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venerdì, Aprile 26, 2024
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La guerra tramite gli occhi di chi la vive. Le storie di Lesya, Ivan e Francesca: «Non bombardate i nostri ricordi»

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(di Alessandro Pirozzi e Alberto Raucci)

Lesya, Ivan e Francesca. Tre storie diverse, ma accomunate da un unico tragico destino: vittime, con le loro famiglie, dell’assurda guerra in Ucraina. Bombardamenti, sirene, spari, urla strazianti: è quello che sentiamo ogni giorno, quello che ci passa davanti agli occhi ogni ora in televisione lasciandoci impotenti e increduli. Scusateci la banalità di questa frase: nel 2022 la guerra è qualcosa di inaccettabile.

Invece succede. Il 24 febbraio, intorno alle 4 di notte, a Kiev suonano le sirene. Si sentono le prime esplosioni: sono i bombardamenti che si abbattono sulla città. Dal nostro canto possiamo soffrire e stare vicino a chi questa guerra la sta vivendo sulla propria pelle, ma non ci sentiamo di dire che possiamo capire quello che stanno provando. Quanto meno, però, ci abbiamo provato. Durante la prima settimana di guerra abbiamo deciso di non staccare gli occhi dagli smartphone e di parlare con chi potesse spiegarci, realmente, quello che accadeva. Abbiamo provato a capire come la guerra – anche da lontano – uccide ogni persona coinvolta emotivamente.

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Lesya, Ivan e Francesca – come altre milioni di persone – lo sanno bene perché anche se abitano da diverso tempo in Italia, non hanno mai abbandonato le loro origini ucraine. Lì, sotto i bombardamenti, hanno le loro famiglie, i loro parenti, i loro affetti.  E ce lo hanno spiegato. Chi con fermezza, chi lasciandosi trasportare dalle emozioni e coinvolgendoci in una realtà che non abbiamo mai sentito nostra. E adesso che proviamo a farlo, è troppo tardi. La sensazione di impotenza che abbiamo provato davanti alle parole di ognuno di loro, è stata tremenda. Da una parte la tentazione era quella di abbracciarli insieme a chi sta vivendo un vero e proprio incubo. Dall’altra è sopraggiunta però la volontà di stare a raccontare al mondo intero – se solo potessimo – quello che sta consumando tutti i sentimenti di Lesya, Ivan e Francesca.

Lesya, la giovane tornata dall’Ucraina due giorni prima dei bombardamenti

La sera del 3 marzo, mentre dall’altra parte del mondo era ancora in corso l’incontro per la tregua tra Russia e Ucraina, ci siamo recati in uno dei tanti punti di raccolta sparsi in giro per la Campania, precisamente in via della Stadera, nel quartiere Poggioreale a Napoli. Per chi non lo sapesse, si tratta di luoghi – arrangiati “alla meglio” – dove vengono stoccati cibo, medicinali, vestiti, coperte e tutto ciò che possa servire alle milioni di famiglie ucraine prigioniere della guerra. A donare sono ogni giorno centinaia di persone che, tramite una vera e propria catena di solidarietà, si adoperano per fare spesa di tutto il necessario e portarlo nel punto di raccolta a loro più vicino. Lì troveranno tanti volontari che organizzano e gestiscono le spedizioni.

Tra loro c’è anche Lesya Pinchuk, una ragazza ucraina che vive a Napoli (dove si è laureata all’Orientale) ma che, ci racconta, è tornata dal suo Paese solamente due giorni prima l’inizio dei bombardamenti, la notte di quel maledetto 24 febbraio. Lei, con l’aiuto di Masha e del marito, ma anche di altri connazionali ucraini, ogni giorno fa tutto quello che può per dare una mano al suo popolo. Vive al Vomero ma dalle prime luci del mattino fino a notte fonda lavora – sì, perché si tratta di un vero e proprio lavoro – nel centro di raccolta a Poggioreale, dove si trova uno scantinato adibito a magazzino. Qui arrivano e partono beni destinati a chi, purtroppo, ha visto la propria vita sgretolarsi sotto una pioggia di missili da un giorno all’altro.

