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venerdì, Maggio 31, 2024
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Ucciso per una schiaffo alla madre del boss: confermate le condanne

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La Corte d’Appello ha confermato la condanna per tutti gli imputati accusati di aver ucciso Vincenzo Masiello ai Quartieri Spagnoli. Tra le urla e le minacce contro il padre della vittima che ieri era presente in aula, si è chiuso il processo di secondo grado. Il procuratore generale aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado e così è stato. Tutti gli imputati sono accusati di essere gli autori materiali dell’omicidio. In primo grado il pm aveva chiesto l’ergastolo per tutti e sei gli imputati, accusati di essere coinvolti nell’omicidio del giovane Vincenzo Masiello. Concesse però le attenuanti generiche, esclusa la premeditazione, riconosciuta invece l’aggravante della matrice camorristica. Nel dettaglio Gennaro Ricci era stato condannato a 27 anni di carcere, Emanuele Pipoli ed Emanuele Radice furono condannati a 20 anni di carcere a testa mentre 15 anni furono comminati rispettivamente a Paolo Iuliucci, Gennaro Errico e Vincenzo Paglionico. Le stesse pene sono state dunque chieste anche in Corte d’Assise d’Appello dal procuratore generale.

Ieri è arrivata la condanna per tutti. Il collegio difensivo dei sei imputati era composto dagli avvocati:Leopoldo Perone, Antonio Rizzo, Giuseppe De Gregorio,Mario Bruno, Carlo Fabozzo e Ciro Arino. I legali difensori riuscirono quindi ad evitare la pena dell’ergastolo per i propri assistiti così come richiesto in sede di requisitoria da parte del pm. Vincenzo Masiello era stato il bersaglio dell’agguato per una vicenda accaduta quattro anni prima: uno schiaffo che sarebbe stato dato dalla vittima alla madre di Ricci. Nelle 77 pagine del decreto di fermo firmato dal pm della Dda, Michele Del Prete, ci sono le dichiarazioni che hanno portato all’arresto di tutti i destinatari.

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Nelle pagine delle informative della squadra mobile della questura e dei carabinieri del nucleo investigativo, oltre alle dichiarazioni dei due familiari,ci sono le attività investigative sui motocicli indicati dai testimoni. Inoltre, nel provvedimento restrittivo si fa riferimento ci anche agli esami dello Stube, che su un indumento di Gennaro Ricci ha evidenziato la presenza di particelle di polvere da sparo.Poi la confessione: «Ho ucciso io perché credo fosse armato, si mise la mano nei pantaloni e mi impressionai, gli altri ragazzi non sapevano nulla e nulla c’era di premeditato». Di diverso avviso la Procura di Napoli che si è avvalsa,nell’ultima udienza, anche di un nuovo collaboratore di giustizia, Gaetano Lauria, ex uomo di fiducia dei D’Amico di Ponticelli. Ha ricostruito le fasi del delitto ma per sentito dire.Uno dei testimoni chiave della vicenda sono stati alcuni familiari della vittima che accusarono gli imputati per averli riconosciuti. Reazione scomposta quella dei familiari, dettata dalla speranza che gli amici di Gennaro Ricci sarebbero stati assolti come è accaduta per Matteo Cammarota, giudicato per gli stessi fatti davanti al Tribunale dei Minori perché all’epoca dell’omicidio non aveva ancora compiuto la maggiore età. I difensori dei compagni del ras,del resto, avevano portato avanti, in prima istanza, l’assoluta inconsapevolezza di Radice, Pipoli (per lui l’avvocato De Gregorio aveva sostenuto che non fosse affatto presente all’evento), Iuliucci, Errico e Paglionico rispetto al fatto che Ricci fosse armato,chiedendo per questo che tutte le accuse venissero cancellate.

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