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Dal covo il boss faceva campagna elettorale

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articoli del «MATTINO» del 18 maggio 2001



Dal covo il boss faceva campagna elettorale




Il mandante del delitto di Giancarlo stanato a due passi dal Comune. Malori e urla: la folla ha cercato di ostacolare il blitz



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MARANO – Gli hanno guardato la mano destra e hanno capito di aver fatto centro: l’anulare spezzato, ricordo di una sparatoria di diciassette anni fa, ha confermato che l’uomo nascosto sotto l’abbaino era Angelo Nuvoletta, l’ultimo padrino della famiglia camorrista di Cosa nostra, latitante dal 1994 ma volontariamente irreperile sin dal 1984. Mentre quaranta uomini della Dia controllavano ingressi e uscite del condominio di edilizia popolare costruito nella zona dei Carrisi, a un tiro di schioppo dal Municipio di Marano, il boss si è fatto ammanettare in silenzio, come solo i mafiosi sanno fare. Più tardi si è fatto scappare una battuta al vetriolo: «Io non mi pentirò mai. I pentiti dicono solo bugie, sono la causa delle nostre disgrazie». La cattura, avvenuta dopo due anni di indagini coordinate dai pm della procura Giuseppe Borrelli e Luigi De Magistris, apre ora scenari investigativi di estrema rilevanza: la caccia alla rete di complicità intrecciata dalla famiglia Nuvoletta sul territorio della periferia settentrionale di Napoli è appena iniziata. Nel covo, un appartamento spoglio di proprietà di un pasticciere incensurato, Francesco Verde, arrestato per favoreggiamento assieme al presunto vivandiere del capoclan, Alfredo Sepe, gli investigatori hanno trovato tracce ritenute in grado di proiettare per la prima volta fasci di luce profondi sul potere della cosca mafiosa di Napoli. In casa, Angelo Nuvoletta custodiva decine di block notes e fogli di carta, sui quali verosimilmente appuntava le indicazioni per affiliati e fiancheggiatori. Dalle indagini, ma la procura non ha commentato l’indiscrezione, sarebbero emerse inoltre indicazioni su possibili interventi dell’organizzazione nelle competizioni elettorali. Su tutto il materiale sequestrato a seguito del blitz saranno effettuati accertamenti per valutare gli indizi e verificarne la consistenza.
«Questo arresto – ha commentato il pm Borrelli – testimonia la validità della strategia della procura di Napoli, che ha messo la cattura dei latitanti al primo posto fra le attività d’inchiesta su clan temibili come quello capeggiato da Angelo Nuvoletta».
La Dia era al lavoro per scovare il latitante da circa due anni, durante i quali ha cambiato almeno due rifugi. Le ricerche sono state condotte senza l’ausilio di pentiti ma attraverso intercettazioni e servizi di osservazione anche satellitari. L’accelerazione c’è stata una decina di giorni or sono. Da quel momento, il raggio delle indagini si è fatto man mano più stretto, fino alle 23.15 di mercoledì, quando gli uomini diretti dal vicequestore Guido Longo sono entrati in azione in località Carrisi, a soli due chilometri di distanza dalla tenuta di Poggio Vallesana dove i capi di Cosa nostra Luciano Liggio e Totò Riina soggiornarono negli anni cui fu sancita la nascita della «decina» napoletana della mafia siciliana. Bloccare Angelo Nuvoletta non è stato affatto agevole: quando gli investigatori hanno fatto irruzione al piano terra dello stabile la gente ha tentato di ostacolarli allo scopo di garantire al boss, vestito con una tuta e scarpe da ginnastica, il tempo necessario per allontanarsi. Qualcuno ha finto un malore, altri hanno alzato la voce e provato a distogliere l’attenzione delle forze dell’ordine. Il padrino invece ha giocato l’ultima carta, la fuga sui tetti. Per sua sfortuna, è stato visto mentre infrangeva il vetro di una delle finestre del secondo e ultimo piano e saliva sul terrazzo assieme ad Alfredo Sepe. Ed è lì che lo hanno bloccato, accovacciato in un piccolo locale che però non gli ha permesso di passare inosservato. Adesso Angelo Nuvoletta è a Poggioreale, ma nel penitenziario napoletano non resterà a lungo, lo attende una destinazione lontano dalla Campania. Deve scontare la condanna all’ergastolo, ormai definitiva, per l’omicidio di Giancarlo Siani, di cui è stato riconosciuto colpevole nella veste di mandante. Ma il suo nome compare anche negli atti del Tribunale di Palermo, che lo ha condannato a quattordici anni di reclusione per associazione mafiosa e contrabbando di sigarette. In Sicilia, il primo a interessarsi di questo signore impenetrabile, capace di consolidare un potere enorme restando all’ombra del fratello Lorenzo, fu un giovane magistrato che avrebbe cambiato la storia della lotta alla mafia: Giovanni Falcone.
DARIO DEL PORTO




