“Il giro vecchio non c’è più”. Dopo il sequestro della fabbrica di sigarette Vincenzo Di Lauro aveva capito che bisognava trovare nuove fonti di guadagno e per questo ideò un nuovo business: la gestione di diverse società operanti quali cartiere per l’emissione di fatture inesistenti e per la frode dell’IVA. Per fare questo business, come raccontano i magistrati, si servì di un imprenditore ritenuto intraneo al clan Di Lauro, ovvero Angelo Milone (indagato nell’inchiesta).
Per una società in particolare, la “MINA FASHION” gestita da MILONE Angelo, è lo stesso CASTELLI a sottolineare nel corso di una conversazione avuta con Nocera Gennaro come sia occultamente riconducibile a Di Lauro Vincenzo e lo afferma con certezza poichè è stato lui stesso a crearla per il capo clan, nella consapevolezza della fittizia intestazione dell’attività commerciale. “aAllora ti voglio spiegare il problema dove sta: è vero che MINA FASHION … Enzo la gestisce. e tu lo sai, te lo dico io perchè l’ho fatta io … “. Viene ricostruito, nella minuziosa attività investigativa, il ruolo centrale assunto dal MILONE in diverse attività economico-finanziarie (in cui si avvale della preziosa consulenza dei soliti CASTELLI e GRANATA. Di solito negli uffici della Futuro srl) tra cui: un’operazione di leasing da accendere tramite la società riconducibile al clan “DI LAURO”, la “MINA FASHION”, per l’acquisto di un capannone a Secondigliano che Nocera ha preso, verosimilmente tramite asta giudiziaria, ad un prezzo nettamente inferiore al suo valore iniziale, realizzando una notevole plusvalenza che poi ripartiranno.
Il provvedimento interviene evidentemente in una fase preliminare ed è sottoposto a mezzi di impugnazione, mediante i quali è garantito il diritto al contraddittorio delle persone sottoposte alle indagini.
I destinatari delle misure cautelari non devono essere considerati colpevoli dei fatti in contestazione fino alla pronuncia di una sentenza definitiva.