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venerdì, Aprile 26, 2024
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IL COLORE DELLA DISCRIMINAZIONE

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C’è un sottile filo (nero) che lega l’assurda morte di Ernest, il coloured morto investito in via Di Vittorio qualche mese addietro e la tragica storia raccontata appena qualche settimana fa sulle pagine di questo stesso giornale, storia che riguardava il triste giaciglio di fortuna di tre ragazzi africani proprio alle porte della nostra città. Un filo nero dicevamo. Non è un filo di seta o di nylon. E’ un filo formato da un miscela di “materiali” molto diffusi soprattutto dalle nostre parti. Per brevità di cronaca ne elenchiamo solo alcuni : razzismo, discriminazione, xenofobia, intolleranza. Diciamolo chiaramente. Siamo una città razzista e poco importa ai cari concittadini qualianesi se uno di colore “nero” muore sotto una automobile. Poco importa se un gruppo di “sudici extracomunitari” trovano ricovero come delle bestie sotto degli alberi di pesche. Nessuno si scandalizza. Anzi, proprio in queste occasioni si rafforza la nota corrente di pensiero che alla fine di ogni discorso (farcito sempre con buone dosi di antropologia culturale tutta qualianese), termina con le solite parole, divenute in vero e proprio “argot” tutto nostrano : “che bbuò ffà, so nire” (Cosa vuoi farci, sono negri).



L’ariano bianco e il sudicio negro.

Nella nostra città la gente si appassiona a tutto. Scende in strada per i mondiali di calcio, si entusiasma per il toto sindaco e per il toto assessori, si risveglia e si eccita per le imprese mediatiche del nuovo sindaco – giardiniere, si arrabbia per l’aumento di un punto percentuale dell’ICI e delle altre tasse comunali, si infiammo al suono della magica parola “Piano Regolatore Generale” e si commuove alla telenovela circa il futuro amministrativo della Rosa nel Pugno. Ma di extracomunitari i qualianesi non ne vogliono proprio sapere. Si voltano dall’altra parte e fanno finta di non vedere. I coloured si ignorano. Queste sono “cose” che vanno trattate con i guanti. Al massimo sono “cose” da sfruttare e basta. Nel nostro pensiero comune (e ricorrente) essi (i neri) stanno addirittura al di sotto degli animali. Anzi, in molte famiglie, oriunde e non, nella piramide sociale in salsa qualianese, le persone di colore sono paragonate proprio agli animali e nemmeno a quelli da cortile. Loro, i ”neri”, sono addirittura incastonati tra le bestie vaganti e gli animali selvatici. A rafforzare questa diffusa tesi basta il lampante esempio del qualianese mediamente ricco, possidente, latifondista ed immobiliarista. Che c’entra direte voi ? E’ presto detto.


Come bestie in luoghi malsani.
La deformazione mentale che produce discriminazione e subcultura razziale si vede proprio quando l’ariano bianco “panzatuosto” incontra il sudicio nero “africano”. Le due diverse etnie si incontrano e si parlano in due soli casi. O quando il bianco deve affittare qualcosa che compone “a rrobba soie”, e qui parliamo di proprietà immobiliari, o quando gli servono braccia possenti per fare qualche sporco lavoro in nero (scusate il gioco di parole). In entrambi i casi deve essere sempre l’ariano bianco qualianese a guadagnarci o non se ne fa niente. Per il primo caso, basta guardarsi in giro e vedere dove alloggiano o dove sono ospitati gli “afrikaner” nella nostra amata Gaudianum. Il più delle volte la loro abituale dimora coincide con un luogo fetido, umido e putrido, che anche i topi e gli scarafaggi si sono affrettati ad abbandonare. L’ariano, questi piccoli lager formato 3 x 4, li affitta e li subaffitta a seconda di quanti letti “azzeccati” ci entrano. “Hai una cantina umida, senza finestra e che emana un’insopportabile puzza di piscio? Bene fittala ad un negro. Anzi, ad una decina di negri”. Questo il motto del qualianese in veste di spudorato immobiliarista. Il più delle volte a questi ragazzi vengono rifilate delle vere e proprie topaie, dove ammassati, vivono, dormono e sognano tutti insieme. Il bagno ? Nemmeno a parlarne. Gli ospiti del malsano tugurio, se proprio devono scaricare il ventre, possono andare nelle campagne circostanti. E se proprio diventa urgente (perché quella capita sempre) c’è sempre la strada. Comunque, in barba soprattutto all’Agenzia delle Entrate, il conto è presto fatto. In questo caso si ragiona “a capa”. Più persone ci metti nella stamberga e più soldi si guadagnano. In taluni casi il “panzuatuosto” possidente può ricavare anche fino a 500 euro mensili. Altro che appartamento in centro . Quello da tre vani più accessori e doppi servizi lo diamo ad una famiglia di razza bianca, che diamine. “Mica lo vogliamo deprezzare”.


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Passeggiate per il centro storico.
In alcune zone del centro storico e precisamente tra via Camaldoli, il Pozzo Comunale e via Villa, il passante errabondo, nella sua passeggiata tra i pittoreschi vicoli qualianesi, ha modo di osservare tranquillamente tutti i capi di abbigliamento e di biancheria intima che gli sfortunati “negri” indossano di solito: asciugamani, calzoni, mutande, magliette ed altri stracci sono stesi ad asciugare al sole (quando questi ci arriva) proprio in mezzo alla strada. Uno spettacolo di una drammaticità e di una emergenza che forse non è paragonabile nemmeno lontanamente a quello delle favelas sudamericane, che a detta di molti studiosi e viaggiatori è la zona più malfamata e povera del pianeta terra. Sicuramente i diligenti ricercatori antropologici non hanno mai visto il centro storico qualianese. Si ricrederebbero.




Altre occasioni di incontro.

La seconda occasione di incontro fra le due diverse etnie invece, avviene in strada ed è visibile in molte zone della nostra città. Piazza Kennedy su tutte. Ogni mattina, “Mmiezz o tunno” si consuma un vero e proprio “mercato umano” fatto in modo spudorato e spregiudicato dagli onesti e laboriosi agricoltori locali. Questo triste ed avvilente mercimonio è fatto contro le più elementari regole di umana e civile convivenza tra esseri della stessa specie. E’ un vero e proprio gioco al massacro anche fra gli stessi coloured. Anche il questo caso il “badrone” di turno, il quale non si degna nemmeno di scendere dal proprio automezzo, fa un ottimo affare proprio ai danni di questi poveretti, i quali, per sbarcare il lunario sono pronti a qualsiasi cosa pur di salire sul quel maledetto camion ed andarsi a guadagnare un tozzo di pane: lavora solo chi viene pagato di meno. E’ così, come ogni mattina, nella centralissima piazza si ripete una triste storia che ormai va avanti da quasi 20 anni nell’indifferenza generale di cittadini ed istituzioni. E’ questa l’invisibile ed incredibile guerra di civiltà e di degrado sociale che si consuma nelle strade, nei vicoli e nelle piazze della nostra città ogni giorno. Una guerra fatta non a colpi di cannone e fucili, ma fatta di diritti negati, di ricatti e di vessazioni. E’ una guerra di violenza e sopraffazione quotidiana che molte volte rasenta il codice penale. E’ una sporca guerra. Ma Qualiano l’ha già perduta.

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