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sabato, Giugno 15, 2024
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Marano, Tragico gioco con polvere da sparo: muore a 17 anni

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MARANO – Arrivano di corsa, il cuore in gola, il volto segnato da una angoscia profonda. Assunta e Rosa, due mamme, due destini diversi. Un attimo, qualche parola, poi per Assunta il mondo crolla: suo figlio, il suo Pasqualino, è là, dietro quel cordone di uomini in divisa, poliziotti e carabinieri. Il corpo del suo bambino è là, per terra, in quel maledetto rudere disabitato, dilaniato dall’esplosione. Il figlio di Rosa, invece, è vivo per miracolo: ha le mani, le braccia e le gambe bruciate, ma è vivo, miracolosamente vivo. Insieme i due ragazzi, Pasquale Caianiello e Michele D.P., diciassette anni uno, sedici l’altro, avevano architettato un gioco, una bravata da adolescenti con troppo tempo da far passare, con la voglia di dimostrare quanto è facile essere i più grandi, i più bravi. Insieme avevano raccattato un bel mucchio di polvere pirica, nel cantiere di via Paratine a Quarto, racconta Michele, tra gli avanzi di qualche festa o di qualche processione o in qualche fabbrica di fuochi d’artificio, ritengono gli investigatori. E insieme, con altri due amici che sono rimasti solo lievemente feriti, la stavano maneggiando per farne chissà quale assurdo e rudimentale ordigno, o forse per nasconderla. Di certo la perizia e l’esperienza dei grandi non ce l’hanno: una spinta più forte, un mozzicone di sigaretta e la polvere fa un botto da far crollare due solai, da fare un buco largo un metro, da far sbattere il corpo di Pasqualino contro le mura, da ridurlo in pezzi. Michele, più fortunato, è sbalzato fuori dall’edificio abbandonato e perciò se la cava con delle bruciature. Il boato è terribile, dalle case intorno lo sentono, accorre tanta gente, avvertono polizia, carabinieri, ambulanze
Quando Rosa arriva in via Paratine, avvertita dagli agenti, davanti al rustico dell’edificio abusivo sequestrato e lasciato a marcire, c’è un mucchio di gente. Ma Michele è già sull’ambulanza. Rosa lo vede e il cuore le si allarga. Suo figlio è vivo, ferito ma vivo. Tutto il resto non ha nessuna importanza. In ospedale, al Santa Maria delle Grazie dove il ragazzo viene portato, racconta: «Che cosa è successo non lo so. Michele è stordito: dal rumore, dalla paura. È sotto choc. Mio figlio è un bravo ragazzo. Certo con la scuola non è mai andato d’accordo. Alle superiori è stato subito bocciato, e poi non è più tornato in classe . Dopo pranzo era uscito come sempre con gli amici. Che cosa sia successo dopo non lo so. Me lo racconterà lui appena starà meglio. La nostra è una famiglia tranquilla, normale. Io sono casalinga, mio marito lavora come muratore. Abbiamo tre figli, due maschi e una femmina, la più piccola. Cerchiamo di crescerli tutti al meglio». Michele si agita nel letto, non risponde nemmeno alle domande della mamma, è sconvolto. Dimenticare, per lui non sarà facile. Ma la vita prima o poi riprenderà, ci saranno ancora gli amici, e poi le ragazze, le feste, il lavoro.
Il figlio di Assunta, invece, non saprà mai che cosa vuol dire crescere, diventare davvero grandi, uscire con la fidanzata, magari insieme al fratello Tobia. Gli agenti cercano di allontanare la mamma. La donna grida, piange disperata. Inutili tutti i tentativi di consolarla. Pasquale era andato a pranzo dalla nonna che abita a pochi metri da dove è scoppiata la bomba improvvisata, poi era uscito per andare con gli amici. Un gioco assurdo lo ha ucciso. E Assunta ripete come un automa: «Mio figlio era un bravo ragazzo, non ha fatto nulla, nulla di male. Non è giusto che sia morto così». Sì, non è giusto morire così, non è mai giusto morire a diciassette anni.