Bassolino: «Grazie agli agenti Dia»




L’arresto di Angelo Nuvoletta è stato commentato con grande soddisfazione negli ambienti istituzionali. Il presidente della giunta regionale, Antonio Bassolino, ha inviato un messaggio al capo della Dia di Napoli, il vicequestore Guido Longo, nel quale esprime «il più vivo apprezzamento e più sentiti ringraziamenti, a nome di tutti i cittadini della Campania, per l’importante colpo inferto alla criminalità organizzata. Grazie ancora – si legge ancora nella missiva – a nome dei familiari di Giancarlo Siani e di tutti i cittadini colpiti e oppressi nei più vari modi dalla camorra».




Venerdì 18 Maggio 2001



L’associazione Libera: un colpo alla cupola



Anche l’associazione contro le mafie «Libera» ha salutato con soddisfazione la notizia dell’arresto di Angelo Nuvoletta. «Questi sono da sempre i nostri obiettivi, perseguiti in anni e anni di lavoro fra i giovani, nelle scuole. Non siamo mai stati animati da spirito di vendetta ma solo di verità e giustizia». L’associazione però esprime «costernazione» dinanzi a notizie «che riferiscono di intimidazioni ricevute da tante persone, in alcuni quartieri in occasione delle ultime consultazioni, da parte di loschi figuri persino in prossimità dei seggi elettorali». Libera conclude sottolineando che va respinta «ogni possibile ingerenza della camorra nella vita politica».






Venerdì 18 Maggio 2001



INTERVISTA IN CELLA CON IACOLARE, IL NIPOTE


di ELIO SCRIBANI




Gaetano Iacolare ha 40 anni. È il nipote di Angelo Nuvoletta, condannato con lui per l’omicidio di Giancarlo Siani. Dovrà scontare 28 anni di galera. I giudici dicono che Iacolare era l’autista che accompagnò i killer in piazza Leonardo. Fu arrestato dai carabinieri in un casolare di Marano, è detenuto a Poggioreale da quasi due mesi, cella numero 2, padiglione Venezia, regime di alta sicurezza. Prima dell’arresto di suo zio, era il recluso con il «fine pena» più lungo di Poggioreale: anno 2029. Gaetano Iacolare entra nella sala-colloqui del carcere e accetta di parlare con il Mattino.
Dica: chi è Angelo Nuvoletta?


«Uno che ha sempre lavorato».

Chi era Lorenzo Nuvoletta?
«Lo stesso. La nostra è una famiglia di lavoratori».

La camorra?


«Non la conosco, non ho mai avuto contatti con la camorra».


Come si può combatterla?


«Lavoro e scuola».


Che titolo di studio ha?


«Terza media, purtroppo».


La sentenza dice che avete ucciso Siani.


«Non è vero, io sono innocente, ho già presentato ricorso a Strasburgo. Quel processo si deve riaprire».


I giudici dicono che lei era l’autista del commando.


«E lo sa perchè? Perchè sono l’unico del gruppo che ha la patente. In primo grado sono stato assolto, poi condannato in appello, i ruoli sono stati capovolti, non ci sono due giudici nè due pentiti che dicano la stessa cosa su quel delitto».


Parliamo di Giancarlo.


«Niente è più brutto di un omicidio, la vita umana non ha prezzo, e poi lui aveva solo 26 anni, era un ragazzino».


Come suo zio, anche lei era latitante.


«Non ero scappato, mi hanno trovato vicino casa, ci sono rimasto quattro mesi».


Dove si nascondeva?


«In una casa diroccata».


Come ha trascorso quei mesi?


«Vegetando».


Aveva un cane.


«Era un randagio, era diventato mio amico, tutti e due avevamo bisogno di compagnia».


Mi parli del carcere.


«Non mi appartiene, mi sento in un incubo, il mio corpo ne ha un rigetto».


Che cos’è il carcere?


«È come se ti togliessero la vita, lasciandoti vivere».


Lei come vive?


