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Morto il boss amico di Riina

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Si fece arrestare senza difficoltà, dopo aver atteso per tre giorni l’arrivo dei poliziotti. Era il 9 novembre di tre anni fa, Vincenzo Lubrano, già malato, era stato condannato anche dalla Cassazione all’ergastolo per l’omicidio di Franco Imposimato, un sindacalista, ma soprattutto fratello del giudice istruttore di Roma, Ferdinando. Una vendetta trasversale, un favore reso ai mafiosi di Corleone. Di quel delitto, Vincenzo Lubrano venne riconosciuto mandante. E non era una sorpresa. Proprio i Lubrano, con tante altre famiglie camorristiche insediate nella provincia di Caserta, costituisce la vera mafia-camorra della regione. Quella in grado, come i corleonesi, di decidere delitti «politici»: contro magistrati, sindacalisti, poliziotti, o sacerdoti. Affiliati a Cosa nostra, come i loro parenti Nuvoletta di Marano. Agli inizi degli anni ’70, i Lubrano lasciarono Giugliano e si stabilirono a Pignataro Maggiore. Il loro regno, diventato, per definizione unanime «la Svizzera dei clan», area principe di riciclaggi illustri, di latitanze famose, di piani d’azione criminali. Qui, si racconta, Totò Riina, partecipò da latitante al matrimonio di Gaetano Lubrano, detto «Bucaciov», fratello di Vincenzo, in compagnia di altri mafiosi come Pippo Calò e Leoluca Bagarella. Quello stesso Gaetano Lubrano, sposo di Giuseppina Orlando, cugina dei fratelli Nuvoletta, morto in soggiorno obbligato nel 1989, che aveva partecipato al summit di Marano in cui venne decisa la morte del giornalista del Mattino, Giancarlo Siani. Raccontò il pentito Ferdinando Cataldo al pm Armando D’Alterio: «Angelo Nuvoletta è il capo di Cosa nostra a Napoli, Lorenzo Nuvoletta è coordinatore, Gaetano Lubrano era consigliere della famiglia dei Nuvoletta». Un rapporto stretto, tra due famiglie campane affiliate alla mafia. Consolidato anche dal matrimonio tra Rosa Nuvoletta, figlia di Lorenzo, e Raffaele Lubrano, figlio di Vincenzo, ucciso il 14 novembre del 2002 dopo un drammatico inseguimento tra le strade di Pignataro Maggiore. Parentele di peso negli scenari criminali campani. Come anche quella tra lo stesso Vincenzo Lubrano e Raffaele Ligato, che ne ha sposato la sorella ed è rimasto a lungo latitante fino all’arresto in Germania di due anni fa. A Pignataro Maggiore, Comune sciolto per camorra sette anni fa, il peso poco appariscente dei Lubrano si è sempre sentito. Ufficialmente imprenditori edili con la loro «CO.GE» (Costruzioni generali), rintanati nelle loro case-bunker, si sono fatti notare soprattutto per la loro particolare devozione religiosa. Un pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo, sulla tomba di padre Pio, dopo il primo annullamento disposto dalla Cassazione dell’ergastolo a Vincenzo Lubrano per l’omicidio Imposimato nel settembre del 2003. Oppure il restauro, che fece eseguire a sue spese Lello Lubrano poco tempo prima di essere ucciso, di un affresco raffigurante la Madonna nella sala Moscati, vicino la chiesa madre del paese. Un quadro che ora viene detto «la Madonna della camorra», perché sembra abbia ricevuto le preghiere di quasi tutti i boss di mafia latitanti passati a Pignataro. Quattro anni fa, in un’intervista, Rosa Nuvoletta ormai vedova dichiarò: «Pignataro non è più il paese di un tempo, troppa violenza negli ultimi anni». Sembrava un segnale di stanchezza. Che continuava così: «Voglio che i miei ragazzi vivano lontano dalla violenza, mio marito ha pagato per colpe non sue, questo è sicuro. Hanno voluto far credere che fosse un boss». Quattro anni dopo, tutte le nuore di Vincenzo Lubrano erano al suo capezzale. «Adesso non diranno più che fingeva», hanno commentato. Il capoclan, morto a 69 anni nel suo letto (ricoverato a lungo all’ospedale di Caserta) per un male incurabile, ha seguito, ironia della sorte, lo stesso destino del consuocero Lorenzo Nuvoletta. Anche lui, scarcerato per un tumore, ebbe il tempo di chiudere gli occhi a casa sua. Con i familiari.



GIGI DI FIORE – IL MATTINO 5 SETTEMBRE 2007

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