Originaria di Borodyanka, una cittadina nella provincia di Kyev, a 40 km dalla capitale, Lesya ha visto bombardare le strade che fino a una settimana prima percorreva insieme alla sua famiglia. “Questo era il municipio”, “questa la posta”, “qui c’era il centro commerciale”, ci racconta con la voce rotta dall’emozione, mostrandoci quello che ai nostri occhi appare soltanto come un cumulo di macerie.

La sua famiglia, nel momento in cui scriviamo, fortunatamente sta bene. Dopo giorni passati nascosti nei sotterranei, sono riusciti a lasciare la città e a spostarsi in campagna. “Non li ho sentiti per due giorni – ci racconta Lesya – i cellulari si erano scaricati e lì non c’era elettricità”. Poi, dopo ore di angoscia, finalmente ha sentito il fratello: “Sono bastate due parole, ‘stiamo bene’, per farmi scoppiare in lacrime e togliermi un grosso peso dal petto. Ora la speranza è quella di riuscire a portarli in salvo fuori dall’Ucraina, magari qui in Italia da me”.

I primi giorni dopo l’invasione russa nel suo Paese sono stati i peggiori: “Non ho dormito per diverse notti, stavo sempre con il cellulare in carica nell’attesa di avere notizie dai miei cari” – spiega -. “Era incredibile pensare che quelle strade percorse fino a poche ore prima, ora fossero lo sfondo della guerra”.

Ivan, le parole durante la fiaccolata dedicata alle vittime della guerra

Con Ivan l’incontro è stato organizzato in occasione di un evento speciale. Ad Aversa, difatti, si è tenuta lo scorso 2 marzo una fiaccolata in piazza Municipio. A partecipare centinaia di ucraini, riuniti per gridare all’unisono “No alla guerra!“. Insieme per pregare che i loro parenti e familiari ne uscissero almeno vivi, perché i loro destini sembravano sempre più segnati. Tragicamente.

Ivan segue attento e, una volta terminata la fiaccolata, si dedica ai nostri microfoni. “Lì ho i miei parenti, la mia matrigna e le mie sorelline di 12 e 18 anni. Da subito ho avuto una grande preoccupazione. Loro sono uscite e hanno tentato di raggiungere la Polonia per tentare di varcare il confine e trovare la fuga”.

“Vedere colpito il mio Paese è stato qualcosa devastante. Ho chiamato i miei familiari ogni due ore, mi tenevo aggiornato sui social ogni secondo. La cosa che mi ha sorpreso di più e stata la grande solidarietà tra il popolo ucraino. Abbiamo cercato sempre di dare aiuto e, anche i miei, hanno sempre invitato tutti i nostri cittadini a raggiungere la loro città, più al sicuro rispetto ad altri posti”.

Da Aversa il racconto di Francesca: “Grazie ai social aiutiamo i nostri parenti in Ucraina”

In via Francesco d’Assisi ad Aversa, nel pressi di via Seggio, è possibile trovare un negozio di prodotti ucraini gestito dalla mamma di Francesca, una donna originaria del Paese martoriato dalla guerra. Insieme alla figlia, ha deciso di sopperire alle urgenti necessità di tanti connazionali, trasformando il deposito del suo negozio in un punto di raccolta. Da qui, appena possibile, partono furgoni e camion pieni di medicinali, cibo e indumenti da spedire.

“Ho visto persone sui social che pubblicavano appelli dove si invitavano le persone a donare beni essenziali da mandare in Ucraina. Il primo giorno abbiamo condiviso post su Instagram e Facebook, riscontrando una grande risposta soprattutto dal pubblico giovanile. Non ci aspettavamo che tanti ragazzi si sentissero toccati da quello che sta accadendo, eppure ne sono passati tanti”.

In questo servizio abbiamo voluto raccontare le testimonianze di chi la guerra non la vede soltanto in tv o dietro lo schermo di uno smartphone, ma la vive ogni giorno sulla propria pelle. Di chi vive con la paura che un “ciao mamma” possa presto diventare un addio.

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