«Sopravvivo. Mi sono abituato: la conta alle 8, il passeggio un giorno alle 9 e un altro alle dodici e mezza, poi faccio le pulizie, leggo, cucino piselli, fagioli o lenticchie. Sono vegeteriano».


Che cosa legge?


«Ora ho comprato la biografia di Martin Luter King, ma leggo anche cinque quotidiani al giorno».


Che cosa non sopporta?


«La puzza delle celle».


Il sovraffollamento?


«Non so che cosa sia: nella mia cella siamo in due, e in tutto il padiglione siamo solo sei. È l’alta sicurezza».
Dica un problema.


«Le scarpe. Non possono entrare dall’esterno».


Gli agenti di polizia penitenziaria?


«Massimo rispetto: diritti e doveri».


Gli altri detenuti?


«Sono educato e rispettoso, non ho problemi con nessuno, ma gli altri, del resto, non li vedo mai: al passeggio siamo solo in tre, gli altri tre detenuti escono per l’aria in un altro cortile».


Le sbarre?


«Non le vedo nemmeno, mi sento un intruso».


Era mai stato arrestato prima?


«Una volta sola nel ’79, rimasi in prigione 15 giorni per porto abusivo di pistola».


Che lavoro faceva?


«Lavoravo con mia nonna, che per me, orfano, è stata una madre adottiva. Avevamo un grande allevamento di polli e conigli, ci occupavamo di forniture di frutta, verdura e petti di pollo alle comunità».


Che sensazione le dà l’idea di dover scontare ancora 28 anni?


«Soffro. Ma soffrono di più i miei familiari».


Quanti figli ha?


«Tre: Rosanna ha 19 anni, Fabiana 18 e Giuseppe 8. Sono disperati. Poi c’è mia moglie, Tina, che è sconvolta».


Vengono al colloquio?


«Sì».


Che cosa le dicono?


«Mi dicono: quando torni?».
Li vede spesso?


«I colloqui sono quattro al mese. Ma due in più mi sono stati concessi per il bambino».


Lei crede in Dio?


«Sono molto religioso, ma lo ero anche prima».
Prega?


«Tutte le sere. E leggo il Vangelo che mi ha regalato il prete. Prega anche il mio compagno di cella, un algerino accusato di terrorismo, ma sono lingue e religioni diverse».


Venerdì 18 Maggio 2001


Dal loro feudo ordinavano
delitti e incontravano sindaci
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Quando il boss (latitante) andò al matrimonio della figlia




