L’ultima ordinanza contro il clan Di Lauro trae origine nel 2015, precisamente il 9 gennaio, data della scarcerazione di ‘F2′, ossia figlio secondo di Paolo Di Lauro, alias Ciruzzo ‘o milionario, fondatore della cosca egemone per anni nell’area a Nord di Napoli. Come scrivono i magistrati, Vincenzo a differenza dei fratelli ha intrapreso la strada della discontinuità nelle scelte criminali del clan. Egli considera infatti il clan come una sorta di ‘azienda di famiglia’ ed i metodi camorristici come mezzo necessario per raggiungere finalità che sono essenzialmente economiche (commerciali, finanziarie ecc.) e non principalmente per affermare il dominio sul territorio, che non è più l’elemento costitutivo unico ed essenziale su cui ruota la vita criminale della sua consorteria.
F2 ha dunque il merito di aver ‘modernizzato’ una consorteria già tristemente famosa per le sanguinose faide scatenate nel primo decennio del secolo. Il capoclan Vincenzo Di Lauro ha infatti evitato il ricorso, dove possibile, a mezzi esplicitamente violenti, che ha in sostanza subappaltato a consorterie più navigate nel contesto dell’uso della violenza, affidata alla Vanella-Grassi con cui i Di Lauro aveva stretto una sorta di joint venture e, successivamente, di vera e propria alleanza organica, o partnership, una forma di stretta collaborazione. Enzo Di Lauro era ritenito una sorta di ‘padre nobile’, garante sul territorio anche delle frange vinelliane che, colpite da numerosi provvedimenti giudiziari, tentano faticosamente di riorganizzarsi, nonchè arbitro delle loro intemperanze.
Quando nel 2015 uscì dal carcere, ‘F2’ prese le redini del clan che era allora nelle mani di Marco, all’epoca latitante, e di Salvatore, impegnato nel giro di stupefacenti. I fratelli avevano visioni opposte sulle gestione della cosca fino al marzo 2019, quando Marco, ‘F4’, fu arrestato. Con la cattura di Marco e il pentimento di Salvatore Tamburrino, pezzo grosso dei Di Lauro, i magistrati sono riusciti a ricostruire l’ascesa di Vincenzo ed il suo progetto di ricostruzione della cosca. Fu sua la scelta di riattivare il contrabbando di sigarette, vecchio pallino del padre e suo, evolvendolo verso la produzione in proprio dei tabacchi lavorati piuttosto che limitarsi a farne solo commercio all’ingrosso e controllandone la distribuzione, creando cioè addirittura fabbriche per produrre le sigarette di contrabbando facendo ricorso a know-how estero (segnatamente bulgaro).
Fu sempre lui a decidere di entrare nell’affare delle aste giudiziarie, grazie a quella frangia della Vanella Grassi che aveva inteso abbandonare la rischiosa gestione delle piazze di spaccio per investire in settori imprenditoriali più lucrosi ed a rischio notevolmente minore. Questa propensione agli affari crea tuttavia a Vincenzo Di Lauro un grosso problema di liquidità. Esaurita la scorta di contante messa da parte e venute a mancare le risorse che fino ad un certo momento storico ancora giungevano dalla gestione delle piazze di spaccio ed il commercio di stupefacente (c.d. passaggi di mano), egli ha la necessità di monetizzare.
Dopo aver richiamato a sé vecchi amici del padre che rivitalizza sul piano economico autorizzandoli ad investimenti al confine tra illecito e l’illecito come Menna Vincenzo, dapprima bussa a cassa di imprenditori ‘amici’ o veri e propri riciclatori, poi recupera patrimoni immobiliari che il clan aveva affidato a prestanomi storici. Infine si rivolge a soggetti intranei a clan alleati (i Marino e la Vanella Grassi) e crea con costoro società per finanziare imprese commerciali dall’esito spesso incerto. Di fronte alla impellente necessità di denaro rompe gli indugi e con esso un tabù pluridecennale del clan Di Lauro, sul quale sotto il padre Paolo il clan aveva creato parte del prestigio criminale e del consenso sociale di cui indubbiamente godeva, autorizzando le estorsioni a negozianti e riaprendo la strada anche a delitti predatori come le rapine, le truffe assicurative, i cavalli di ritorno, la clonazione di autovetture, frodi carosello all’Iva e le sigarette. Ogni affare aveva un referente
Nel campo del contrabbando c’era Raffaele Rispoli che ha al suo servizio numerosi altri soggetti. Nel campo degli stupefacenti, lo stesso Rispoli Raffaele e Di Natale. Nel campo delle aste giudiziarie, Diego Leone Nel campo economico e finanziario, Di Lauro Vincenzo si espone in prima persona e si avvale di una schiera di consulenti e professionisti: i fratelli Nocera che contestualmente sono anche affiliati del clan alleato, la Vanella Grassi. Il settore della droga era affindato al fratello Salvatore Di Lauro alias terremoto.
Con la Vanella Grassi, dopo i dissidi del 2007 quando ci fu la girata (i vinelliani, in un atto di ribellione alla gestione di Giuseppe Pica, si schierarono con gli Amato Pagano), poi si strinse una partnership in ulteriori settori di comune interesse con la Vanella Grassi. Collaborazione che si basava sia sulla comune origine secondiglianese, sia sulle parentele intrecciate e la solida affiliazione dei vecchi vinelliani al clan Di Lauro che risale dai primi anni duemila.
Dal 2011 i Di Lauro e la Vanella Grassi si sono definitivamemte riavvicinati, facendo affari oltre che su droga e sigarette, soprattutto nel settore delle aste giudiziarie, in cui si muove un mondo di consulenti finanziari e di personaggi variegati, professionisti, dipendenti di istituti di credito.
Le aste giudiziarie sono uno strumento formidabile per accedere all’acquisto di beni immobili in modo ‘pulito’ riciclando denaro sporco, approfittando delle lacune normative. Ecco dunque che Vanella-Grassi, Di Lauro e Licciardi si spartiscono gli affari delle aste giudiziarie. Ma la vera vocazione ‘imprenditoriale’ di Vincenzo Di Lauro si coglie nel momento in cui si svela il reticolo delle società che sono riferibili a lui e che vengono gestite da prestanome e che egli richiama a sé praticamente nello stesso momento in cui viene scarcerato.