24.4 C
Napoli
martedì, Aprile 30, 2024
PUBBLICITÀ

Chi è Pierdonato Zito, il detenuto di Secondigliano laureato con 110 e lode: “Lo studio ha evitato che impazzissi in carcere”

PUBBLICITÀ

Si è laureato il primo studente del Polo Universitario Penitenziario della Federico II. È stato proclamato dottore in Scienze Sociali con 110 e lode, il massimo dei voti, discutendo la tesi dal titolo “Lo studio negli istituti penitenziari: il valore educativo tra formazione, resipiscenza e recidiva. Education and imprisonment”, seguita dal professore Roberto Serpieri.

Come riporta il Corriere del Mezzogiorno, che lo ha intervistato, lo studente detenuto è Pierdonato Zito. Ha 63 anni, 30 li ha passati in carcere, 8 al 41-bis. Alle spalle ha una vita complessa e una carriera criminale pesante. La sua è una storia difficile che è diventata un esempio di risocializzazione, di chi paga i suoi errori provando a restare umano.  E’ volontario al Comune di Succivo, in esecuzione penale esterna, in regime di semilibertà.

PUBBLICITÀ

Lo studente, dopo aver conseguito il Diploma di scuola superiore nella Casa circondariale ‘Pasquale Mandato’ di Secondigliano, dove è attivo il Polo Universitario Penitenziario federiciano, si è iscritto al Corso di Laurea triennale in Sociologia portando a termine brillantemente e nei tempi il suo percorso formativo. Da alcuni mesi ha ottenuto la semilibertà, così ha potuto concludere il suo percorso sostenendo gli esami e discutendo la tesi nelle aule del Dipartimento di Scienze Sociali.

La prima laurea di uno studente del PUP è un risultato di estremo valore e significato, per il neo dottore ma anche per l’Ateneo e per l’Amministrazione Penitenziaria della Campania. Conferma l’importanza dell’attività intrapresa con grande impegno da tutti i docenti che insegnano al Polo Penitenziario, dai tutor, dalla polizia penitenziaria, dagli operatori, ma principalmente dagli studenti detenuti che si dedicano allo studio per il proprio futuro, per dare senso al tempo della detenzione e per guardare alla libertà con occhi e competenze nuove e diverse.

Il PUP Federico II, coordinato dalla delegata del rettore Marella Santangelo, è il primo polo universitario penitenziario del Meridione d’Italia, conta il più alto numero di iscritti e di corsi erogati e ha attivato il primo tirocinio interno all’istituto.

Nato da un progetto di collaborazione tra l’Università degli Studi di Napoli Federico II e il Provveditorato dell’Amministrazione Penitenziaria della Campaniaha sede nel Centro Penitenziario di Secondigliano, in cui sono state destinate agli studenti detenuti due sezionila sezione Ionio per i detenuti in regime di alta sicurezza e la Mediterraneo per quelli di media sicurezza. All’interno delle sezioni gli studenti hanno un regime diverso, hanno le celle aperte tutto il giorno, spazi per lo studio, per le lezioni, per l’incontro con professori e tutor.

Sono 8 i Dipartimenti federiciani coinvolti, più di 100 a semestre i docenti che vi insegnano e 19 i tutor tra studenti e dottorandi impegnati nel progetto.

Le parole al Corriere del Mezzogiorno

«Se stai otto anni in isolamento ti svesti da ogni ruolo, non sei più genitore, marito o figlio. Il riflesso delle pareti nei miei occhi era l’unica cosa che avevo. La piccola finestra a soffitto non bastava per vedere il cielo, per respirare l’aria, per ascoltare i rumori e sentire gli odori del mondo. In quegli anni ho visto sicari sanguinari, criminali notissimi e personaggi di spicco della criminalità organizzata suicidarsi o impazzire. Era limitata anche la lettura, mi spettavano tre libri: uno religioso, il codice penale e uno a scelta da riconsegnare appena finito. Chi sta in carcere usa sempre le metafore e io penso alla mia la detenzione come al deserto dove la mia oasi era la lettura e mi veniva negata».

Ci racconti dell’esperienza del 41-bis.

