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venerdì, Aprile 26, 2024
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I giudici litigano tra loro, 28 boss e affiliati escono dal carcere

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Tra i due litiganti è sempre il terzo che gode. La battaglia del “copia e incolla” delle ordinanze negli uffici del Tribunale di Palermo, infatti, come effetto immediato, ha provocato un pasticcio nel pasticcio: il ritorno in libertà, cioè, di 28 presunti mafiosi dei 63 arrestati del blitz Montagna contro i clan dell’Agrigentino. Come è potuto accadere tutto ciò? I documenti di gip e Riesame coincidevano con quelli del pm. Inoltre, in un’ordinanza di annullamento degli arresti i nomi di due imputati sono stati scambiati. E, mentre i giudici litigano tra loro…

 Il “copia e incolla” della discordia. Secondo quanto riporta nel dettaglio LiveSicilia.it, il Tribunale del Riesame, che nelle scorse settimane ha annullato 28 dei 63 arresti di presunti mafiosi, “ha sostenuto che ci fosse carenza di motivazione nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari”.

“In alcuni casi – si precisa – la bocciatura è dovuta al fatto che il Gip si sarebbe limitato a ripetere alcuni ampi passaggi della richiesta di arresto della Procura di Palermo”. Allora “la Procura non ci sta e presenta ricorso in Cassazione contro la scarcerazione di massa di quelli che ritiene ‘pericolosi uomini di Cosa nostra’”.

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“Ora – è la ricostruzione della battaglia – si scopre che anche il Riesame, secondo i pm, avrebbe utilizzato il ‘copia e incolla’ per le posizioni di Vincenzo Cipolla e Angelo Di Giovanni, ritenuti affiliati ai clan di Favara e San Biagio Platani, ma scarcerati dopo il ricorso degli avvocati”.

“Paradossalmente, – si legge a conclusione del ricorso dei pm – quella stessa tecnica motivazionale che il Tribunale imputa al Gip come viziata, lo stesso organo giudicante la segue pedissequamente, tant’è che le ordinanze, chiunque sia il relatore o il collegio, sono redatte sostanzialmente in fotocopia; evidente effetto di quella stessa tecnica del cosidetto copia-incolla”.

E in questa battaglia a colpi di ricorsi, interviene la Procura generale della Cassazione, che “ha chiesto chiarimenti sulla vicenda alla Procura generale palermitana”.

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