Nessuna parrucca e nessun travestimento: Marco Di Lauro, nei limiti del possibile, girava nel quartiere con la complicità di insospettabili. Una vita – quasi – normale, ma da latitante quella vissuta da “f4” che, come raccontato dal pentito Salvatore Tamburrino, riusciva a spostarsi anche autonomamente con auto che riuscivano a passare inosservate.
“In questi anni, Marco mi contattava su un cellulare dedicato, solo da usare per sms, che accendevo dalle 16 alle 17 di ogni venerdì, su cui ogni tanto perveniva il messaggio di Marco il quale mi chiedeva di andare dalla sua amica”, ovvero la titolare di un negozio di Secondigliano dove venivano lasciati i messaggi e le raccomandazioni del boss. Una rete semplice che si basava sulla collaborazione di fabbri, barbieri, fruttivendoli e gente comune che aveva ormai “adottato” il boss latitante e lo proteggeva nel covo di via Emilio Scaglione. “Trovavo i pizzini che mi mandava il negozio di abbigliamento, oppure mediante il negozio di telefonia non lontano al commissariato di Secondigliano, oppure tramite mio zio Giuseppe, fruttivendolo…”, dice Tamburrino. Da latitante sarebbe andato comunque dal suo barbiere di fiducia, sempre. Nonostante la polizia lo ricercasse e lo considerasse tra i latitanti più pericolosi.
Come si legge da IlMattino, “Per le cose ordinarie, si gestiva da solo, si muoveva liberamente, per esempio per le visite mediche o per acquisti di abbigliamento. Marco girava liberamente, aveva nella disponibilità macchine piccole che non davano nell’occhio», a rivelarlo è sempre Salvatore Tamburrino. Nel verbale di deposizione dell’ex fedelissimo si legge: «Mensilmente, dalle piazze di spaccio entravano bei soldi, dopo aver pagato tutti, restano 200mila o 250mila euro, che vengono messi da parte. Io, Benedetto Russo e Giuseppe Prezioso gestivamo la cassa e tenevamo i libri mastri, che ci venivano portati tutte le mattine».
Una ragnatela di appoggi permetteva la sostanziale “liquidità” del clan che riusciva a sfuggire alle forze dell’ordine: I libri mastri del clan erano tenuti in una salumeria prima, poi da un’anonima “signorinella”.