«Se stai otto anni in isolamento ti svesti da ogni ruolo, non sei più genitore, marito o figlio. Il riflesso delle pareti nei miei occhi era l’unica cosa che avevo. La piccola finestra a soffitto non bastava per vedere il cielo, per respirare l’aria, per ascoltare i rumori e sentire gli odori del mondo. In quegli anni ho visto sicari sanguinari, criminali notissimi e personaggi di spicco della criminalità organizzata suicidarsi o impazzire. Era limitata anche la lettura, mi spettavano tre libri: uno religioso, il codice penale e uno a scelta da riconsegnare appena finito. Chi sta in carcere usa sempre le metafore e io penso alla mia la detenzione come al deserto dove la mia oasi era la lettura e mi veniva negata».

Come ha iniziato a studiare?

«Ho girato tanti istituti penitenziari, poi sono tornato al carcere di Secondigliano dove ero entrato per la prima volta nel 1995. Qui ho incontrato il professor Antonio Belardo. La nostra è la storia di due umanità che si incrociano in carcere e cambiano il corso degli eventi. La direttrice ci ha dato l’opportunità di utilizzare una cella e noi abbiamo trasformato uno spazio detentivo in uno spazio formativo. Poi sono maturati i tempi di un permesso e Belardo mi ha invitato a casa sua. Ora in questa casa ci vivo».

E l’università?

«Avevano aperto il Pup (Polo universitario penitenziari, ndr) della Federico II e lì mi hanno fornito gli strumenti per essere un cittadino. Non capita spesso, ma io in carcere ho ricevuto le coordinate per comprendere la società. Poi ho avuto la fortuna di incontrare un magistrato, la dottoressa Di Giglio, che mi ha creduto e ha investito su di me concedendomi i benefici».

E così è arrivata la sua laurea in Scienze Sociali, con 110 e lode. Di cosa si è occupato nella sua tesi?

«Attraverso il metodo dell’auto-etnografia, ho ripensato alla mia esperienza detentiva chiedendomi: lo studio, in ambito penitenziario, può incidere sui processi decisionali degli individui? La mia storia è diventata materia di analisi sociologica. La sociologia mi ha aiutato a capire le mie azioni, facendomi studiare la criminalità come fenomeno sociale e quindi io non ho fatto altro che analizzare me stesso e il mio passato. Questa tesi la devo a tante persone, ma in primis ai volontari che mi hanno fatto restare umano in carcere. Senza di loro mi sarei inaridito, come tanti altri avrei serbato rancore nei confronti della società. Ero senza strumenti e lo studio me li ha forniti».

Cosa consiglia ai giovani?

«La prima volta che sono uscito dal carcere, sono stato ospitato in un liceo per raccontare a 120 ragazzi la mia esperienza. Questo ha un valore preventivo enorme. Se a 17 anni avessi avuto l’occasione di parlare con un ergastolano, non avrei mai commesso alcuni errori. Sono originario di Montescaglioso, in provincia di Matera, e lì un’associazione culturale pubblicherà la mia tesi per divulgarla ai giovani. Sono orgoglioso che, in un luogo dove il mio nome è legato a fatti tutt’altro che piacevoli, le mie parole oggi possano aiutare i ragazzi».

Cosa si sente di dire invece alla società?

«Sono entrato in carcere a 35 anni e ne sono parzialmente uscito a 62 grazie allo studio. Per vivere rinchiuso senza impazzire ho inventato la vita mentre la vita passava, ho lottato per non diventare buio nel buio, fango nel fango, ho studiato. L’università trasforma la detenzione in un percorso di crescita e questo significa applicare la Costituzione che prevede la rieducazione. Il carcere non può essere infantilizzante ma deve essere responsabilizzante, perché se vieni trattato come uno sciocco scolaretto e non valorizzato resti bloccato nello stesso circuito per anni, per sempre».

 

 

PUBBLICITÀ

RESTA AGGIORNATO, VISITA IL NOSTRO SITO INTERNAPOLI.IT O SEGUICI SULLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK.

PUBBLICITÀ

Ultime Notizie

Corso di Laurea in Diegologia: all’università si studierà Maradona

Per ricordare un indimenticabile come Diego Armando Maradona si pensava di aver visto tutto ed invece dall'Argentina è arrivata...

Nella stessa categoria