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mercoledì, Maggio 1, 2024
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«Dobbiamo fargli vedere chi sono i maranesi», così fu ucciso il ras che offese gli Abbinante

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«Sono cafoni di Marano». Questa la frase che avrebbe condannato a morte Vincenzo Ardimento ucciso in via Fratelli Cervi nel lontano giugno del 1999. Un’offesa che il clan del Monterosa, gli Abbinante appunto, mal digerirono e che gli fecero pagare con la vita. Per quel delitto ieri è stata eseguita in carcere a Catanzaro, dove è detenuto, un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Francesco Abbinante, figlio del capoclan Raffaele. A dare una svolta alle indagini (effettuate dagli uomini della squadra mobile guidati dal dirigente Alfredo Fabbrocini) le dichiarazioni dei tanti collaboratori di giustizia che in questi anni hanno fatto il ‘grande salto’ passando dalla parte dello Stato. Come Salvatore Musolino, ex ras al soldo dei Di Lauro che ha ricostruito quei momenti e indicato per primo agli inquirenti il coinvolgimento di Abbinante che poco aveva gradito quel commento che, in poco tempo, aveva fatto il giro di Scampia. L’ex ras dei Di Lauro fa nomi e cognomi di coloro che avrebbero partecipato all’agguato tirando in ballo suo fratello, Dario De Felice e Giovanni Esposito ‘o muort oltre ad Abbinante indicato come mandante. Musolino ha messo a verbale il 19 febbraio del 2021:«Fummo convocati in un appartamento io, mio fratello Raffaele, Dario De Felice e Giovanni Esposito ‘o muort e c’era Francesco Abbinante. Ouesti mi chiese che rapporti avevo con Tata, gli dissi che ci salutavamo. Mi disse che noi dovevamo ucciderlo, per una offesa e mancanza di rispetto a Francesco Abbinante e dovevamo farlo nel nostro rione, anche per dare un segnale. Ci disse che dovevamo dimostrare chi erano i maranesi: “dobbiamo fargli vedere che siamo noi i sanguinari”, per marcare la differenza con i Prestieri. Ci mettemmo d’accordo io e mio fratello Raffaele di tirarlo in trappola nel nostro territorio, “sotto il biliardo”. Decidemmo di farlo bere e di dargli della della cocaina, e poi di portarlo in trappola. Mio fratello parti con una Vespa HP e Tattà stava su un Free bianco. lo con un Free verde acqua, Dario De Felice faceva il palo a via F.li Cervi, fuori al porticato c’era Giovanni Esposito a fare il palo. Francesco Abbinante stava preparato dietro a una baracca. Mio fratello per più di mezz’ora portò Tattà a bere nel Bar Romano, poi al Bar Zeus, gli diede della cocaina. Ad un certo punto mi fece uno squillo su un cellulare StarTac e mi disse “ora tutt’a posto, mi sto divertendo, mo vengo”. A quel segnale io dicendo che andavo incontro a mio fratello. Arrivai alla 167 e vidi mio fratello e Tattà sui motorini: andai loro incontro, e Tattà vedevo che era molto stonato dall’alcool e dalla cocaina. Arrivammo a via Fratelli Cervi, lotto TB, “sotto o’ funn” dove cera un biliardo. Entrammo noi 3 (io, mio fratello e Tattà). Parcheggiai il mio motorino a fianco a quello di Tatta, mio fratello si mise un po’ distante, Tatta aveva la sigaretta in mano. lo con la scusa di accendermi la sigaretta, feci segno a Raffaele, mio fratello. Questi si affacciò e vide Dario De Felice, il quale a sua volta fece segno “tutto a posto”. Mio fratello diede il segnale a Giovanni Esposito e quest’ultimo lo diede a Francesco Abbinante, che usci allo scoperto e sparò quattro colpi di pistola a tamburo. All’ultimo colpo lo stese a terra, gli appoggiò la pistola sul viso, sullo zigomo destro, e sparò il quinto colpo a bruciapelo. Francesco Abbinante fuggì dal lato del porticato. Dopo due ore circa vennero Giovanni Esposito e Dario De Felice presso l’abitazione di mio padre. Nel salone, Giovanni Esposito aprì uno champagne e festeggiammo». Un insulto lavato dunque col sangue.

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