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Clandestina: in prima elementare con tutti 10

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Dieci materie da studiare e un solo voto possibile: dieci. Lei si chiama Blessed, ha sei anni e ha iniziato nel migliore dei modi possibile la sua vita scolastica. In qualunque famiglia sarebbe «benedetta» quella pagella, proprio come la traduzione italiana del suo nome. E ancor di più nella sua perché lei, nata in Italia da genitori nigeriani clandestini, è già la più brava della classe in un territorio di frontiera, quello di CastelVolturno, dove la lotta per la sopravvivenza e la costante pressione della criminalità rappresentano la vera costante del vissuto quotidiano. Quello in cui, paradossalmente, la mamma e il papà non sanno ancora dell’exploit della piccola Blessed, che parla inglese in casa e un italiano perfetto in classe. La sua pagella è l’unica rimasta a scuola, affissa in bacheca ma non ancora ritirata dai genitori, che la maestra sta provando a contattare da giorni. Se è vero che la legge italiana garantisce il diritto-dovere dei figli di immigrati di essere iscritti alla scuola dell’obbligo, indipendentemente dalla regolarità della propria posizione e da quella dei genitori (articolo 45 del DPR n. 394/1999), non c’è norma che tenga di fronte al terrore dei genitori di essere espulsi. «La bambina è un riferimento per gli altri, la mamma l’accompagna e la viene sempre a prendere, è certamente lei – racconta la maestra Teresa Patararo – a seguire Blessed nel percorso scolastico iniziato nella prima D della scuola Giuseppe Garibaldi». A Pinetamare, frazione di Castel Volturno, l’area del litorale domizio con la più alta concentrazione di immigrati della provincia di Caserta. Basti pensare che nella terra di nessuno dove è sempre più labile il confine tra Stato e antistato, ai 24mila abitanti si aggiungono almeno diecimila stranieri irregolari, fantasmi che lavorano spesso nei campi di pomodori per una ventina di euro al giorno e che la notte si eclissano stipati tra la pineta e i ruderi di quella che una trentina di anni fa ambiva a diventare zona turistica, nella speranza di non essere rimpatriati ma soltanto di svegliarsi il giorno dopo e trovare un lavoro vero, per emergere dall’abisso e diventare cittadini veri.
Timida e introversa nella vita di tutti i giorni, la piccola Blessed si trasforma quando si tratta di studiare: gli occhi profondi le brillano velati a stento dalle treccine e viene fuori la «secchiona» che ha sempre i quaderni in ordine, perfetta nei compiti e impeccabile nelle risposte alla maestra Teresa. Il miglior spot possibile per la convivenza multiculturale in una terra di frontiera dove l’integrazione è molto più avanti delle stesse norme che la dovrebbero regolamentare.
Se deve fare una cosa, Blessed la fa sempre al massimo. Così le hanno insegnato mamma e papà. Gli stessi che, poi, alla fine dell’anno, non si sono presentati neppure per raccogliere i frutti (quelli scolastici). Intanto Blessed, precisa e ordinata fin da piccola, alla prima occasione, ha già saputo ripagarli con una speranza. Lì, tra i banchi, dove la testardaggine di una maestra di provincia – un po’ docente, un po’ mamma l’ha presa per mano con l’obiettivo di fornirle i primi strumenti di quel riscatto che può partire dalla cultura.
Blessed, quel primo passo sulla strada della conoscenza, lo ha fatto con tutte le sue forze, ripagando speranze e aprendo la strada all’integrazione vera. Ha solo sei anni ma è già un punto di riferimento per la sua classe, quella prima elementare dove ci sono cinque stranieri su 18 alunni, dove l’integrazione si fa con i fatti più che con le leggi. In quella terra di frontiera dove, su seicento alunni, un centinaio sono stranieri e dove Blessed può rappresentare la chiave per aprire la porta multicolore di una nuova casa, sicuramente migliore. «Deve restare con noi, è un modello», ripete la maestra.

Francesco G. Esposito
Il Mattino il 09/07/20120

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