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domenica, Giugno 16, 2024
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Il business del rifiuto. Anche il “Manifesto” sull’affaire immondizia a Nord di Napoli

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Tonnellate di immondizia al veleno partono dal nord dirette in Campania. Qui ne approfitta la camorra, che ha escogitato un modo nuovo per fare soldi


di MARIELLA PARMENDOLA




Quando si dice che nelle strade della periferia degradata tra Napoli e Caserta si può trovare di tutto, si intende proprio tutto. Comprese montagne di banconote. Migliaia di euro e lire tagliati a pezzettini e ridotti a cubetti avevano colorato di verde e giallo artificiale il terreno tra Pinetamare e Castelvolturno, sul litorale domizio in provincia di Caserta. Banconote, partite dalla Zecca di Stato e trattate con reagenti chimici per impedire che la carta potesse essere riutilizzata per stampare soldi falsi su pergamena originale, ritrovate dalle forze dell’ordine insieme ai tanti reperti capaci di dimostrare come il giro d’affari legato alle ecomafie sia ancora fiorente in questa regione e altrettanto inquinante. Tant’è che Legambiente dedica una parte significativa del suo dossier 2003 a come la camorra stia approfittando della trasformazione del ciclo dei rifiuti per trarne guadagni illeciti e continui ad avvelenare un territorio già fortemente compromesso, al punto da diventare l’ambiente ideale del primo capitolo sull’emergenza diossina in Italia. Ma l’associazione ambientalista non ha neppure fatto in tempo a terminare la presentazione del dossier, avvenuta la scorsa settimana, che il quadro delineato si arricchisce di altri episodi. Giovedì scorso il corpo forestale ha sequestrato tre discariche abusive per un’area complessiva di 40 mila metri quadri nella zona del casertano, la stessa dove è stato necessario mettere sotto monitoraggio le aziende bovine per la diossina. E si può immaginare che effetto debbano produrre sul terreno le scorie d’altoforno, i fanghi e i materiali fibrosi scoperti proprio lì, nascosti senza troppa attenzione. Rifiuti tossici di origine industriale che sarebbero partiti dal nord est come stanno accertando le indagini condotte dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere, che ha arricchito un capitolo già aperto su traffici illeciti in arrivo dal settentrione con gli interrogatori dei conducenti di un autocarro e degli autotreni fermati mentre sversavano il materiale pericoloso. Un traffico che Legambiente ricostruisce fedelmente nel suo dossier, riferendo di due inchieste aperte non più di un mese fa dalle Procure di Napoli e Santa Maria Capua Vetere sui veleni delle aziende di Milano, Pisa e Pavia smaltiti illegalmente in Campania.

Se nelle cave dell’hinterland napoletano arrivano rifiuti che sulla carta dovrebbero essere calcinacci importati dal Veneto e in realtà si tratta di vernici altamente tossiche il miracolo è spiegabile attraverso un giro di bolle e false fatture, ma il risultato è l’inquinamento di zone fortemente segnate dal degrado urbano. Un affare per le industrie del nord che inviano in Campania immondizia al veleno, il cui smaltimento costerebbe salato se non fosse mascherato sotto forma di trattamento di rifiuti inerti al costo di 25-30 centesimi al chilo. Un affare per la camorra del sud che ha scoperto come sia possibile aprire impianti di trattamento per questo tipo particolarmente redditizio di immondizia con una semplice comunicazione di inizio attività. E’ per questo che il Presidente della Regione Antonio Bassolino ha firmato un’ordinanza nella quale obbliga le cinque province della Campania a vigilare con maggiore attenzione e a fare una mappa di tutti gli impianti. Una riconversione di attività per i clan che prima della rivoluzione nel ciclo dei rifiuti si occupavano delle discariche e che oggi cercano di infiltrarsi anche nella bonifica dei siti inquinati e fanno soldi bruciando per le strade i rifiuti che da contratto dovrebbero trattare per conto di aziende e privati. In una giornata può capitare che in una discarica, oggi ufficialmente inattiva, siano sversati decine di fusti di piccolo taglio per poi finire in fiamme. Sono questi falò appiccati con preoccupante frequenza a sprigionare forti quantità di diossina che si infiltrano nel terreno seminando veleno. «Questi incendi inquinano la Campania e sono un vero pericolo, non il termodistruttore che vogliamo realizzare ad Acerra», spiega il sub commissario per le emergenza rifiuti Giulio Facchi dalle cui denunce sono partite le inchieste di Napoli e Santa Maria Capua Vetere sui traffici illegali. «Ma è proprio perché qui abbiamo già subito forti danni ambientali che non vogliamo l’inceneritore», replicano cittadini e istituzioni del Comitato contro il termovalorizzatore di Acerra. Un braccio di ferro che sta producento la crisi del sistema sul ciclo dei rifiuti preparato nei giorni dell’emergenza di due anni fa. Senza il termodistruttore che produce energia dai rifiuti trasformati in balle nei Cdr (sigla per indicare combustibile derivato dai rifiuti) il sistema va in tilt. E la protesta di Acerra si sta allargando. Da giorni è iniziata la mobilitazione a Caivano, la città che ospita un Cdr ed è preoccupata di dovere incamerare tutta la spazzatura che gli altri non vogliono. E venerdì scorso sette sindaci dell’area a Nord di Napoli hanno firmato un’ordinanza per impedire il transito nel loro territorio degli autocompattatori dei comuni campani diretti agli impianti di Caivano e Giugliano per «la grave situazione igienico-sanitaria». In Campania è di nuovo emergenza rifiuti.


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IL MANIFESTO 23 APRILE 2003

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