di FRANCESCO VASTARELLA



«Povera sposa, che faccia triste, anche il giorno delle nozze senza il papà, latitante», sussurrò la più indiscreta delle invitate. Poi, qualcuno si alzò. Un’intesa di sguardi, un movimento impercettibile, tutti zitti e respiro spezzato. Il messaggio fu chiaro: è qui. Dove? Chissà. Non s’era mossa una foglia lì intorno al ristorante sulla collina dei Camaldoli, fino a pochi minuti prima assediato dai carabinieri. S’alzò la bellissima sposa, la seguì il suo uomo. Entrambi tornarono sorridenti, lei tra le mani un dono. L’ombra s’allontanò, la festa riprese.
Quell’ombra era Angelo Nuvoletta, papà e padrino in fuga, che non volle mancare alle nozze della prima delle sue quattro figlie femmine. Da trent’anni sono così i Nuvoletta, più ombre che uomini, come impone la mafia, che hanno «sposato» negli Anni 50. Prima ombre per mimetizzarsi. Poi ombre di se stessi, per il declino dell’holding di mafia-camorra da Marano al resto della Campania, holding assediata da clan emergenti, da ex alleati diventati rivali, come i Polverino o quelli del cartello di Secondigliano. Ombre assediate dalle ombre dei morti ammazzati, quanti in 20 anni di faide.
Nessuno poteva vederli, nessuno poteva toccarli, nessuno avrebbe saputo descriverli. Non c’erano mai, i Nuvoletta. Solo alle riunioni della cupola erano presenti per fare gli onori di casa, ma qualche volta si facevano rappresentare anche alle sedute plenarie della Nuova Famiglia nella tenuta agricola a Poggio Vallesana, negli anni d’oro, gli Ottanta. Eppure erano dovunque. Spuntava un palazzo e a Marano dicevano che dietro c’erano i Nuvoletta. Organizzavano un centro ippico o una sala corse, mettevano sù un albergo o un parco in un angolo della regione e sempre loro, i Nuvoletta, in qualche modo c’entravano, vuoi per la fantasia della gente, vuoi perché davvero avevano interessi. Dove non potevano arrivare, c’era il fiume di cemento delle loro aziende: mille miliardi di affari calcolò la Commissione Antimafia nel 1988. I cavalli, poi, la passione della famiglia, con un piede in ogni ippodromo, da Aversa ad Agnano. Quante foto nel salone di casa Nuvoletta, ma anche in quelle, per chi ha potuto osservarle, «don» Lorenzo o «don» Angelo non si vedono.
Al Comune, all’Asl, in una fabbrica, in un ristorante c’era sempre qualcuno a rappresentarli. Rinchiusi nella roccaforte, Poggio Vallesana, i Nuvoletta non avevano bisogno di muoversi per incutere omertà: mandavano messaggeri, convocavano sindaci alla loro corte, distribuivano voti a onorevoli, benedicevano business, emettevano sentenze di morte.
Pochi avrebbero riconosciuto Lorenzo, con quel volto da vecchio agricoltore, la sera del 7 dicembre 1990, quando lo stanarono nella sua roccaforte. Angelo, la mente del clan di famiglia, dicono che non s’era mai mosso da Marano. Non s’era più visto in giro da molto prima del 1995, quando ebbe la prima condanna per il delitto Siani. Dove lo avrebbe trovato un posto più sicuro di Marano? Sicuro, si sentiva, ma ormai aveva rinunciato a una vita normale dopo il 17 giugno 1984, quando nell’assalto organizzato da Carmine Alfieri a Poggio Vallesana perse la vita Ciro, il più giovane dei fratelli. Da diversi anni solo Gaetano s’espone di più per far intendere che è e si sente fuori dal giro, lui che scrive libri e poesie. L’ultimo rifugio di Angelo era ai Carrisi, zona vecchia di Marano, di fronte al Municipio. Qui vivono molti nipoti e cugini, gli Orlando. Forse l’ultimo rifugio perché anche Poggio Vallesana non è più sicuro.


Venerdì 18 Maggio 2001



L’OMICIDIO



di MAURIZIO CERINO


Fa un gran caldo, quel 23 settembre 1985. Nonostante l’afa, per strada, quella sera, non c’è nessuno. Nella redazione cronaca de «Il Mattino» la giornata volge alla conclusione. I cronisti vanno via; tra loro c’è anche Giancarlo Siani, che sale sulla sua Mehari verde pistacchio. Forse qualcuno lo segue, ma certamente qualcuno lo attende sotto casa. E non soltanto i suoi amici di sempre, ma due giovani, come lui. Non passano inosservati. Li notano in parecchi: la signora Mila Benedetti, il dottore Martino Trunfio, il fratello Nicola, oggi avvocato. Vanno nervosamente su e giù lungo la discesa di via Romaniello, stradina privata che si apre sul fondo di piazza Leonardo. In piazza Leonardo Giancarlo incontra gli amici. Uno di loro si offre di portare al parcheggio l’auto. Giancarlo ringrazia, ma dice di avere fretta. Alle 21,50 gli spari. i killer fuggono, e stanno per fare un’altra vittima, il garagista Giovanni Mona, che li vede in volto, e contro il quale puntano la pistola. Uno dei due killer è Armando Del Core, ultimo latitante del commando che ha ucciso Siani.







Venerdì 18 Maggio 2001



«Siani punito per l’impegno civile»




Nella conferenza stampa indetta per illustrare i dettagli del blitz che ha portato alla cattura di Angelo Nuvoletta, il procuratore della Repubblica Agostino Cordova ha voluto ricordare Giancarlo Siani. «Venne ucciso – ha sottolineato – oltre che per la pressione determinata dal suo impegno civile, che si traduceva in continue inchieste giornalistiche sul malaffare di Torre Annunziata e sui rapporti fra i clan Gionta e la locale amministrazione comunale, per aver osato ipotizzare il coinvolgimento di Angelo Nuvoletta nell’arresto di Valentino Gionta». Il procuratore ha rilevato ancora una volta che indagini delicate come quella sul clan di Marano hanno bisogno «di risorse che oggi non ci sono». Prima delle ordinanze cautelari sui clan di Pompei, ha evidenziato il magistrato «l’ufficio ha impiegato tre mesi per fotocopiare gli atti: non è certo un esempio di giustizia veloce».




articoli del «MATTINO» del 18 maggio 2001

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