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La madre di Valentina Terraciano: mia figlia uccisa due volte

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VOLLA – Non c´è rassegnazione, per la mamma di Valentina. Il suo commento è amaro. «La mia bambina – dice Maria Civita Terracciano – è morta due volte. Le assoluzioni per l’omicidio di mia figlia mi lasciano sgomenta, sbigottita. Ma come faccio a credere in una giustizia che sembra accanirsi soltanto contro mio marito?».
Circondata dalle foto di Valentina, nel suo appartamento di Ponticelli, la mamma costretta a rinunciare all’affetto più caro per la bestialità della camorra. «Ci siamo trovati coinvolti in una guerra tra clan senza averne mai saputo neppure il perché», osserva. E aggiunge: «Perdono? Non so se riuscirò mai a sentire questo sentimento per chi mi ha portato via Valentina. E in un modo così atroce, poi. Sono convinta che ogni madre costretta a subire quello che ho subito io diventi più cinica».
Maria Civita trova conforto nel culto evangelico. Come un´altra mamma straziata, quella di Angela Celentano. «A lei però – commenta – resta almeno la speranza di poter un giorno riabbracciare la figlia. A me no». A lenire il suo dolore e quello del marito Raffaele Terracciano, detenuto nel carcere di Scampìa per vicende di droga, c´è Davide, poco meno di due anni, venuto al mondo dopo la tragedia di Valentina. «Ma non può bastare a rendere meno intenso il nostro dolore». Si commuove, Maria. È così ogni volta che le si riapre una ferita che neppure il tempo potrà mai cicatrizzare. «Parlare di mia figlia – dice mentre le lacrime le rigano il viso – significa riacutizzare un dolore immenso. Da quel 12 novembre la mia vita è cambiata in maniera radicale. E il mio dolore aumenta di giorno in giorno».
Sfiduciata, mamma Maria. Non soltanto per una giustizia in cui non si può riconoscere. Ma anche per la società in cui vive. «Veder ucciso un figlio – è la sua amara denuncia – può capitare a chiunque. Basta un proiettile vagante per essere costrette a rinunciare agli affetti più profondi. Noi eravamo in un negozio, un posto pubblico. Ci hanno sparato addosso con lucida, spietata ferocia. Ora ho paura per mio figlio Davide. Non posso immaginare di perdere anche lui». Un senso di impotenza condiviso con il marito. Ieri, a Scampìa, l´ultimo incontro. «Certo che abbiamo parlato delle assoluzioni decretate dal tribunale – dice – e anche Raffaele è sconvolto, amareggiato. Delusione e rabbia in lui si fondono. Perché la magistratura continua ad accanirsi contro di lui, mentre chi ha ucciso Valentina è stato assolto perché i magistrati hanno stabilito che non vi fossero prove sufficienti? Spero di sbagliare, ma sono persino costretta a pensare che certa parte della magistratura si sia accanita contro la mia famiglia. I giudici non hanno ritenuto sufficienti prove e indizi a carico di assassini, ma mio marito resta in carcere. Eppure, lui non ha mai ucciso nessuno. E il mio avvocato continua a ripetere che gli indizi del suo coinvolgimento in una vicenda di spaccio di droga rimangono labili».
Al pentimento dei collaboratori di giustizia, Maria davvero non crede. «Devono pentirsi innanzitutto dinanzi a Dio – commenta – e non so davvero come possano continuare a vivere dopo aver spezzato l’esistenza di una creatura. È un’ingiustizia che possano tornare liberi. Eppure, mentre la mia Valentina è morta, chi ha iniziato la collaborazione con la giustizia ora è protetto e vive in una località segreta. I mandanti sono stati assolti. Chi versa sangue innocente deve essere punito con il massimo della pena. Chi paga per la fine atroce di mia figlia?».





ROBERTO GIANFREDA – IL MATTINO 30 MAGGIO 2003

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