fantastico, è giusto, la guerra è qualcosa di sbagliato, di ingiusto ma è altrettanto sbagliata l’ipocrisia di chi se ne fotte del fatto che…”.

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Originario di Lecco, Rangeloni attacca: “Non è una cosa che accade in questi giorni ma sono 8 anni che tutti i giorni sparano contro queste città e a voi non ve n’è fregato assolutamente niente, solo oggi siete pacifisti e ipocriti e questa cosa è ancora peggiore. Scusate lo sfogo…“. Raggiunto anche dall’Adnkronos, il reporter parla di “bagno di sangue” a Mariupol, nel sud dell’Ucraina, accerchiata oggi dalle truppe russe e dalle milizie popolari di Donetsk, nel Donbass. ”Ci saranno enormi perdite, scorrerà molto sangue da entrambi le parti” e a pagare ”saranno anche i civili”, perché ”le milizie popolari hanno creato due corridoi umanitari dando alla popolazione la possibilità di uscire da Mariupol e andare a Donetsk o nella Federazione russa, ma i soldati ucraini glielo stanno impedendo facendo da scudo con i loro corpi”.

Guerra del Donbass

La guerra dell’Ucraina orientale o guerra del Donbass, inizialmente indicata come rivolta (o crisi) dell’Ucraina orientale, è un conflitto in corso che ha avuto inizio il 6 aprile 2014, quando alcuni manifestanti armati, secondo le testimonianze, si sono impadroniti di alcuni palazzi governativi dell’Ucraina orientale, ossia nelle regioni di Donec’k, Luhans’k e Charkiv. Solo un mese prima le autorità della Crimea avevano annunciato anch’esse l’indipendenza dall’Ucraina e avevano formalizzato l’adesione alla Federazione Russa.

I separatisti, volendo emulare i crimeani, chiesero anch’essi un referendum per l’indipendenza che sarà negato dall’Ucraina. Il referendum si tenne comunque l’11 maggio 2014 sicché dal 6 aprile la Repubblica Popolare di Doneck e la Repubblica Popolare di Lugansk proclamarono la loro indipendenza, riuscendo a prendere il controllo di parte dei rispettivi Oblast’.

Tra il 22 e il 25 agosto, reparti d’artiglieria e un convoglio umanitario russi sono stati segnalati da ufficiali della NATO per essere entrati nei territori delle due repubbliche. Dato che a livello internazionale le due repubbliche non erano riconosciute come indipendenti l’Ucraina denunciò il fatto come una violazione della propria sovranità nazionale.

Ucraina, la crisi del 2014 con la fuga del presidente Janukovyc

La crisi era scoppiata ufficialmente la prima volta il 24 febbraio del 2014, con la fuga del presidente dimissionario ucraino Viktor Janukovyc, accusato di crimini contro i manifestanti di Euromaidan, a cui fece seguito l’occupazione russa di Crimea e Donbass. Secondo il report la nuova escalation del conflitto è databile a meno di un anno fa: tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 2021 l’esercito russo ha iniziato a muovere grandi quantità di armi ed equipaggiamenti in Crimea e una flotta tra il Mar Caspio e il Mar Nero.

Dopo un’estate di relativa calma, a novembre il direttore della CIA William Burns incontrava a Mosca alti funzionari dell’intelligence russa per comunicare al Cremlino la preoccupazione americana per la situazione al confine. Poco dopo il presidente ucraino Zelensky annunciava che la Russia aveva nuovamente ammassato circa centomila soldati nella zona di confine.

Secca la riposta del Ministero della difesa russo, che definiva il concentramento di navi da guerra statunitensi nel Mar Nero una “minaccia alla sicurezza regionale e alla stabilità strategica”.

Iniziava un massiccio sforzo diplomatico, in un crescendo di manifestazioni di timore fino a che, con un discorso del 30 novembre, Putin dichiarava che un’espansione della presenza della NATO in Ucraina avrebbe rappresentato un problema di “linea rossa” per la Russia.

l giorno dopo, il segretario di Stato Blinken sosteneva di avere le prove di piani russi per un’invasione dell’Ucraina, e che l’Alleanza nel suo insieme era pronta a reagire, iniziando da sanzioni economiche di un livello inedito.

