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lunedì, Maggio 20, 2024
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A Giugliano un clandestino legato a Bin Laden, espulso

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GIUGLIANO – Il contingente italiano in Iraq corre «rischi altissimi». Il Sismi lancia l’allarme e ricorda di aver ricevuto già nel luglio scorso segnalazioni su possibili attentati ai danni dei nostri militari impegnati nelle operazioni del dopoguerra. Per oltre due ore, il direttore del servizio segreto militare, Nicolò Pollari, è stato sentito dal Comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti. Secondo quanto riferito dal presidente del Comitato, Enzo Bianco, «da luglio a oggi ci sono stati ripetuti segnali di rischi», anche contro la postazione di Nassiriya. Pollari ha invece smentito le notizie circa una segnalazione del Sismi inoltrata alla vigilia dell’attentato. Ma il ministro della Difesa, Antonio Martino, ha voluto ridimensionare il caso intervendo a «Porta a porta»: «Ci sono state informative del Sismi che sono state passate per le valutazioni e le decisioni del caso alla catena militare, quindi, direttamente o indirettamente anche ai comandanti. Ciò non significa affatto che il Sismi aveva previsto che ci sarebbero stati attentati e questi si sarebbero poi verificati confermando una previsione del Sismi stesso».
Ieri intanto ha lasciato l’Italia il sedicente imam di Carmagnola Abdoul Qadir Fall Mamours. Assieme al discusso religioso, sono stati espulsi altri 7 arabi, coinvolti nell’inchiesta della procura di Torino sui collegamenti europei di Al Qaida e delle altre sigle dell’internazionale del terrore. Il provvedimento del Viminale ha colpito anche l’algerino di 28 anni Charef Yacine, originario di Boufark Blida e residente in provincia di Napoli, a Giugliano, destinatario di una delle 25 perquisizioni disposte all’alba di ieri dalla magistratura piemontese. Con lui i marocchini Assam Kalid, Hamrad Nabil, Bouchraa Said e Boutkayoud Mbarek, provenienti da Khourjbga, Sadraoui Azzeddine proveniente da Ouled M’Hamed, Lamor Noureddine proveniente da Bani Smir. E da Malpensa, l’imam di Carmagnola è partito ieri sera in direzione Dakar, Senegal. Ad accompagnarlo c’erano la moglie italiana, Barbara Farina, e i quattro figli. La donna ha occupato la scena: «I decreti di espulsione – ha detto – non sono che una prova di forza. Avrebbero potuto darci almeno 60 giorni per organizzare una partenza migliore con i bambini, invece ho dovuto radunare in fretta poche cose e mi sento costretta all’esilio per non dividere i bambini dal padre». In aeroporto, Barbara Farina ha reagito all’assedio dei cronisti urlando «vergogna» e in arabo «Allah è grande». Prima di lasciare Torino, la donna aveva commentato: «Questa espulsione è ingiusta ma adesso mio marito si arruolerà con gli estremisti». Abdoul Qadir Fall Mamour si era fatto notare per dichiarazioni di stampo fondamentalista. Contro il provvedimento potrebbe essere presentato ricorso al Tribunale civile di Torino: iniziative in questo senso sono allo studio da parte dell’associazione «Score» presieduta dall’ex deputato Dacia Valent e di Bouriqi Bouchta, imam della moschea torinese di Porta Palazzo.
In un contesto completamente diverso sono maturate invece le altre sette espulsioni decise ieri dal Viminale. Qui alle persone allontanate viene contestato di aver svolto a vario titolo attività di «proselitismo e fiancheggiamento di organizzazioni di matrice islamica». Alla base dell’iniziativa ci sono le indagini della procura di Torino sfociate ieri mattina in 25 perquisizioni, 14 eseguite a Torino e 11 nel resto d’Italia. Gli inquirenti avevano chiesto per i sette indagati l’arresto ma il gip aveva respinto la richiesta.