DANIELA DE CRESCENZO


L’urlo della madre: «Lino, figlio mio cosa ti hanno fatto»



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«Figlio mio, figlio mio, che cosa ti hanno fatto?», somiglia a quello della Madonna il grido di dolore di Assunta, mamma di Pasquale Caianiello, ucciso ieri pomeriggio nell’esplosione di una bomba carta che tentava di costruire insieme ad altri suoi amici. Nella sua casa di via Corso Italia, al civico 114, la donna è sotto choc, sconvolta dalla tragedia. Non riesce a star ferma un attimo, si siede sul divano, poi si alza e percorre il corridoio a passi veloci. La sua mente rifiuta di accettare che il suo ragazzo è morto. Attorno a lei ci sono parenti, amici, conoscenti e curiosi, sono tanti e tutti tentano di darle conforto. «Lino mio, Lino mio è morto. Non è possibile, che cosa gli hanno fatto, chi è stato?», la donna non ha pace, urla con la rabbia di chi non comprende la morte. «Perché Dio me lo ha portato via? Spiegatemi, ditemi dov’è?» grida a chiunque tenti di abbracciarla.
Suo marito Mario le ha spiegato tutto, ma Assunta non ha ancora compreso cosa veramente sia successo e forse non se ne cura, pensa solo al corpo straziato di suo figlio in quel palazzo in costruzione alla periferia della città, dove il suo ragazzo si rifugiava con gli amici nel tempo libero. Mario Caianiello, il papà di Pasquale, è uscito di casa subito dopo l’incidente. Ad avvisarlo è stata la polizia: «Venite subito, è accaduto qualcosa al vostro ragazzo…». L’uomo è corso in via Paratine, in periferia, in quella palazzina in costruzione che altro non è che uno scheletro di cemento.
Lui, il padre, di parole non ne ha e nemmeno lacrime, cerca di farsi coraggio, ma il viso si contrae in una smorfia di dolore a ogni domanda della gente o dei cronisti. All’arrivo del magistrato gli è toccato riconoscere il figlio morto, e lì, davanti a quel giovane corpo dilaniato ha avuto un attimo di cedimento. Mario è un muratore, la sua è una famiglia semplice. Portava spesso suo figlio con sé sui cantieri edili dove lavorava, soprattutto da quando Pasquale aveva deciso di non andare più a scuola. Sognava che diventasse un ragazzo forte e onesto. Come lui.
«Era buono Lino. Sì certo, era anche molto vivace, ma incapace di fare del male. Quella casa in costruzione in via Paratine era da tempo il rifugio del suo gruppetto di amici. Noi lo sapevamo che andavano sempre lì – racconta Agnese Di Criscio, 18 anni, amica del giovane – volevano fare una ragazzata e non si sono resi conto del pericolo che correvano. È terribile quello che è accaduto». In città la gente è sconvolta. «Ho sentito un botto forte e poi ho visto il fumo. Ho creduto fosse una bomba, di quelle che si usano negli attentati», dice Teresa Gentile, residente a Quarto in via Casalanno.
In casa di Pasquale arrivano, ora dopo ora, tutti i suoi amici, hanno gli occhi lucidi e i fazzoletti tra le mani. Entra urlando anche la sorella più piccola: «Lino dov’è? Mamma dimmi che non è vero». Una donna l’abbraccia e l’allontana dalla gente, prova a spiegarle che cosa è accaduto, la ragazzina urla: «Voglio vederlo…». Ma Pasquale non tornerà più a casa, non entrerà più nella sua stanza da adolescente con appesi alle pareti i poster dei calciatori preferiti.



ANDREA ILLIANO




IL MATTINO – edizione nazionale 23 aprile 2003 – pag. 39

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