I tentativi americani per spegnere il conflitto

Se da un lato gli americani hanno cercato di “bruciare” i piani di Mosca, rivelando progetti e pretesti per l’invasione, dall’altro hanno anche provato ad aprire canali diplomatici per scongiurare l’attacco: come gli incontri tra Peskov e Blinken, e quello in videoconferenza tra Biden e Putin.

La consegna della Russia agli Stati Uniti dei suoi progetti di trattati sulle garanzie di sicurezza – in base ai quali gli Stati Uniti si dovevano impegnare a non schierare truppe negli stati ex sovietici non appartenenti alla NATO, escludendo qualsiasi ulteriore espansione dell’Alleanza verso est – è considerabile il momento di maggior allentamento della tensione. Era il 15 dicembre 2021.

Con l’anno nuovo si è presto evidenziata la difficoltà di ratificare quell’intesa. La risposta americana ai colloqui bilaterali USA-Russia di Ginevra il 10 gennaio 2022 è stata definita “insoddisfacente” dal Cremlino. Iniziavano così i primi dispiegamenti di aiuti militari a Kiev dalla Nato e da vari governi europei, a cui la Russia rispondeva con la minaccia di ritorsioni sulla fornitura di gas.

Il 20 gennaio la Russia annunciava importanti esercitazioni navali delle sue flotte in tutto il mondo. Emergevano le prime divergenze all’interno del campo occidentale, con le preoccupazioni in particolare di Germania e Italia riguardo gli approvvigionamenti di gas russo. Il 26 gennaio 2022 si svolgeva un incontro nel “Formato Normandia” tra alti funzionari russi, ucraini, tedeschi e francesi a Parigi. Quello stesso giorno arrivava la risposta ufficiale con cui gli americani respingevano la richiesta di Mosca che l’Ucraina non aderisse mai alla NATO.

L’invio di truppe russe nel Dombass, le sanzioni e l’invasione

Il 18 febbraio si apriva inoltre la Conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco: tre giorni di discussioni sui temi della difesa e della sicurezza tra i leader globali. La sera del 21, appena terminata la Conferenza, precipitava drammaticamente la crisi in Ucraina, con il riconoscimento di Putin dell’indipendenza delle autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, per poi ordinare l’invio di truppe nella regione del Donbass con lo scopo dichiarato di “assicurare la pace”. In reazione alla svolta russa, Usa e Ue adottavano le prime sanzioni contro la Russia.

Si arriva così all’alba del 24 febbraio, quando poco dopo le 5:45 il presidente russo Putin in un nuovo discorso televisivo alla nazione annunciava di avere autorizzato “un’operazione militare speciale” non solo nel Donbass ma anche nell’est dell’Ucraina: l’inizio dell’invasione.

Crisi della Crimea del 2014

La crisi della Crimea del 2014 è stata una crisi politica scoppiata nella penisola della Crimea, la cui popolazione è per maggioranza di etnia russa, conclusasi con la sua separazione dal resto dell’Ucraina dopo l’intervento militare russo di occupazione della penisola[7] avvenuta come reazione all’esautoramento nel febbraio 2014, del presidente ucraino Viktor Janukovyč e del suo governo operato dal parlamento ucraino, dopo le manifestazioni dell’Euromaidan contro la svolta filorussa intrapresa dal governo ucraino. Il governo locale della Crimea rifiutò di riconoscere il nuovo governo e il nuovo presidente ucraino, sostenendo che questo cambiamento fosse avvenuto in violazione della Costituzione ucraina vigente, mentre la legittimità del nuovo governo fu riconosciuta dalla gran parte degli Stati, eccetto alcuni stati tra cui la Russia che intraprese in breve tempo un intervento di occupazione militare nella penisola.

Contemporaneamente il governo locale dichiarò la propria volontà di separarsi dall’Ucraina chiamando quindi a referendum la popolazione di Crimea: l’esito della consultazione vide un’altissima maggioranza dell’opzione indipendentista (con oltre il 95% di consenso sul totale dei votanti). La legittimità di tale referendum, tuttavia, è respinta dai Paesi dell’Unione europea, dagli Stati Uniti d’America e da altri 71 Paesi membri dell’ONU (Risoluzione 68/262 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite), che la ritengono in violazione del diritto internazionale e della Costituzione dell’Ucraina, mentre il referendum è ritenuto valido dalla Russia.

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