Charef, il falegname insospettabile





Gli investigatori lo tenevano d’occhio già da un po’ di tempo. Ma solo ieri mattina Charef Yacine, algerino di ventotto anni residente a Giugliano, ha capito di essere finito nella rete di una delicata inchiesta che punta a individuare i collegamenti in territorio italiano dell’eversione di matrice fondamentalista islamica.
Su delega della magistratura torinese, che procede per associazione con finalità di terrorismo e falso, gli agenti della Digos hanno perquisito ieri mattina l’appartamento del comune a Nord di Napoli dove Charef Yacine vive da un paio d’anni. In casa è stato sequestrato materiale cartaceo, prevalentemente agende e appunti, che adesso dovrà essere tradotto ed esaminato. Intanto nei confronti dell’uomo è scattato il provvedimento di espulsione firmato dal ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu. Nessun provvedimento invece è stato adottato per la persona che abitava insieme all’algerino.
Ma chi è Charef Yacine? Di lui si sa molto poco. A Giugliano lavora come falegname e non risulta aver mai svolto attività religiosa. Niente a che vedere con l’imam di Carmagnola, insomma. Fino a questo momento aveva condotto una vita anonima, in tutto e per tutto uguale a quella di tantissimi altri immigrati che si sono stabiliti nella periferia settentrionale del capoluogo campano. Se e in che misura abbia realmente fornito sostegno alle organizzazioni terroristiche, sarà il prosiego del procedimento ad accertarlo. La procura di Torino è convinta di aver individuato un gruppo di persone impegnato a fare proselitismo reclutando volontari o raccogliendo fondi per la «guerra santa». Come nel caso degli altri sei arabi per i quali è stato disposto l’allontanamento dall’Italia, anche nei confronti di Charef Yacine i pubblici ministeri avevano chiesto l’arresto. Il gip Sabrina Noce però si era espresso diversamente, rigettando l’istanza nella convinzione che non vi fossero elementi sufficienti per emettere un provvedimento restrittivo. Il personaggio centrale dell’inchiesta torinese è considerato Lamor Noureddine, marocchino di di ventisei anni, residente a Torino, che si sarebbe occupato di inviare militanti in Afghanistan. Il suo nome compare anche in un’analoga inchiesta condotta dalla procura di Milano e in una segnalazione giunta ai nostri investigatori da una «fonte estera» non meglio precisata.
Agli atti dell’inchiesta di Torino si fa riferimento anche a una raccolta di danaro per le famiglie degli autori degli attentati suicidi commessi a Casablanca. Le perquisizioni sono scattate, oltre che a Torino e Napoli, anche a Milano, Cuneo, Reggio Emilia, città dove uno degli indagati, il trentaduenne Bouchraa Said, fungerebbe da imam, Mantova, Bari e Lucca. I decreti di espulsione, così come deciso dal ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, dovrebbero essere eseguiti nella giornata di oggi.


DARIO DEL PORTO – IL MATTINO 19 NOVEMBRE 2003



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E A GIUGLIANO SCATTA L’ALLARME INTEGRALISMO



di ANTONIO POZIELLO




Incredulità, scetticismo, le emozioni dominanti. Stranamente, in una città in cui tutti sembrano conoscere tutto di tutti, nessuno «sapeva niente» del fatto del giorno: della perquisizione dell’abitazione del 25enne algerino sospettato d’essere fiancheggiatore di organizzazioni fondamentaliste islamiche e del provvedimento di espulsione a carico suo e di altri 6 extracomunitari.
Tutto lo si è appreso solo dai giornali. Tutto è avvenuto nel totale silenzio. Gli uomini della Digos sono arrivati, hanno perquisito l’abitazione di Charef Yacine, e se ne sono andati portandosi via il materiale trovato nella casa senza che nessuno, nemmeno i vicini, si accorgessero di nulla. L’unico ad accorgersene è stato l’immigrato che viveva con lui, ma la notizia l’ha tenuta per sé.
Persino gli altri membri della numerosa comunità maghrebina sembravano non saperne niente. In un bar poco distante dal municipio, gestito da alcuni algerini e ritrovo abituale di molti immigrati nordafricani, quando abbiamo fatto qualche domanda tutti sembravano cadere dalle nuvole. Innanzitutto, perché nessuno aveva mai sentito nominare Charef Yacine. Poi, perché nessuno sembra credere che qualcuno della comunità di Giugliano possa avere legami con il terrorismo.
«Siamo qui per lavorare, mica per altro – dice Amed, 28 anni, originario del sud dell’Algeria – nessuno di noi ha mai avuto rapporti con quelle organizzazioni. Siamo alla ricerca di un lavoro che ci consenta di tornare in Algeria e costruire qualcosa per noi e le nostre famiglie. Molti di noi sono scappati dalla guerra civile».
Il timore di Amed, di Muammad e degli altri che abbiamo incontrato è che ora questa notizia possa scatenare paure e compromettere il difficile processo di integrazione. Un timore che, a sentire le persone per strada, sembrerebbe infondato. Apparentemente, a Giugliano nessuno ha dato eccessivo peso alla notizia. Anzi, in molti si sono interrogati sulla sua fondatezza.
«Ma siamo sicuri? – ha detto per tutti don Tommaso D’Ausilio, parroco di San Pio X – qui non c’è mai stato alcun segno della presenza di immigrati legati al fondamentalismo islamico».
E come il sacerdote, in tanti ieri si interrogavano sull’attendibilità della notizia: «Forse era di passaggio» il commento di un pensionato che leggeva il giornale in un bar di piazza Gramsci: «Può essere» ha risposto il barista; poi tutti a riparlare del Giugliano e del sogno C1.
«In questa città la comunità nordafricana si è saputa ben integrare – commenta Peppe Mariniello, a lungo responsabile dello sportello immigrati Cgil – questo non vuol dire che non vi siano o non vi siano state difficoltà o atteggiamenti razzisti, nessuno però ha mai visto l’immigrato come un potenziale terrorista».
A Giugliano è presente una numerosa comunità extracomunitaria: diverse migliaia gli stranieri che vivono stabilmente in città e altrettanti quelli che vi giungono di passaggio o che vi soggiornano il tempo necessario alla raccolta della frutta. Numerosi i nordafricani e immigrati dell’Est (polacchi, russi, ucraini), che si concentrano per lo più nel centro storico. Lungo la fascia costiera, tra Licola, Varcaturo e Lago Patria, è invece prevalente la presenza di nigeriani, gahanesi e di immigrati provenienti da stati centrafricani. Forte, qui, anche la presenza di albanesi e rumeni.




IL MATTINO 20 NOVEMBRE 2003

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