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martedì, Maggio 21, 2024
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QUALIANO E LA SUA STORIA

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Il Comune di Qualiano, con una popolazione superiore ai 30.000 abitanti, si estende fra il territori di Giugliano, Villaricca, Calvizzano, Marano e Quarto. Percorrendo la via Campana (una delle due strade provinciali che attraversano il centro urbano), provenendo da Pozzuoli, usciti da Quarto, ci troveremo alle porte di Qualiano, all’altezza del ponte Suriente.
Già dopo aver percorso soltanto pochi metri, è possibile ammirare le poderose strutture del ponte. Qui noteremo che l’ultima delle tre campate, verso sinistra (quella, per intenderci, più vicina all’abitato di Qualiano), è realizzata interamente in tufo, con una cornice di grossi blocchi di piperno e con un rivestimento esterno di mattoni rossi, mentre le altre due campate sono realizzate anch’esse in tufo, ma sono rivestite da un intonaco, la cui decorazione simula quel piperno e quei mattoni che però ritroviamo al ‘naturale’ nell’estremità destra dell’ultima campata (verso l’imboccatura della via Ripuaria). Ciò si spiega con il fatto che, il 3 ottobre 1943, i tedeschi in ritirata, nell’intento d’interrompere i collegamenti con Pozzuoli, fecero saltare una parte del ponte, che fu subito ricostruita, ma con l’impiego di quei materiali meno costosi, che le ristrettezze della guerra consentivano.
Scavalcando il ponte notiamo accanto ad esso, sul lato sinistro, la lapide in marmo incorniciata da un blocco di granito, che ci ricorda la sua apertura, nel 1850, per volontà del re Ferdinando II di Borbone, il quale intese agevolare le attività commerciali dei qualianesi, facilitando il raggiungimento del porto di Pozzuoli.
Dopo un breve tratto a piedi arriviamo in località S. Pietro ad Aram, che fu possedimento, fin dall’epoca angioina, dell’omonimo monastero napoletano. Qui esistono ancora i resti dell’antica masseria e, in particolare accanto alla casa colonica, c’è tuttora un mucchietto di pietra residuato da una muratura romana, in piccola parte inglobata pure nel fabbricato, mentre una vasta cisterna di circa mq. 100, rinvenuta verso il 1936, è stata interrata. Discendiamo, ora, per via Cavour e poi a sinistra per via Mons. Savarese, all’altezza di via Camaldoli, sul lato sinistro, troviamo il maestoso palazzo dei conti Sifola, realizzato nel 1600 (come attestava la data incisa su una pietra di tufo, che è stata rimossa), sulla cui facciata sono visibili, tuttora, i timpani di stucco che ne ornano le finestre. Sul lato destro, viceversa, appena più avanti, sorge il cosiddetto ‘palazzo di Santa Chiara’, che ricorda l’epoca in cui dal 1340 fino a circa due secoli fa l’omonimo monastero napoletano ebbe in feudo il casale di Qualiano.
Inoltriamoci, adesso, per via Camaldoli, la ‘Via Ranna” (cioè via grande) di un tempo, e raggiungiamo la piazza D’Annunzio detta, una volta, ‘sott’a tréglia”, per via di un tiglio che vi spandeva la sua ombra. In essa, che era il cuore della vecchia Qualiano, ritroviamo la chiesa parrocchiale di S. Stefano, sorta verso la metà del ‘600, ma il cui complessivo assetto attuale risale, all’incirca, agli ultimi anni dei secolo scorso. La sua facciata mostra una struttura a tre navate, delle quali la centrale più alta, sovrastata da un timpano con rosone e scandita da lesene con capitelli corinzi, nella quale si aprono una bifora e due nicchie circolari. I tre portali sono sovrastati da mensole con testa d’Angelo in stucco di fattura rustica. All’interno della chiesa, sulle due porte laterali, vi sono due dipinti secenteschi, raffiguranti, rispettivamente, le Anime del Purgatorio e la Madonna con santi. Nella navata destra troviamo due altari: quello di S. Antonio Abate, e quello dell’Addolorata, offerto dal popolo nel 1921. In fondo alla navata stessa vi è l’altare del patrono S. Stefano, in marmi intarsiati, eretto, nel 1813. L’altare maggiore, dedicato al Crocifisso, è anch’esso in marmi intarsiati, come quello che è in capo alla navata sinistra, e che, intitolato alla Madonna delle Grazie, fu fatto realizzare, nel 1740. I due altari della navata sinistra, anch’essi in marmi intarsiati, sono dedicati, rispettivamente, al Cuore di Gesù (1921) e a S. Rocco (1866). Il fonte battesimale, che è posto all’inizio della navata, è costituito da una vasca marmorea, quasi semisferica, di fattura romana, poggiata su una colonnina, pure di marmo, di forma composita, ornata da festoni. Nella sagrestia sono conservati, fra l’altro, un dipinto seicentesco, raffigurante la Madonna del Carmine con santi, e una lastra sepolcrale di marmo, datata 1791, asportata dalla navata centrale, in occasione dei rifacimento del pavimento.
Usciti dalla chiesa, percorriamo la via Roma, che le si apre di fronte, e svoltiamo a destra, riprendendo la via Campana. Superiamo la rotonda di piazza Kennedy, attraversando l’incrocio con l’altra strada provinciale, quella di S. Maria a Cubito, la più lunga d’Italia, detta così perchè Carlo II d’Angiò, nell’apprendere la notizia della canonizzazione di suo zio Luigi IX, vi si prostrò (“cubavit se’). Proseguendo, quindi, in direzione di Giugliano, entriamo nel viale a destra, che immette nell’istituto delle Discepole di S. Teresa di Gesù Bambino, fondato, nel 1932.
Ritorniamo sulla strada e rechiamoci sull’antica via Consolaro Campana (dei cui fasti trascorsi, purtroppo, poco o nulla resta), percorrendola quasi completamente, ed arrestandoci poco prima dell’incrocio con la Circumvallazione esterna di Napoli, incontreremo, sul lato sinistro, la Masseria del Principe, la cui denominazione sembrerebbe derivare da Antonio Pasquale di Borbone, fratello di Ferdinando II, che ne sarebbe stato proprietario, dalla caratteristica forma a ‘7’ e dall’altrettanto caratteristica zoccolatura di bugnato che riveste la parte inferiore della facciata.

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